La mano spessa di Pelio si protese attraverso il tavolo e si chiuse con dolcezza sulla sua. — Forse, la scoperta da parte di mio padre dell’esistenza tua e di Adgao è stata la cosa migliore che mi potesse mai capitare. Ammetto che in quel momento mi sono spaventato a morte, e che quando hai descritto il vostro piano per la prima volta mi sono spaventato anche di più, in un certo senso. Ma ora capisco con quanta cura tu e Adgao avevate progettato tutto, e vi sono estremamente grato di avermi preso con voi. Se l’impresa riesce, arriveremo nel vostro regno di witling, e io… anzi, noi potremo condurre un’esistenza normale. Se non riesce, almeno sarà stato un tentativo molto spettacolare.
Più tardi, Yoninne diede la colpa al vino per le parole che pronunciò, ma in quel momento le sembrarono solo la risposta più naturale. — Sono contenta che la pensi così. Quando si è deciso che Thengets del Prou ci portasse alla festa avevo una gran paura che avremmo rovinato la tua vita solo per salvare la nostra.
— Vuoi dire che è stato Thengets del Prou, e non qualche cameriere incompetente a rengarvi nell’anfiteatro? — Pelio pose la domanda con gentilezza, ma il tono di voce era incolore.
Yoninne se ne accorse appena. — Sì, è stato Prou. Noi, Ajao e Prou per essere precisi, non eravamo sicuri che ci avresti aiutato a meno che non avessi alternative. Sono così contenta adesso che la scelta si è rivelata la migliore anche per te…
Pelio ritrasse la mano di scatto e balzò in piedi, rischiando di inciampare sulla testa sonnacchiosa di Samadhom. L’orso da guardia mugolò, offeso, e si rintanò più in là, sotto il tavolo. Il principe rimase per un lungo istante a fissare la ragazza, pallido come un abitante del Regno delle Nevi. — Vuoi dire che voi tre vi siete messi d’accordo per coinvolgermi in quest’impresa?
Yoninne si sentì venire la pelle d’oca. Il sogno si era bruscamente trasformato in un incubo. — Ma tu… hai appena dichiarato che è stato molto meglio partire con noi che non continuare con la solita vita!
Pelio si chinò sul tavolo, ponendo il viso liscio e rotondo a pochi centimetri da quello di lei. Disse qualcosa che lei non capì, ma che doveva essere un’imprecazione. — Sì, l’ho creduto… e forse è vero. Ma non sapevo che voi mi ave-, vate ingannato e manovrato per farmi entrare in questa storia, come un bambino o un animale. — Parlava in fretta, quasi storpiando le parole, e per un attimo Yoninne ebbe paura che volesse schiaffeggiarla. — Invece, adesso non ho più scelta. Andremo nella Contea di Tsarang, proprio come avete programmato. Soltanto ora, però, so in quale considerazione mi tieni e se mai dovessimo uscirne vivi, io… io… — Gli mancò la voce per la rabbia e la confusione, e uscì a grandi passi dalla stanza.
Dopo che se ne fu andato, Yoninne rimase a fissare a lungo la superficie sfregiata del tavolo. I dettagli dell’ambiente circostante si affollarono nella sua mente, come per cancellare quello che era appena successo. Il fuoco che scoppiettava nella stufa, le canzoni in sordina che provenivano dal piano inferiore, l’odore secco e fumoso che regnava in quel posto. Sentì gli occhi gonfiarsi di lacrime, e cercò di ricacciarle indietro. Non piangeva da quindici anni e avrebbe preferito andare all’inferno, piuttosto che riprovarci. Ma alla fine dovette cedere… Forse si trovava già all’inferno.
Bjault rimase per parecchi minuti a fissare il soffitto, prima di rendersi conto che era sveglio e che i dolori alle viscere non erano crampi ma morsi di fame. Lasciò scivolare via la trapunta e si rialzò a sedere. Il vento ululava nella cappa del minuscolo camino e la luce della torcia a parete ondeggiava di qua e di là. L’intontimento e la nausea della sera prima (o forse era passato più tempo?) erano scomparsi. Consultò l’orologio della tuta e vide che aveva dormito per più di dieci ore. Il dolore era svanito e lui si sentiva in grado di vivere felicemente per un altro secolo, sempre che non morisse di fame entro dieci minuti.
Si rimise in piedi e scostò la tenda sulla soglia. Lo specchio in silverplate sopra la bacinella per lavarsi gli restituì l’immagine di una faccia scarna e scarmigliata. Si avvicinò e mise a nudo le gengive. Per un lungo istante fissò la luminosa linea azzurra che correva lungo tutta la linea di attaccatura dei denti. Avvelenamento da piombo: la linea azzurra era uno dei pochi sintomi che ricordava. Dunque, la concentrazione di metallo pesante nell’alimentazione Azhiri doveva essere almeno cento volte maggiore di quello che aveva pensato. E la sua ripresa, nella migliore delle ipotesi, era solo temporanea. Quanto tempo ci rimane veramente? Settimane? O soltanto giorni?
E se si tratta solo di giorni, è meglio che smettiamo di mangiare? O la debolezza della fame non farà che accelerare gli effetti del veleno già ingerito?
Nel tempo necessario a vestirsi e ad attraversare l’anticamera per raggiungere la sala da pranzo, Bjault aveva già ritrovato parte del proprio ottimismo. Con un po’ di fortuna, sarebbero ritornati su Novamerika prima che lui avesse un altro “attacco”. Dopotutto, Yoninne non aveva ancora accusato il minimo malessere. Sotto molti aspetti, quel mondo aveva contribuito a migliorarla. La sera prima, per esempio, Leg-Wot si era mostrata gradevolmente premurosa.
Oltrepassò le tende per entrare in sala da pranzo e vide una serie di facce cupe attorno al tavolo. C’erano due indigeni, insieme agli uomini del Regno d’Estate. Si erano tolti la pelliccia, ed erano in piedi a torso nudo, con la pelle che scintillava alla luce delle torce. Uno dei due tolse un foglio di carta triangolare dai gambali rinforzati.
— È arrivato un altro bollettino dalla Strada Insulare, Signori — riferì. — Vi abbiamo già avvisato che è in atto una tempesta. Si sposta verso di noi, e anche se la via è ancora aperta per circa sette leghe, i laghi di transito gelano troppo in fretta perché i nostri operai riescano ancora a mantenerli agibili. È possibile che passi un novenale prima che il traffico ritorni alla normalità.
— Ma noi dobbiamo passare — replicò Pelio, irritato. — E il nostro diritto di passaggio è garantito dal trattato.
La faccia larga del rappresentante del Popolo delle Nevi si rabbuiò per un attimo prima di sciogliersi in una risata. — Voi avete stipulato un trattato con noi, non con il nostro clima. Siete liberissimi di percorrere la Strada Insulare. Al massimo, fra sei o sette salti andrete a schiantarvi contro uno strato di ghiaccio spesso più di tre piedi. — Il suo sorriso divenne vagamente malevolo. — Siete davvero così ansioso di mettere in pratica il vostro assurdo progetto? — A quanto sembrava, la storia dello scontro tra Pelio e suo padre alla Festa dell’Estate aveva oltrepassato i confini del Regno.
Ci fu un attimo di silenzio imbarazzato in cui le guardie del principe e gli ufficiali finsero di non aver sentito l’ultima osservazione dell’indigeno. Il vento era appena udibile, oltre le pareti di pietra.
Pelio non raccolse la provocazione. — Non è questo che intendevo. Il trattato dice che gli appartenenti al Popolo dell’Estate hanno il diritto di passare a nord, anche se si tratta di usare un’altra delle vostre strade.
— Uhm… se proprio insistete, immagino che dovremo permettervi di usare la Strada del Nord. Eppure, ho la sensazione che il resto della vostra truppa preferirebbe rimanere a Grechper, in attesa che la tempesta si plachi.
— Insisto — ribadì Pelio.
— E va bene. — L’altro si strinse nelle spalle. — Vi farò avere un lasciapassare. — I due rappresentanti del Popolo delle Nevi infilarono la pelliccia e l’allacciarono, prima di avviarsi giù per le scale senza il minimo cenno di saluto.
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