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Ben Bova: Orion e la morte del tempo

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Ben Bova Orion e la morte del tempo

Orion e la morte del tempo: краткое содержание, описание и аннотация

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Orion non è un uomo come tutti gli altri: tanto per cominciare, è immortale. Scelto dai Creatori per essere il loro campione nei frangenti più pericolosi e contro nemici insidiosissimi, è costretto ad andare alla deriva nel tempo per battersi contro i pericoli che si annidano in epoche e secoli nascosti. Insieme ad Anya, una ragazza che condivide la sua sorte, è costretto questa volta a lottare non solo contro le forze ostili ai Creatori, gli enigmatici esseri che reggono le fila del suo destino, ma contro i Creatori stessi per riconquistare la libertà. E la partita si decide in un’era lontanissima, dove la morte del tempo non è più metafora ma realtà.

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Mentre il sole toccava l’orizzonte scorsi un gruppetto di alberi in lontananza. Presi a correre verso di essi e notai un piccolo ruscello che aveva tagliato una profonda forra attraverso la distesa d’erba. Le sue rive fangose erano coperte da alberi frondosi.

— Possiamo accamparci qui per la notte — dissi. — Al riparo degli alberi, con acqua in abbondanza.

— E cosa mangeremo? — piagnucolò il vecchio.

Lo guardai fisso, più esasperato che irritato. Un vero schiavo, in attesa che qualcuno gli fornisse del cibo piuttosto che intenzionato a procurarsene da solo.

— Come ti chiami? — domandai.

— Noch — rispose quello, con occhi improvvisamente timorosi.

Afferrandogli una spalla scarna con la mano, dissi: — Bene, Noch, il mio nome è Orion. Sono un cacciatore. Questa notte cercherò io qualcosa da mangiare. Ma domani vi insegnerò a cacciare.

Tagliato un ramo sottile da uno degli alberi ne appuntii un’estremità, mentre il giovane Chron mi guardava con avida curiosità.

— Vuoi imparare a cacciare? — gli chiesi.

Persino fra le ombre del crepuscolo riuscii a vedere i suoi occhi brillare. — Sì!

— Allora vieni con me.

Non la si poté chiamare una vera e propria battuta di caccia. La piccola selvaggina che viveva presso il ruscello non aveva mai incontrato un essere umano prima di allora. Gli animali erano così docili che fui in grado di camminare dritto verso di loro e infilzarne uno mentre beveva. I suoi compagni corsero via, ma presto fecero ritorno. Mi ci vollero pochi minuti per prendere un paio di procioni e tre conigli.

Chron mi osservava con frenetica attenzione. Allora gli detti la rozza lancia che avevo costruito, e dopo un paio di colpi andati a vuoto il giovane riuscì a infilzare uno scoiattolo di terra.

— Questa era la parte più divertente — gli spiegai. — Adesso dobbiamo scuoiare le prede, e prepararle per il fuoco.

Feci tutto da me, in quanto avevamo un solo coltello e non volevo che nessun altro lo toccasse. Mentre scuoiavo e pulivo le prede cominciai a preoccuparmi per il fuoco. Se vi erano rettili lassù in grado di percepire il calore come fanno i cobra e i serpenti a sonagli, persino un piccolo fuoco da campo sarebbe apparso loro come un faro fiammeggiante.

Ma non sembravano vivere simili animali in quella zona. Gli pterosauri erano passati parecchie ore prima, e non avevo scorto nessun altro rettile in quella savana, nemmeno la più piccola delle lucertole. Nient’altro che piccoli mammiferi… e noi, esseri umani.

Decisi di rischiare di accendere un fuoco, grande appena quel poco che bastasse per cuocere la cena, con il proposito di spegnerlo il più presto possibile.

Anya mi sorprese dimostrando di saper accendere il fuoco con due semplici pezzi di legno. Gli altri rimasero a bocca aperta mentre un filo di fumo e poi un guizzo di fiamma scaturivano dai bastoncini di Anya.

Il vecchio Noch dalla barba grigia, inginocchiatosi al mio fianco, disse con voce colma di sgomento: — Ricordo mio padre accendere il fuoco allo stesso modo… prima che i padroni lo uccidessero per cacciarci via da Paradiso.

— I padroni posseggono il fuoco eterno — disse una voce femminile emersa dalle ombre guizzanti.

Ma nessuno degli altri sembrò preoccuparsene eccessivamente; non mentre il delizioso aroma della carne messa ad arrostire eccitava la loro salivazione in un concerto di brontolii di stomaco. Finito di mangiare, quando la maggior parte degli schiavi erano piombati nel sonno, chiesi ad Anya: — Da chi hai imparato ad accendere il fuoco?

— Da te — rispose lei e, guardandomi fisso negli occhi, aggiunse: — Non ricordi?

Aggrottai la fronte in uno sforzo di concentrazione. — Il gelo… ricordo la neve e il ghiaccio, e un gruppetto di uomini e donne. Indossavamo delle uniformi…

Gli occhi di Anya sembrarono brillare fra le ombre della notte. — Riesci a ricordare! Puoi fare breccia attraverso la riprogrammazione e riportare alla memoria le tue esperienze precedenti!

— Non ricordo granché — dissi io.

— Ma il Radioso ha sempre cancellato la tua memoria ogni volta che ti ha condotto in una nuova esistenza. O almeno, ci ha sempre provato. Ti fai sempre più potente, Orion. I tuoi poteri si accrescono di giorno in giorno.

Ma ero più preoccupato dai nostri problemi presenti. — Come possono aspettarsi che affrontiamo Set a mani nude?

— Non è così, Orion. Adesso che ci siamo stabiliti in quest’epoca possiamo fare ritorno presso di loro e da lì portare con noi tutto ciò di cui abbiamo bisogno: strumenti, armi, macchinari, guerrieri… qualsiasi cosa.

— Guerrieri? Gente come me? Esseri umani che il Radioso o gli altri Creatori hanno generato soltanto per il lavoro di basso rango?

Con un sospiro di condiscendenza, Anya rispose: — Non puoi certo aspettarti che vengano loro stessi a combattere. Non sono guerrieri.

— Ma tu sì. Tu combatti. Quel mostro mi avrebbe ucciso, se tu non fossi intervenuta.

— Io sono un’eccezione — ribatté lei, con voce compiaciuta. — Sono un guerriero. Una donna tanto sconsiderata da innamorarsi di una delle sue creature.

Il fuoco si era ridotto in cenere già da tempo, e l’unica luce che filtrava attraverso gli alberi era il freddo bianco marmoreo della luna. Ma era sufficiente a lasciarmi ammirare la bellezza di Anya, sufficiente a farmi bruciare d’amore per lei.

— Possiamo recarci nel regno dei Creatori e fare ritorno qui, in questo preciso tempo e luogo?

— Sì, certo.

— Anche se dovessero passare molte ore dalla nostra partenza?

— Orion, nel regno dei Creatori esiste uno splendido tempio posto sulla cima di una rocca di marmo. È il mio rifugio preferito. Potremo recarci lì e passare insieme molte ore, giorni o mesi, se lo desideri.

— Certo che lo desidero!

Mi baciò delicatamente, sfiorandomi le labbra con le sue. — Allora ci andremo.

Anya mise la sua mano nella mia. Istintivamente socchiusi gli occhi ma non provai nessuna sensazione inusuale, e quando li riaprii eravamo ancora in quel misero, piccolo accampamento di fortuna presso le rive fangose di un ruscello del Neolitico.

— Cos’è accaduto?

Il corpo di Anya era rigido per la tensione. — Non ha funzionato. Qualcosa… qualcuno ha bloccato l’accesso al continuum.

— Bloccato l’accesso? — Udii la mia stessa voce come quella di un estraneo, stridula per la paura.

— Siamo intrappolati qui, Orion! — disse Anya, terrorizzata a sua volta. — Intrappolati!

4

Adesso capivo cosa doveva provare quella tribù di ex-schiavi.

Era facile per me sentirmi sicuro, quando sapevo che tutte le strade del continuum erano aperte al mio passaggio. Sapevo di poter viaggiare nel tempo con la stessa facilità con la quale oltrepassavo una soglia. Certo, potevo provare pietà, persino disprezzo per quegli esseri umani così vigliacchi da inchinarsi al cospetto dei loro terrificanti padroni rettiliformi. Ero in grado di abbandonare quell’epoca e quel luogo a mio piacere, finché Anya restava al mio fianco.

Ma adesso eravamo in trappola; la via era bloccata, e sentivo poteri di gran lunga superiori ai miei profilarsi minacciosi come la morte, definitiva e implacabile.

Non avevamo altra scelta che quella di procedere verso sud, nella speranza di raggiungere la foresta di Paradiso prima che gli pterosauri di Set individuassero la nostra posizione. Ogni mattina ci svegliavamo all’alba e avanzavamo verso il lontano orizzonte. Ogni notte ci accampavamo tra i cespugli più fitti che riuscivamo a trovare.

Gli uomini stavano imparando a cacciare la piccola selvaggina che brulicava in quella sterminata prateria, e le donne raccoglievano bacche e frutti.

Ogni volta che scorgevamo uno pterosauro nel cielo sopra di noi ci gettavamo a terra, immobili come un topo quando avvista un falco in cerca di prede. Quindi riprendevamo il cammino verso Paradiso. E l’orizzonte rimaneva sempre piatto e lontano come il primo giorno della nostra marcia.

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