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Ben Bova: Orion e la morte del tempo

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Ben Bova Orion e la morte del tempo

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Orion non è un uomo come tutti gli altri: tanto per cominciare, è immortale. Scelto dai Creatori per essere il loro campione nei frangenti più pericolosi e contro nemici insidiosissimi, è costretto ad andare alla deriva nel tempo per battersi contro i pericoli che si annidano in epoche e secoli nascosti. Insieme ad Anya, una ragazza che condivide la sua sorte, è costretto questa volta a lottare non solo contro le forze ostili ai Creatori, gli enigmatici esseri che reggono le fila del suo destino, ma contro i Creatori stessi per riconquistare la libertà. E la partita si decide in un’era lontanissima, dove la morte del tempo non è più metafora ma realtà.

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— Adesso cominci a comprendere la natura dell’essere che dobbiamo combattere — disse Anya, leggendomi il pensiero.

— Il Radioso ci ha inviati quaggiù per cacciare questo Set, per distruggerlo? — domandai. — Da soli? Soltanto noi due? Senza armi?

— Non il Radioso, Orion. L’intero consiglio dei Creatori. All’unanimità.

Quelli che i Greci avevano chiamato dèi, dimoranti sul loro Olimpo in un remoto futuro della Terra.

— All’unanimità — ripetei. — Sarebbe a dire che anche tu ti sei detta favorevole?

— Per restare insieme a te — rispose Anya. — Avevano intenzione di mandarti da solo, ma ho insistito per accompagnarti.

— Io sono sacrificabile — dissi.

— Non per me. — E l’amai ancora di più per quella risposta.

— Hai detto che questa creatura di nome Set…

— Non è una nostra creatura, Orion — Anya mi corresse prontamente. — Non sono stati i Creatori a portarlo in vita, come hanno fatto per la razza umana. Viene da un altro mondo, e ha intenzione di distruggerci tutti.

— Distruggere… anche te?

Mi sorrise, e fu come se un altro sole fosse sorto. — Anche me, amore.

— Hai detto che può causare la morte definitiva, senza speranza di rinascita.

Il sorriso scomparve dal volto di Anya. — Lui e la sua razza sono molto potenti. Se riusciranno ad alterare il continuum tanto profondamente da distruggere l’esistenza dei Creatori, allora la nostra morte sarà definitiva e irrevocabile.

Molte volte nel corso degli eoni ho pensato che la liberazione della morte potesse essere preferibile ai penosi travagli di una vita spesa nel dolore e nel pericolo. Ma ogni volta il pensiero di Anya, di questa dea che amavo e che mi amava, mi aveva indotto a combattere per la vita. Adesso eravamo finalmente insieme, ma la minaccia dell’oblio eterno pendeva su di noi come una nuvola apparsa a oscurare il sole.

Continuammo ad avanzare fino a quando le file di piante s’interruppero d’improvviso. Ancora immersi nell’ombra dell’ultimo castagno dai grandi rami, ci trovammo di fronte a un mare d’erba. Cresceva selvaggia e disordinata fino ai piedi di monti di roccia calcarea che si stagliavano nel limpido cielo estivo, delimitando l’orlo della valle percorsa dal Nilo. Onde formate dal vento si muovevano sulla cima dei fili d’erba come verdi mareggiate verso di noi.

In direzione dei monti scorsi alcune piccole macchie scure muoversi lente. Indicai verso di esse, e Anya seguì con lo sguardo il mio braccio disteso.

— Esseri umani — mormorò. — Un gruppo di schiavi.

— Schiavi?

— Già. E guarda chi ne è il custode.

2

Cercai di mettere a fuoco lo sguardo su quelle figure lontane. Sono sempre stato in grado di controllare consciamente tutte le funzioni del mio corpo, di dirigere la mia volontà attraverso la lunga catena delle sinapsi neurali in modo da far compiere a ogni parte del mio corpo esattamente ciò che voglio.

Mi concentrai sulla fila di esseri umani che avanzava attraverso quello scenario coperto d’erba. Erano guidati da qualcuno che non era umano.

A tutta prima pensai a un dinosauro, ma sapevo che i grandi rettili dovevano essersi estinti milioni di anni prima. O forse non era così? Se i Creatori potevano distorcere il tempo a volontà, e questo alieno di nome Set possedeva poteri simili ai loro, perché non un dinosauro nell’era neolitica?

Camminava su quattro zampe snelle, e dimenava una lunga coda flagelliforme. Anche il collo era piuttosto lungo; in tutto misurava circa sette metri, ed era alto più o meno quanto un grosso elefante africano. Ma era molto meno voluminoso, più snello e aggraziato. Ebbi l’impressione che potesse correre molto più veloce di un uomo.

Aveva squame dai colori brillanti, disposte in strisce rosse, azzurre, gialle e fulve. Prominenze ossee a forma di corno si ergevano sulla sua schiena come file di bottoni. La testa in cima a quel collo allungato era piccola, col muso corto e tozzo e gli occhi posti ai lati di un cranio rotondo. Gli occhi erano due fessure prive di palpebre.

Avanzava a capo della piccola colonna di esseri umani, e a ogni passo ruotava il collo per sorvegliare gli schiavi dietro di sé.

Che fossero schiavi era fuori di dubbio. Quattordici fra uomini e donne, che indossavano solo dei perizoma laceri e le cui costole erano chiaramente visibili anche da quella distanza. Sembravano esausti, col fiato corto nel tentativo di mantenere il passo dato dal rettile guardiano. Una delle donne aveva un bimbo assicurato alla schiena per mezzo di un’imbracatura. Due sembravano adolescenti. Soltanto uno di loro aveva la testa grigia. Da quel che vedevo, si sarebbe detto che ben pochi di loro potessero vivere tanto a lungo.

Nascosti dietro il tronco dell’ultimo castagno sul limitare del giardino, per alcuni istanti rimanemmo a guardare in silenzio quella pietosa, piccola processione.

Quindi domandai: — Perché degli schiavi?

Anya sussurrò: — Per prendersi cura del suo giardino, naturalmente. Nonché di qualsiasi altro desiderio di Set e dei suoi tirapiedi.

La donna col bambino incespicò e cadde in ginocchio. Il gigantesco rettile si voltò di scatto e si diresse verso di lei. Persino a quella distanza riuscii a udire i deboli vagiti del piccolo.

La donna cercò di mettersi in piedi, ma non vi riuscì così in fretta come desiderava il guardiano. La sua coda affusolata sferzò con violenza la schiena della donna, colpendo anche il bambino. La sventurata gridò, e il piccolo prese a strillare per il dolore e la paura.

Di nuovo la coda saettò contro di lei. La donna cadde col viso nell’erba.

Feci per balzare avanti, ma Anya mi trattenne per un braccio.

— No — sussurrò. — Non puoi fare nulla.

L’enorme rettile, di fronte alla madre prostrata, sporse il collo per odorarne la figura impietrita. Il bambino continuava a piangere. Gli altri attendevano immobili e muti come statue.

— Perché non combattono? — domandai, in preda alla rabbia.

— A mani nude contro quel mostro? — replicò Anya.

— Potrebbero almeno fuggire, finché la sua attenzione è distratta. Disperdersi…

— Hanno abbastanza buonsenso da non farlo, Orion. Sanno bene che sarebbero braccati come animali per poi dover affrontare una morte molto lenta.

Il rettile sedette sulle zampe posteriori e diede un colpetto al corpo della donna con uno dei suoi artigli. La donna non si mosse.

Allora la bestia estrasse il piccolo dal fardello e lo sollevò in alto, seguendolo col capo. Compresi che stava per stritolarlo tra le fauci.

Nulla al mondo poteva più fermarmi. Mi precipitai fuori della protezione degli alberi e presi a correre verso il mostro, gridando a squarciagola. I miei sensi entrarono in ipervelocità, come accade sempre quando sto per affrontare un pericolo. Il mondo intero sembrò rallentare intorno a me, e tutto prese a muoversi come in un sogno.

Vidi il rettile reggere in aria il bambino, vidi il suo capo in cima al lungo collo girarsi verso di me, vidi i suoi occhi sottili mettermi a fuoco mentre scrollava il capo come in senso di diniego. In realtà cercava semplicemente di fissare entrambi gli occhi sulla fonte di tanto rumore.

Vidi il bambino ancora stretto fra gli artigli dimenare nell’aria le minuscole gambette, col volto paonazzo per il pianto. E la madre, con la schiena livida per le sferzate della coda della bestia, sporgeva un braccio verso l’alto in un futile tentativo di raggiungere così il proprio piccolo.

Il lucertolone lasciò cadere il bambino e si voltò verso di me, lanciando un sibilo. La lingua saettò fuori dalla bocca sottile mentre continuava a dondolare il collo da un lato all’altro. La coda fece un guizzo quando l’animale si mise sulle quattro zampe.

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