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Jack Vance: I racconti inediti

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Jack Vance I racconti inediti

I racconti inediti: краткое содержание, описание и аннотация

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L’antologia di Jack Vance presenta al lettore i seguenti racconti di fantascienza: «ICABEM», «La selezione», «Il sifone plagiano», «Il fato del Phalid», «Il Tempio di Han», «Il figlio dell’albero» ed «I signori di Maxus».

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«Ottocento milreis.»

«Ottocento e cinquanta»… «Novecento e cinquanta…» Dicevano le voci impassibili e caute degli addetti agli impianti industriali.

«Mille milreis,» disse una voce roca, con un tono giulivo. Gardius la riconobbe, era quella di Lord Spangle. Suo malgrado Gardius si guardò attorno, e incrociò gli occhi di Spangle. Spangle stava sussurrando da dietro la mano nell’orecchio di un uomo con un sontuoso farsetto giallo e verde, nel quale Gardius riconobbe Lord Jonas.

Con voce esitante, una donna disse: «Mille e cento.»

«Mille e cento e cinquanta,» disse uno dei sovrintendenti. Gli altri tacquero, e si rilassarono ai loro posti.

«Mille e duecento,» disse Spangle con rapidità e sicurezza.

Il banditore disse: «Andiamo, signore, signori, un po’ più di brio. Su la voce, su la voce! Questo è un uomo di valore. È intelligente, ha studiato al Collegio Tecnico di Exar. È un ingegnere qualificato, sagace e affidabile. Parlate, adesso, parlate. Chi dice mille e cinquecento?»

Uno dei sovrintendenti fece per muoversi, ma una donna grossa e ossuta levò un dito. «Mille e trecento.» E il sovrintendente rimase calmo al suo posto.

Con voce suadente Spangle disse: «Mille e quattrocento.»

«Mille quattrocento e cinquanta,» disse la donna con voce decisa.

Jonas rise a un commento di Spangle e disse: «Mille e cinquecento.»

«Mille e seicento,» disse Spangle guardando Jonas con aria di rimprovero.

La donna ossuta tirò su col naso e distolse lo sguardo.

«Mille e seicento? Mille e seicento?» abbaiò il banditore. «Ho sentito mille e settecento?»

«Mille e settecento,» disse una voce acuta vicino alla parete.

«Mille e ottocento,» disse una donna dal fondo.

«Mille e novecento,» disse Spangle acidamente.

«Duemila,» disse la donna.

Spangle, un poco a disagio, mormorò qualcosa a Jonas, poi si strinse nelle spalle. «Duemila e cento.»

«Duemila e duecento,» ancora la donna.

«Un’offerta di duemila e duecento,» gridò il banditore. «Un uomo bello e valido, un buon lavoratore, lo garantisco. Duemila e trecento? Chi dice duemila e trecento?»

Silenzio. Spangle aprì a metà la bocca per parlare, poi la richiuse fissando l’impassibile Gardius con un astio da serpente.

«Venduto allora!» gridò il banditore. «Venduto alla signora per duemila e duecento milreis.» Si girò verso Gardius. «Scendi, e vai alla scrivania per la registrazione.»

Gardius attraversò l’arena senza una parola, e si avvicinò alla donna che era già al tavolo. La guardò, e i suoi passi vacillarono. «Mardien!»

Mardien sorrise, e Gardius vide che aveva gli occhi umidi. «Era il meno che potessi fare per te, Jaime.»

Fuori sotto il cielo grigio del tardo pomeriggio, fuori sullo svincolo, oltre i magazzini di mattoni neri, bui e sudaticci. Attraversarono un tunnel, e, quando uscirono di nuovo nella luce, la nebbia umida accarezzò loro le guance. Oltrepassarono le eleganti case di città, percorsero un altro tunnel freddo e bagnato, e si ritrovarono nel frenetico cuore di Alambar.

Gardius, imbarazzato per non avere mai appreso l’arte della conversazione aggraziata, disse: «Suppongo di doverti ringraziare.» Poi fece una pausa, a disagio.

Mardien girò la testa. «Ebbene?»

Gardius rise. «Grazie. Anche se non capisco perché tu… mi hai salvato. Un paio di settimane fa eri felice di vedermi morto. Mi hai sparato tu stessa.»

«Questo è stato due… o meglio, tre settimane fa. Da allora ho pensato molto. E credo, in queste tre settimane, di essermi lasciata alle spalle la giovinezza.»

«Lì c’è una taverna,» disse Gardius. «Sediamoci.»

Era un edificio piatto di mattoni smaltati, con una porta quadrata di legno dipinta di rosso ruggine. L’interno era caldo e tranquillo. La luce filtrava dalle finestre di vetro decorato, e cadeva gradevolmente sui tavoli dove si sedettero.

Vennero loro serviti cracker e pesci salati, e poco dopo una grande bottiglia panciuta di vino caldo, che nei tazzoni splendeva contemporaneamente di color verde acqua e rosa. Guardando Mardien dall’altra parte del tavolo, Gardius si rilassò del tutto. Mardien si sporse verso di lui, gli prese una mano con entrambe le sue. «Jaime… sono confusa.»

«Devi avere raggiunto qualche conclusione, o non saresti venuta a prendermi.»

Mardien si morsicò un labbro, esitante. «Non lo so. Ci sono tante incertezze, tante opinioni su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.»

«La certezza è dentro di te. Si sta solo facendo riconoscere.»

Con un sorriso mesto Mardien gli chiese: «E tu come fai a esserne così sicuro?»

«Perché sei qui con me. Invece di essere con quel tuo… invece di essere con Arman.»

L’ultima parte della frase era così evidentemente intrisa di amarezza che Mardien ritirò la mano. Poi disse: «Jaime, io credo che tu sia davvero geloso. Ti ho accusato una volta, ma non lo credevo. Lo sei davvero?»

«No. Sarei un presuntuoso.»

«Ma lo sei, vero?»

«No. Nella mia vita non c’è posto per… per le donne.»

«Intendi dire una donna come me, giusto?»

«Suppongo di sì.»

«Jaime, io non sono, non sono mai stata, non ho mai voluto essere altro per Arman se non una seguace, un’Armanita.» Distolse lo sguardo, arrossì un poco. «Se puoi tollerare un entusiasmo perfettamente normale e la venerazione per un eroe. Avrebbe potuto avermi se fosse stato meno ambiguo.

«Se mi avesse presa , con disinvoltura, come un utensile o un capo di abbigliamento, io mi sarei concessa felicemente, fiera di servire un dio. Ma ha tentato di corteggiarmi come un essere umano al mio stesso livello, e io ne sono stata turbata. L’ho respinto. Ho scoperto una cosa, Jaime. Arman è un debole.»

Gardius bevve il vino, insolitamente a proprio agio. «Ha bisogno di uccidere.»

Più vagamente, Mardien disse: «Il suo corpo esige rispetto. Ed è svelto a usare questo rispetto. È abile con la lingua, ma non ha forza interiore, Jaime. Quando stavate lottando, tu eri battuto. Eri quasi morto. Lo vedevo. Ma rifiutavi di smettere. Arman ne ha avuto paura, e si è arreso. Quando è caduto a terra, è rimasto sdraiato lì passivamente. È una perversità da debole, ch… mi ha disgustato, Jaime.»

«Dov’è adesso?»

Mardien lo guardò seriamente. «Jaime, quando ti ho aiutato non ho posto condizioni. Vorrei porne una adesso.»

«Quale?»

«Che tu non faccia nulla senza prima parlarne con me.»

Si era sporta sul tavolo, di nuovo gli aveva preso una mano tra le sue. Gardius gliele coprì con l’altra mano, strinse. Mardien rispose alla sua stretta, i loro occhi si incontrarono. Gardius sospirò. «Non sono destinato a condurre una vita tranquilla, Mardien.»

«Nemmeno io, Jaime. Saremo felici insieme.»

Gardius disse, con voce sommessa: «Non mi riposerò fino a quando ci saranno schiavi e mercanti di schiavi. Ne ho sofferto troppo.»

«Nemmeno io, Jaime.» Si riappoggiò allo schienale, si lasciò scivolare fino ad avere le spalle e i fianchi sulla stessa diagonale, con le gambe tese in avanti. «Pensavo che Arman promettesse di porre fine alle cattiverie. Ma adesso ne dubito, Jaime. Arman potrebbe essere stato fuorviato.»

Gardius sbuffò. «Fuorviato, è una parola debole per un assassino, uno sfruttatore, un mercante di schiavi, uno stregone.»

Mardien rabbrividì. «Lo so, Jaime. Odio persino pensarci. Perché adesso seicento Otro sono stati tolti alle loro case e condotti in schiavitù.»

« Ma perché? » esclamò Gardius. « Perché? Non vedo nessuna logica. Voi Otro siete davvero pazzi?»

Mardien scosse la testa. «Ovviamente no. La gente dice che siamo pazzi perché siamo individualisti.»

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