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Jack Vance: I racconti inediti

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Jack Vance I racconti inediti

I racconti inediti: краткое содержание, описание и аннотация

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L’antologia di Jack Vance presenta al lettore i seguenti racconti di fantascienza: «ICABEM», «La selezione», «Il sifone plagiano», «Il fato del Phalid», «Il Tempio di Han», «Il figlio dell’albero» ed «I signori di Maxus».

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L’inserviente tirò su col naso. «Stai buono, amico, buono. Gridare non serve mai. Adesso sei marcato con un circuito penale, e ti strineranno la pelle con qualunque scusa le prime settimane. Si divertono a vederti lottare e ruggire. È l’unico svago che hanno.»

«Voglio vedere l’Alto Ricognitore,» borbottò Gardius.

«A suo tempo, a suo tempo. Dillo a uno dei Sommi. Io non sono altro che uno schiavo come te.»

Gardius ricadde sulla lastra. Il tempo passò. Altri si mossero spasmodicamente, si sedettero. Gardius guardò una faccia dopo l’altra. Se gli Otro fossero stati pazzi ci sarebbero state bizze, attacchi di isterismo. Ma si mantenevano in perfetto ordine e serietà.

Erano uomini e donne che avevano oltrepassato il primo ardore della gioventù. Gli uomini non erano né muscolosi né appesantiti; le donne non erano né formose né bellissime. Quegli uomini e quelle donne non sarebbero stati assegnati né ai lavori pesanti né alle camere da letto. Potevano benissimo venire addestrati per attività tecniche.

Suonò un campanello, una porta si aprì, e una guardia in uniforme nera entrò nella stanza. Aveva in mano un frustino leggero e flessibile che agitava con disinvoltura. Gardius, incontrando i suoi occhi, sentì la rabbia ribollirgli dentro.

La guardia disse: «Titus, questo è un gruppo beneducato. Neanche un urlo. Bene, quelli di voi che sono vivi, in piedi adesso. Mettetevi in fila e seguitemi. Passerete dallo spaccio e ognuno di voi prenderà un completo di biancheria, un camiciotto, un paio di sandali, niente di più, niente di meno. Svelti, adesso, cerchiamo di essere un po’ vivaci e di partire con il piede giusto.» E fendette l’aria con il frustino.

Vennero fatti sfilare davanti a un bancone, dove ricevettero i vestiti, e davanti a una scrivania dove venne loro appeso al collo un distintivo. Poi gli uomini vennero diretti attraverso una porta e le donne attraverso un’altra.

Gardius si trovò un lungo salone bene illuminato, con la facciata a vetrine. Era una stanza familiare, come la stanza in cui aveva visto Mardien per la prima volta. All’incirca altri cinquanta uomini erano nel salone; alcuni camminavano a capo chino, imbronciati, altri fissavano il vetro senza nessuna espressione. Pochi parlavano a voce bassa e cupa. Un ragazzo tirava su col naso tristemente.

In fondo alla sala c’era uno schiavo corpulento coi capelli rossi e una divisa nera e verde, un piantone che evidentemente godeva della propria posizione. Gardius gli si avvicinò, e incontrò un paio d’occhi freddi e assenti come quelli di un ranocchio.

Gardius disse: «Come posso usare un telefono?»

«Non puoi. I giorni in cui potevi telefonare sono finiti.»

«Voglio chiamare l’Alto Ricognitore. È un mio amico.»

Il piantone trovò l’osservazione divertente. «E io sono lo zio del Patriarca.»

Con voce misurata, Gardius disse: «Chiama il responsabile.»

«Io sono responsabile.»

«Allora se c’è anche un minimo ritardo, la responsabilità è tua.»

La guardia sbatté le palpebre. Dopotutto, erano accadute cose ancora più strane. «Solo un minuto.»

Andò alla porta, chiamò attraverso uno schermo, e un minuto dopo il Sommo caporale apparve all’esterno. Il piantone indicò Gardius con un movimento del pollice. «Quell’uomo dice che è amico dell’Alto Ricognitore. Vuole telefonargli.»

Il caporale sollevò le nere sopracciglia, sorrise indulgente. «Qualcuno pretende di essere il Messia in persona.»

Gardius disse pazientemente: «Voglio parlare con l’Alto Ricognitore al telefono o al teleschermo. Vi dico che lavoravo per lui. Sono qui per sbaglio. Ve la passerete dura se lo ostacolate.»

Il sorriso svanì dalla faccia magra e sarcastica. «Andiamo, allora. Vedremo. Te ne pentirai se stai solo creando fastidi.»

Portò Gardius in un ufficio centrale, dove Gardius raccontò la sua storia a un luogotenente in un’uniforme attillata nera e oro. Il luogotenente indicò un teleschermo. «È lì. Usalo. Titus lo sa, io mi faccio da parte dove cammina l’Alto Ricognitore.»

Gardius guardò il quadrante, premette il bottone che diceva «Ufficio Centrale». Sullo schermo apparve una stella a sette punte, e una voce disse: «Connessione.»

«L’Alto Ricognitore,» disse Gardius.

Apparve un volto aggrottato, una faccia con folte sopracciglia nere, una zazzera ispida di capelli, un naso a becco. «Ebbene?»

«Voglio parlare con l’Alto Ricognitore,» disse Gardius.

«E tu chi sei?» I suoi occhi passarono in rassegna la faccia e l’abbigliamento di Gardius. «Sei uno schiavo. Dov’è il tuo rispetto?»

«Sono Jaime Gardius. Di’ all’Alto Ricognitore che Jaime Gardius vuole parlargli.»

Grugnendo l’uomo si girò, parlò in una griglia, parlò ancora. Si voltò verso lo schermo. «Dice che non ti conosce.»

Dietro a Gardius il luogotenente e il caporale si mossero irrequieti. Disperato, Gardius tentò ancora. «Digli che ci siamo visti per Arman, un mese fa. Che mi ha mandato a inseguirlo.»

L’uomo si girò di nuovo, parlò nella griglia, annuì, parlò ancora. La sua faccia scomparve. Gardius si trovò a guardare nella faccia stretta dell’Alto Ricognitore.

«Ah, Gardius,» disse l’Alto Ricognitore, e rise di una risata esile e allegra. Gardius stette cupamente in silenzio, e arrossì. L’Alto Ricognitore disse infine: «Tutto ciò è ridicolo e triste. Ti ho mandato perché mi riportassi Arman, e invece Arman ti vende al Distributore come schiavo. Non è una farsa?»

«Una farsa davvero,» convenne Gardius. «Comunque, se mi tiri fuori da questo recinto, sarò felice di riprovarci.»

L’Alto Ricognitore scosse la testa. «Ah, mio caro amico, temo di essere impotente. Ormai sei fuori dalle mie mani. Il Patriarca sarebbe indignato se mi immischiassi con le forniture di manodopera. Potevo trattare con te quando avevi un permesso di visitatore. Allora eri inviolabile.

«Ti ho chiesto che mi portassi Arman. Invece è lui che mi ha portato te. Non ti voglio male, ma non ho per te nemmeno gratitudine. No, Gardius, per Maxus vali più come operaio che come rapitore. Servi bene, comportati bene, e fai che non senta più parlare di te.»

Lo schermo si spense.

Gardius rimase a fissarlo, con la bocca ancora piena di parole. Dietro a lui il luogotenente disse con voce pratica: «Riportatelo nel salone.»

Gardius si abituò alle costanti perizie effettuate nel salone. Sovrintendenti al personale con occhi rigorosi valutavano la sua resistenza, la forza, la flessibilità. Signori alla ricerca di azzimati lacchè consideravano il suo equilibrio e il portamento. Le signore delle grandi case di città adorne di colonne, che cercavano valletti e servitori, studiavano il suo fisico e i suoi lineamenti.

Una faccia dal naso ossuto e le labbra sottili attirò la sua attenzione. Guardandolo, il proprietario della faccia corrugò perplesso la fronte, poi si girò eccitato verso un compagno e lo indicò. Gardius lo riconobbe. «Lord Spangle,» mormorò fra sé. «Sono nei guai.»

L’asta era quello stesso pomeriggio. Ad uno ad uno gli occupanti del salone vennero chiamati fuori nell’arena. Il turno di Gardius venne quasi subito. Uscì e rimase immobile a guardare duramente verso la folla.

Il banditore gli sussurrò: «Cerca di assumere un atteggiamento piacevole, ragazzo, ci sono delle signore. Se non riesci ad accaparrarti una signora, sono le miniere o i metalli pesanti, è lì che hanno bisogno di uomini rudi come te. Quindi sii amabile e sorridi alle donne che fanno delle offerte, e forse ti guadagnerai un morbido letto.»

Alzò la voce. «Un uomo da Exar, avvenente e con muscoli sviluppati. Guardate il torace eccellente, osservate il collo diritto, i piedi forti. Un uomo valido in ogni campo, perciò, signore e signori, fatemi sentire le vostre offerte.»

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