Fred Hoyle - L’insidia di Andromeda

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L’insidia di Andromeda: краткое содержание, описание и аннотация

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Si perché il romanzo «L’insidia di Andromeda» non solo è il seguito del primo «A come Andromeda» ma si inserisce cronologicamente dove quest’ultimo termina, con gli stessi personaggi e l’evoluzione della vicenda…

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«Salve, Abu. Sono Fleming. Mi domandavo, visto che siamo vicini alla fine della settimana, se non avremmo potuto fare due chiacchiere. Crede che potrei conoscere la sua famiglia? Temo solo che la mia guardia personale dovrebbe venire con me.»

«Ma certo, professor Fleming; sarò onorato di riceverla.» La voce di Abu era guardinga. «Sarà una buona cosa per lei incontrare qualche persona comune di questo paese. La mia casa è molto semplice, temo, ma lei sarà il benvenuto. Anzi, la prego, rimanga da me per la notte.»

Presero un appuntamento per partire insieme il sabato a mezzogiorno, quando Abu sarebbe stato libero dal lavoro fino al lunedì seguente. Fleming telefonò appositamente all’ufficio di Kaufmann per chiedere il permesso di fare una visita di convenienza. Il tedesco era fuori, ma una segretaria segnò la richiesta. Il lasciapassare fu portato a Fleming in serata. Nessuno ne chiese il motivo.

Abu era l’orgoglioso possessore di una piccola macchina italiana, e la sua casa si trovava a soli trenta chilometri dalla stazione della Intel. Ma, come spiegò mentre correvano sulla carrozzabile lungo l’aeroporto, il contratto lo obbligava a vivere sempre al campo, ad eccezione dei giorni di vacanza.

«A mia moglie questo non piace, ma c’è sua madre con lei,» continuò Abu, «e con il bambino a cui badare, il sabato arriva presto.»

Fleming pensò che la conversazione si stava svolgendo come se si fossero trovati a Surbiton, nel Surrey, o a White Plains, nello stato di New York. Ma le somiglianze finirono presto.

La strada si trasformò prima in un largo sentiero di pietre lisce e quindi in un viottolo di sabbia poco più largo del normale. Abu rallentò un poco, la piccola macchina faticava sotto l’inconsueto peso di tre uomini. La guardia, seduta sul sedile d’emergenza, dietro agli altri, imprecava in arabo per le scosse, e tuttavia sembrava contenta di essere fuori dal campo, anche se il vento continuava ad avvolgere l’automobile in fastidiosi turbini di sabbia.

Il sentiero cominciò a salire gradualmente. Il terreno era divenuto più sassoso. Davanti a loro, la fila delle basse montagne, in realtà colline rocciose, si faceva più precisa, malgrado le intermittenti tempeste di sabbia. Quelle rocce Fleming le aveva sempre guardate, a causa dei loro affascinanti colori, continuamente cangianti attraverso le diverse ore del giorno. Al mattino presto erano rosa e divenivano bianche quando il sole era più alto. A mezzogiorno apparivano velate da caldi vapori; di sera torreggiavano nere e tenebrose.

Abu si diresse verso un piccolo gruppo di fabbricati rettangolari, dal tetto piatto, costruiti su di un piccolo altopiano, immediatamente sotto ad un crepaccio della roccia.

«Quello è il mio villaggio,» disse, «o, almeno, quello dove ho fatto la mia casa. Gli uomini hanno vissuto in questo luogo molti anni prima del vostro Cristo. Guardi!»

Fleming seguì la direzione dello sguardo di Abu. La superficie di roccia portava le tracce di enormi bassorilievi: animali stilizzati e file serrate di guerrieri barbuti. Nessuna di queste sculture era rimasta intatta; da secoli ne cadevano pezzi di pietra frantumata.

«Persiani,» spiegò Abu. «Molti anni fa sono venuti degli archeologi inglesi e poco tempo fa degli americani. Naturalmente ormai se ne sono andati tutti. La cosa alla quale si interessavano veramente era il tempio. Lo vedrà quando avremo girato dietro la prossima curva.»

Rimpicciolito dalle alte pareti di roccia, il tempio era soltanto una rovina, pochi pilastri in mezzo ad un ammasso di sassi. Abu disse che i pilastri erano romani, ma che il posto conservava i resti di parecchie civiltà e religioni — assire, persiane, e qualche tavoletta di origine egiziana. «Come saprà, l’Azaran è stato vassallo di molti imperi. Ma ora non più!»

Girò la macchina, uscendo dal sentiero, e scendendo a sobbalzi per un viottolo da muli. Sua moglie stava già sulla porta della minuscola casa. Era una ragazza graziosa, poco più che una fanciulla. Pur indossando il costume arabo, non portava il velo.

Abbassò gli occhi quando Abu le presentò Fleming, ma il suo benvenuto fu caloroso ed espresso in un inglese perfetto. «Lemka è andata all’università del Cairo con le prime studentesse del piano del colonnello Nasser,» disse Abu orgoglioso.

«Avrà caldo,» disse Lemka a Fleming, «la prego, venga dentro, al riparo da questo vento terribile. È più fresco. Forse gradirà un bicchiere del nostro vino.» Dette un’occhiata alla macchina e vide il soldato, semisdraiato dal lato dell’ombra.

«Cosa fa lì quell’uomo?» domandò, afferrando il braccio del marito. «Sei forse sotto sorveglianza, ora?»

«È una scorta per il professor Fleming,» disse Abu, ma ella non parve soddisfatta.

«Ci sono molti guai in città?» domandò ancora. «La radio dice così poco. Soltanto che il colpo di stato è finito, e che siamo di nuovo in pace. È così?»

«Sì,» disse Abu, «tutto è di nuovo normale. Ora portaci qualcosa da bere, e prepara il pranzo. Ho detto al mio amico che gli avrei fatto mangiare quello che gli inglesi chiamano pot luck.»

Lemka andò nella piccola cucina attraverso un’apertura nascosta da una tenda.

«Mia moglie è cristiana,» disse Abu, «è per questo che non porta il velo, come la maggior parte delle mogli arabe.»

«Ma lei è mussulmano, vero? Il suo è un nome mussulmano.»

«Io sono uno scienziato,» ribatté Abu, «e sono anche un nazionalista.»

Fleming si accomodò meglio sul basso sgabello senza schienale. «E io sono per l’intera razza umana, più o meno. Mi ascolti, Abu. Lei non mi ha creduto a proposito del calcolatore, vero? Bene, mi creda almeno a proposito della ragazza.»

Lemka rientrò con una caraffa di vino e dei bicchieri. Ne versò un poco e porse il bicchiere a Fleming. Il vino era dolce e leggero, ma rinfrescante.

«È una combinazione piuttosto semplice,» cominciò Fleming, noncurante del fatto che Lemka ascoltasse. «La Intel ha costruito il calcolatore ed ha impiegato lei perché lo renda operativo. Come sa, dopo che Neilson se ne fu andato non funzionava, così hanno rapito me ed io ho portato la ragazza. Lo scopo della Intel era di conquistare un vantaggio tecnico su tutti gli altri competitori, ed una base ben protetta dalla quale operare. Ecco il perché del missile al quale sta lavorando. Il vostro presidente era d’accordo su tutto. Questo ha favorito l’intelligenza che era dietro il calcolatore. Ma non ha favorito Salim. Era un uomo intelligente ed ambizioso. Voleva il controllo assoluto di tutte le operazioni.»

«Era un patriota,» disse Abu con tono di sfida.

Fleming si strinse nelle spalle. «Non era comunque uomo da tenere un ruolo secondario e sottoposto ad un’altra influenza. Andromeda lo sapeva, o, almeno, lo seppe dal calcolatore, che era in grado di prevedere una simile eventualità. Così André prese una decisione: mettere di fatto tutto il potere nelle mani della Intel. Il messaggio, o parte di esso, fu mostrato al nostro affascinante capo, ed il significato le fu spiegato da André la notte che rimasero sole al calcolatore.»

«E questo la poteva influenzare?» Abu era pieno di dubbio.

«Influenzarla?» replicò Fleming. «Ossessionarla completamente. Fece uccidere Salim, o forse gli sparò lei stessa. È come un neofita che ha una visione. L’ha resa fanatica.»

«Come san Paolo?»

Entrambi gli uomini sussultarono; avevano dimenticato Lemka. «Ma può essere messa in parole, una visione?» domandò ancora.

«San Paolo c’è riuscito,» disse Fleming.

«L’ha soltanto descritta nella vostra Bibbia,» disse Abu. «Non avrebbe potuto trasmetterla come veramente era stata per lui.»

«Ha ragione,» disse Fleming, «non si possono trasmettere simili cose; però si possono imporre. Questa era infatti l’intenzione del calcolatore, poi di Andromeda, ed ora della Gamboul. Ne potrei anche descrivere le conseguenze. Quanto a me, ho dato un’occhiata a quella descrizione.»

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