Fred Hoyle - L’insidia di Andromeda
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Fleming si accigliò. «Ma sono sicurissimo, purtroppo, che il nostro rapporto sul bilancio, prodotto dalla sezione della memoria del calcolatore, è già stato bellamente manomesso attraverso il programma formulato dal messaggio originale, quello di Andromeda. E così i circuiti di scelta eseguiranno i loro ordini, non i nostri.»
«A meno che noi non li cambiamo.»
Fleming si alzò e prese a passeggiare per la stanza. «I nostri cambiamenti non sarebbero che degli impoverimenti. Il glorioso risultato non sarebbe che una macchina calcolatrice. Né nemica, né alleata. Non avrebbe significato e nemmeno scopo.»
«Ma lo scopo potremmo darglielo noi,» disse André insistente, «uno scopo che possiamo comunicarle; o, almeno, che io possa comunicarle. Posso farlo, John.»
«Ne avevo il sospetto; ecco perché ho tentato di tenerti lontana dalla macchina.»
«Non puoi,» disse la ragazza tranquillamente, «è il motivo per il quale io… io sono qui.» Tese una mano e carezzò quella di lui.
«Se vuoi usare il calcolatore, ti dovrai fidare di me.»
Egli si volse e la fissò, cercando di guardarla in fondo agli occhi. «Credo che andrò a fare un giretto per il campo,» disse all’improvviso, «tu vai a riposare, non sei ancora a posto. E non pensare troppo a tutto questo.»
Fleming passò oltre la sentinella, e prese a passeggiare su e giù per lo spiazzo di terreno sabbioso ed arido che si stendeva intorno ai fabbricati. Poi si diresse verso la casa della Dawnay.
Madeleine era circondata da carte geografiche del paese, e prendeva appunti su alcuni fattori geologici. Sembrò lieta di lasciare il lavoro e di mettersi a chiacchierare.
Fleming le disse della fiducia di André, e come invece egli fosse convinto che la ragazza avrebbe avuto una grande delusione; questo calcolatore l’avrebbe dominata come l’altro.
Madeleine lo guardò pensierosa. «Non la penso così, John,» disse. «No, a meno che tu non la lasci sotto l’influenza della macchina. Se ti dimostrerai ostile e sospettoso, ti alienerai André. Tu hai costruito dei legami, tra te e lei… normali legami emozionali. E questo influenza molto.»
Egli guardò da un’altra parte. «Quello che voglio sapere, Madeleine, è cosa le sta accadendo…. fisicamente, intendo.»
«Quello che hai potuto vedere tu stesso. Una specie di deterioramento del controllo muscolare. La farò esaminare, se vuoi. Ma se si tratta, come sospetto, di una qualche deficienza motoria nel suo sistema nervoso, non possiamo farci niente.»
«Dio mio,» disse Fleming aspramente, «povera bambina.» Rimase silenzioso per un momento. «Potrebbe rientrare nel programma del quale André fa parte: toglierla di mezzo appena il lavoro sarà stato fatto.»
«C’è anche la possibilità che dipenda da un mio errore,» disse la Dawnay. «L’ho fatta io… evidentemente con una possibilità di deterioramento insita nella sua costituzione.» Cercò di controllarsi e sorrise. «Veramente non hai scelta, John. Dovrai fidarti di lei, come lei si è fidata di te, durante tutti questi ultimi tempi. Lascia che alteri il calcolatore nel modo che ritiene migliore e lasciala lavorare con esso.» Rapidamente, piegò la testa sulle sue carte, in modo che lui non potesse vedere le lacrime, così poco usuali per lei. «Da quello che ho potuto vedere del suo tono muscolare, non durerà a lungo. Lascia che i suoi ultimi giorni siano felici ed utili a qualcosa. Forse riuscirà persino a tirarti fuori di qui.»
Fleming andò a trovare André nella sua stanza linda, piccola, e con l’aria condizionata come la sua. Era seduta, e stava mangiando il suo pasto su di un vassoio. Fu molto spaventato, sia dal modo in cui la ragazza parlava del suo lavoro, quanto dalla difficoltà che evidentemente trovava nel portare il cibo alla bocca; ma si sentì sollevato dal fatto che il suo modo di parlare non fosse diventato ancora sconnesso. L’indebolimento non aveva colpito i muscoli vocali né, grazie al cielo, il cervello.
Quando ebbe finito di mangiare, egli le prese il braccio, e si incamminarono verso l’edificio del calcolatore. Malgrado che il sentiero fosse molto liscio, André inciampò due o tre volte.
Appena fu davanti al pannello del calcolatore, André sembrò riguadagnare tutte le sue forze. Automaticamente, assunse il controllo della macchina, che si risvegliò all’istante, mentre il ticchettio dei relay faceva da accompagnamento al solito basso mormorio ininterrotto. Presto gli oscillografi cominciarono a pulsare, e sullo schermo principale apparvero delle forme coerenti.
Fleming si era fermato in fondo alla stanza con Abu Zeki, e fissava André seduta davanti alla consolle dei controlli, con il capo alzato a guardare lo schermo che era sopra di lei. Finalmente, la ragazza, con aria soddisfatta, voltò verso di loro la sedia girevole sorridendo trionfante.
«È fatta,» disse, «il calcolatore è operativo.»
Abu si volse incredulo a Fleming. «È vero? Questa ragazza lo ha fatto, professore? In pochi minuti?»
Fleming lo spinse nel suo ufficio, e sedette di fronte a lui. «Le devo chiedere di accettare come fatti reali le cose che ora le dirò. La ragazza è in grado di comunicare con il calcolatore, raccogliendone le onde elettromagnetiche, interpretandole, e ritrasmettendo i suoi ordini nello stesso modo.» Fece una pausa. «Non mi crede, naturalmente?»
«Forse devo crederle, ma non la capisco,» confessò Abu. A Fleming piaceva il giovane scienziato arabo; emanavano da lui onestà ed un senso di interiore decoro. Era convinto che un simile uomo potesse essere un alleato. Gli disse, quindi, come André fosse un essere fabbricato dall’uomo, costruito allo scopo di creare un legame con il calcolatore, anche se questa non era stata l’intenzione dei suoi mentori umani.
Abu ascoltò con attenzione, ma poi protestò educatamente, insistendo sul fatto che il sistema di comunicazione tra la ragazza e la macchina rimaneva inesplicabile.
«Mi ascolti,» disse Fleming, «noi abbiamo occhi, orecchie e naso, perché sono gli strumenti migliori per raccogliere le informazioni nel nostro tipo di mondo. Ma questi non sono gli unici sensi che possediamo, nemmeno la gente comune come lei e me. Vi sono altri sensi che non abbiamo sviluppato, ed altri che abbiamo lasciato atrofizzare. La ragazza ha un senso che a noi manca, ed è quello che usa in questo caso. Per dare informazioni alla macchina e per riceverne.»
«E come intende usarlo?» chiese Abu.
Fleming si strinse nelle spalle. «Lo sa il cielo, Zeki, lo sa solo il cielo.»
Entrambi sussultarono, ad un leggero suono proveniente dalla porta. Non si erano accorti che André l’aveva aperta, ed era entrata silenziosamente.
«Come volete che lo usi?» domandò la ragazza.
Ma non attese la loro risposta. Con passi esitanti, che divenivano più veloci mentre si avvicinava alla macchina, tornò verso il pannello dei controlli.
Appena Zeki ebbe digerito le informazioni dategli da Fleming, divenne immediatamente ansioso di usarle. Pur essendo un ragazzo come tanti altri dell’Azaran, Abu era stato più fortunato per il fatto che suo padre lavorava agli impianti petroliferi. La compagnia, in quel periodo, aveva offerto molte facilitazioni per rendere possibile l’educazione dei figli degli operai. Abu ne aveva profittato. Un insegnante inglese dotato di immaginazione si era reso conto delle possibilità del ragazzo e lo aveva aiutato, occupandosi di lui nel tempo libero.
Quando Abu aveva sedici anni, era cominciato il nuovo regime e il presidente idealista aveva subito annunciato un programma di borse di studio. Abu Zeki si trovò ad essere tra i primi venti giovani selezionati; egli era, in realtà, l’unico vero successo del piano scolastico.
Naturalmente, Abu serbava riconoscenza di tutto ciò. Ed era anche molto patriottico. La possibilità di lavorare alla costruzione di un calcolatore che avrebbe superato tutti quelli esistenti nel mondo, lo aveva entusiasmato. La presenza di alcuni europei a dirigere le sue attività gli era sembrata assolutamente normale. Gli era stato detto che la Intel aveva la responsabilità dell’impresa. Cosa fosse la Intel, egli non lo sapeva e non gli importava di saperlo. La cosa più importante era che si trattava di un progetto azaranita per il miglioramento del paese. Abu era convinto non solo del fatto che la sua carriera si sarebbe presentata piena di fortuna e di promesse, ma anche che lavorare per assicurare quella stessa vita al suo piccolo figlio era una cosa ancora più bella.
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