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Fredric Brown: Arena

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Fredric Brown Arena

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Il futuro dell’umanità dipendeva da lui. Era tremendo rendersi conto di questo, e scacciò via subito dalla mente questo pensiero. Ora doveva concentrarsi sui problemi immediati.

Doveva ben esserci un modo per attraversare quella barriera, o di uccidere attraverso essa.

Mentalmente? Sperò che questo non fosse l’unico modo, poiché il Rotolante possedeva, ovviamente, poteri telepatici assai più forti di quelli appena abbozzati di un essere umano… Oppure no?

Ma era forse riuscito, lui, a respingere dalla sua mente i pensieri del Rotolante? Sarebbe stato capace, l’alieno, di respingere i suoi? Se anche la sua capacità di proiettare era più forte, non era possibile che il suo meccanismo ricettivo fosse più vulnerabile?

Lo fissò, e si sforzò di focalizzare tutti i suoi pensieri su di lui.

« Muori », pensò. « Stai per morire, stai morendo, sei… » .

Tentò molte variazioni sul tema, le più diverse e tremende immagini mentali. Il sudore gl’imperlò la fronte, e ben presto si accorse che stava tremando per l’intensità dei suoi sforzi. Ma il Rotolante continuò ad esplorare il cespuglio, del tutto impassibile, come se Carson gli stesse recitando la tavola pitagorica.

Dunque, quel sistema non funzionava.

Si sentiva sempre più debole, a causa del caldo opprimente e dei suoi strenui sforzi di concentrarsi. Si sedette sulla sabbia azzurra per riposarsi, e dedicò tutta la sua attenzione a studiare il Rotolante. Forse, continuando a studiarlo da vicino, avrebbe potuto valutare la sua forza fisica e individuare i suoi punti deboli… imparare cose preziose in previsione del momento in cui si sarebbe scatenato il corpo a corpo.

Il Rotolante stava spezzando dei ramoscelli. Carson l’osservò attento, cercando di stimare la fatica che gli costava farlo. Più tardi, pensò, a sua volta avrebbe cercato un cespuglio come quello, sul suo lato dell’emisfero, e avrebbe spezzato dei ramoscelli di uguale spessore, acquisendo, così, un termine di confronto tra la forza delle sue braccia e quella dei tentacoli dell’alieno.

I ramoscelli si rompevano con difficoltà; vide che il Rotolante doveva lottare con ognuno di essi. Notò che ogni tentacolo si biforcava all’estremità in due dita, ognuna con sulla punta un’unghia, o meglio un artiglio. Ma quegli artigli non sembravano particolarmente lunghi e pericolosi. Non più, comunque, delle sue unghie, se le avesse fatte crescere un po’. No, nell’insieme non gli parve che il Rotolante fosse un avversario troppo temibile, nel caso di un corpo a corpo. A meno che, naturalmente, quei cespugli non fossero fatti di un materiale troppo duro. Carson si guardò intorno e, sì, proprio alla sua portata c’era un cespuglio esattamente dello stesso tipo.

Allungò una mano e spezzò un ramoscello. Era fragile, facile da spezzare. Naturalmente, il Rotolante poteva aver finto d’incontrare difficoltà, ma lui non lo credeva.

D’altro canto, in quali punti era vulnerabile? Come avrebbe potuto ucciderlo, se gli si fosse presentata l’occasione? Tornò a voltarsi verso il Rotolante e a studiarlo. La pelle, o almeno lo strato più esterno, pareva assai coriacea. Avrebbe avuto bisogno di un’arma acuminata. Raccolse un’altra volta la pietra appuntita. Era lunga all’incirca trenta centimetri, sottile, e la punta a un’estremità era abbastanza aguzza. Se si scheggiava come la selce, avrebbe potuto renderla ancora più tagliente.

Il Rotolante stava continuando la sua esplorazione. Rotolò fino al cespuglio successivo, alquanto diverso dal primo. Una piccola lucertola azzurra, con tante zampe, come quella che Carson aveva visto prima, sul proprio territorio, sfrecciò da sotto il cespuglio.

Un tentacolo del Rotolante schizzò fuori e l’afferrò, sollevandola. Un secondo tentacolo sferzante si aggiunse al primo e cominciò a strappare le zampe della lucertola, con la stessa gelida efficienza con cui, fino a un attimo prima, aveva strappato le foglie al cespuglio. La lucertola lottò freneticamente, lanciando uno strillo acuto, il primo suono che Carson avesse udito, oltre alla propria voce.

Carson rabbrividì a quella scena, e avrebbe voluto distogliere lo sguardo. Ma si costrinse a guardare: qualunque cosa avesse potuto apprendere sul suo avversario avrebbe potuto dimostrarsi preziosa. Perfino sapere quanto fosse inutilmente crudele. Soprattutto, pensò, mentre un’improvvisa, frenetica ondata di rabbia saliva in lui, quella sua inutile, disgustosa crudeltà. Ciò, se non altro, gli avrebbe reso piacevole uccidere quella creatura, se e quando l’occasione gli si fosse presentata. Proprio per questo motivo resistette al disgusto e seguì fino in fondo lo smembramento della lucertola.

E fu contento, quando con le zampe per metà strappate, la lucertola smise di squittire e di dimenarsi e giacque, floscia e morta, nella stretta del Rotolante. L’alieno ovviamente non si divertiva più e non strappò le zampe rimaste. Con disprezzo scagliò lontano da sé la lucertola morta, in direzione di Carson. L’animaletto descrisse un arco fra loro e atterrò ai suoi piedi.

Aveva attraversato la barriera! La barriera non si trovava più là!

Carson balzò fulmineo in piedi, la pietra acuminata stretta in mano, e si scagliò in avanti. Avrebbe sistemato la faccenda lì, e subito! Con la scomparsa della barriera…

Ma non era scomparsa. Lo scoprì nel modo più sgradevole, battendoci contro la testa, e la violenta botta quasi gli fece perdere i sensi. Rimbalzò indietro e cadde.

Quando si rialzò, scrollando la testa per schiarirsela, colse con lo sguardo qualcosa che arrivava volando verso di lui, e per schivarlo si gettò lungo disteso sulla sabbia, appiattendosi. Malgrado la sua fulminea reazione, avvertì ugualmente un improvviso, acuto dolore al polpaccio sinistro.

Rotolò all’indietro, ignorando il dolore, e si rialzò. Ora vide che era stata una pietra a colpirlo. E vide anche il rotolante che ne stava raccogliendo un’altra, bilanciandola all’indietro fra due tentacoli, pronto a scagliarla di nuovo.

Anche questa pietra volò nell’aria verso di lui, ma stavolta fece in tempo a scansarla. A quanto pareva, il Rotolante poteva lanciare diritto, ma senza molta forza e non molto lontano. La prima pietra l’aveva colpito soltanto perché lui era seduto e non l’aveva vista fino a quando ormai gli era quasi addosso.

E nel medesimo istante in cui balzava di lato per schivar il secondo proiettile, Carson portò indietro il braccio destro e scagliò a sua volta la pietra che ancora stringeva in mano. Se una pietra, pensò con improvvisa esultanza poteva attraversare la barriera, allora il gioco di scagliar pietre può esser fatto in due. E il robusto braccio destro d’un terrestre…

Non poteva certo mancare una sfera d’un metro di diametro a soli quattro metri di distanza… e non la mancò. La pietra schizzò verso il bersaglio a una velocità molto superiore a quella dei proiettili scagliati dal Rotolante, e lo centrò in pieno, ma sfortunatamente lo colpì di piatto e non di punta.

Comunque, lo colpì con un tonfo sordo, e gli fece, chiaramente, molto male. Il Rotolante aveva afferrato un’altra pietra per scagliarla, ma cambiò idea e se ne andò. Quando Carson riuscì a trovare un’altra pietra per lanciarla, il Rotolante era già a quaranta metri dalla barriera e se la filava in fretta.

Il secondo lancio di Carson mancò il bersaglio di oltre un metro, e il terzo lancio fu corto. Il Rotolante era fuori tiro… o quanto meno, fuori tiro per un proiettile abbastanza massiccio da nuocergli.

Carson sogghignò. Aveva vinto il primo round. Ma…

Smise subito di sogghignare quando si chinò a esaminare il polpaccio ferito. L’orlo tagliente della pietra aveva lasciato un taglio profondo, lungo parecchi centimetri. Sanguinava abbondantemente, ma Carson non pensò che fosse arrivato tanto in profondità da troncargli un’arteria. Se avesse smesso di sanguinare da solo, bene. Altrimenti si sarebbe trovato nei guai.

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