Fredric Brown - Arena
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- Название:Arena
- Автор:
- Издательство:SIAD Edizioni
- Жанр:
- Год:1982
- Город:Milano
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E aveva perso i sensi.
E questo era stato tutto. Adesso, era seduto su quella calda sabbia azzurra, completamente nudo ma per il resto illeso. Nessuna traccia della sua nave spaziale ma — se era per questo — neppure nessuna traccia dello spazio. Quell’alta cupola sopra di lui non era il cielo, pur se era impossibile capire cosa diavolo fosse.
Si alzò in piedi.
La gravità gli parve un po’ più alta di quella terrestre. Non molto di più.
La sabbia si stendeva, piatta, in tutte le direzioni, poche chiazze cespugliose qua e là. Anche i cespugli erano azzurri, ma di differenti sfumature, alcuni più chiari dell’azzurro della sabbia, altri più scuri.
Da un vicino cespuglio scivolò fuori una piccola creatura che assomigliava a una lucertola, ma aveva più di quattro zampe. Anch’essa era azzurra. Di un azzurro vivo. Lo vide, e tornò di nuovo, correndo, sotto il cespuglio.
Alzò di nuovo lo sguardo, cercando di decidere cosa mai ci fosse sopra di lui. Aveva la forma di una cupola, ma non lo era. Sembrava tremolare, ed era difficile tenervi puntato lo sguardo. Ma, decisamente, s’incurvava sempre di più fino a raggiungere il suolo, vale a dire la distesa di sabbia azzurra che lo circondava da ogni lato.
Lui, non era molto lontano dal centro della cupola. Valutò a occhio di trovarsi a un centinaio di metri dalla parete più vicina, sempre che fosse una parete. Era un grande emisfero azzurro di qualcosa , con una circonferenza di circa duecentocinquanta metri, che sovrastava l’intera distesa di sabbia.
Tutto era azzurro lì… salvo una cosa. Si avvide, in quell’istante, di qualcosa di rosso laggiù, vicino alla parete opposta. Più o meno sferico, pareva avere all’incirca un metro di diametro. Era troppo lontano da lui, perché potesse distinguerlo chiaramente attraverso quell’azzurro tremolante. Ma, inspiegabilmente, rabbrividì.
Si asciugò il sudore sulla fronte, o cercò di farlo, col dorso della mano.
Era forse un sogno, un incubo? Quel calore soffocante, quella sabbia azzurra, quella vaga sensazione di orrore che avvertiva quando fissava quella cosa rossa?
Un sogno? No, non ci si addormentava, né ci si metteva a sognare, nel bel mezzo di una battaglia nello spazio.
La morte? No, neppure. Se c’era un’altra vita dopo la morte, non sarebbe stata una cosa priva di senso come quella, fatta di calore azzurro, di sabbia azzurra e di un rosso orrore.
Poi, udì la voce…
La sentì dentro la testa, non con le orecchie. Non sembrava venire da un punto preciso, ma da ogni direzione.
« Vagando attraverso lo spazio e le dimensioni », dissero le parole nella sua mente, « incontro qui, in questo spazio e in questo tempo, due popoli sul punto di scatenare una guerra che sterminerebbe l’uno e indebolirebbe l’altro a tal punto da farlo regredire allo stato selvaggio, al punto da impedirgli di realizzare il proprio destino, precipitando per sempre nella polvere da cui è uscito. Io dico che questo non deve accadere » .
«Chi… chi sei tu?» Carson non lo disse ad alta voce, ma la domanda si formò nel suo cervello.
« Non riusciresti mai a capirlo completamente. Io sono… » Vi fu una pausa, come se la voce cercasse — nel cervello di Carson — una parola che non c’era, una parola a lui sconosciuta. « Io sono la fine dell’evoluzione di una razza così antica che la sua età non può venir espressa in parole che abbiano significato per la tua mente. Una razza fusa in una singola entità, eterna…
« Una entità quale la tua razza primitiva potrebbe diventare… » ancora una volta quel brancolare alla ricerca di una parola, «… un giorno. E così pure potrebbe diventarlo quella razza che tu chiami, nella tua mente, gli Invasori. Così, sono intervenuto prima dell’imminente battaglia, una battaglia tra due flotte di forza quasi identica, al punto che ne risulterebbe la distruzione di entrambe le razze. Una delle due deve sopravvivere. Una deve progredire ed evolversi ».
« Una? » pensò Carson. «La mia o…»
« Ho il potere di fermare la guerra, di rimandare gli Invasori nella loro galassia. Ma tornerebbero. Oppure, la tua razza, presto o tardi, li seguirebbe fin laggiù. Solo restando in questo spazio e in questo tempo, sempre vigilante, potrei impedire che le due razze si distruggano l’una con l’altra, e io non posso restare.
« Perciò, intervengo adesso. Distruggerò completamente una flotta, senza nessuna perdita per l’altra. Così, una delle due civiltà sopravviverà » .
Un incubo. Doveva essere un incubo, pensò Carson. Ma sapeva che non lo era. Era troppo pazzesco, troppo impossibile, perché fosse qualcosa di diverso dalla realtà.
Non osava far la domanda: Quale delle due? Ma furono i suoi pensieri a farla per lui.
« Sopravviverà la più forte », disse la voce. « Questo non posso… e non voglio cambiarlo. Io interverrò soltanto per farne una vittoria completa, non… » cercò di nuovo le parole, «… non una vittoria di Pirro per una razza semidistrutta, infiacchita.
« Dai confini di una battaglia non ancora accaduta ho prelevato due individui, tu e quell’invasore. Vedo nella tua mente che all’inizio della civiltà, all’insorgere dei primi nazionalismi, i duelli fra due singoli campioni per decidere della supremazia fra due popoli, non erano sconosciuti. Tu, e il tuo avversario, vi trovate qui, opposti l’uno all’altro, nudi e disarmati, in condizioni del tutto inconsuete, ugualmente sgradevoli per ambedue. Non c’è limite di tempo, poiché qui non c’è il tempo. Il sopravvissuto sarà il campione della sua razza, e quella razza sopravviverà » .
«Ma…» La protesta di Carson era troppo inarticolata per esprimersi in parole. La voce rispose ugualmente:
« Le condizioni sono esattamente alla pari: il maggior vigore fisico dell’uno o dell’altro dei contendenti non potrà essere un fattore decisivo. C’è una barriera. Lo constaterai. L’intelligenza e il coraggio saranno più importanti della forza fisica. Soprattutto il coraggio, che è la volontà di sopravvivere » .
«Ma mentre noi lotteremo, qui, le flotte…»
« No, voi vi trovate in un altro spazio, in un altro tempo. Finché vi troverete qui, il tempo rimarrà immobile nell’universo che conoscete. Vedo che ti stai chiedendo se questo luogo sia reale. Lo è e non lo è. Proprio come io — per la tua limitata comprensione — sono e non sono reale. La mia esistenza è mentale, non fisica. Mi hai visto come un pianeta; avrei potuto ugualmente apparirti come un granello di polvere o una stella.
« Ma, per te, questo posto adesso è reale. Ciò che soffrirai qui, sarà reale. E se morirai qui, la tua morte sarà reale, e la tua sconfitta significherà la fine della tua razza. È sufficiente che tu sappia questo » .
La voce scomparve.
Di nuovo, era solo. Ma non del tutto solo poiché, non appena Carson sollevò lo sguardo, vide che la creatura rossa, quell’orrore rosso che era, lui lo sapeva adesso, l’invasore, stava rotolando verso di lui.
Rotolando.
Gli parve che non avesse né braccia, né gambe, né lineamenti riconoscibili. Rotolava sulla sabbia azzurra con la rapidità di una goccia di mercurio. E proiettava davanti a sé, in qualche modo che non riusciva a capire, un’ondata agghiacciante d’odio… nauseabondo, orrido, repulsivo.
Carson si guardò intorno freneticamente. Una pietra giaceva sulla sabbia, a poco più di un metro da lui, l’oggetto più simile a un’arma. Non era grande, ma aveva i bordi acuminati, come una scheggia di selce. Una selce azzurra.
L’afferrò, si rannicchiò su se stesso per affrontare il nemico. Stava arrivando in fretta, più in fretta di quanto lui potesse correre.
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