Spider Robinson - Con qualunque altro nome

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Vincitore del premio Hugo per il miglior romanzo breve
in 1977.

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Una volta, quando avevo dodici anni, avevo visto un Agro uccidere un pollo, e quando la carcassa senza testa s’era alzata e s’era messa a correre, io avevo sentito di nuovo l’urlo di mia madre. Mio padre mi ha detto che rimasi svenuto per quattro giorni e mi svegliai gridando.

Persino lì, persino nella parte bassa della città, dove le ossa sparse dovunque erano di estranei, io ero teso da scoppiare, e gli antichi riflessi lottavano contro la saggezza moderna mentre provavo l’impulso irrazionale di alzare la testa e di cercare l’odore del nemico. Non avevo potuto recuperare le ossa di Izzy; i Fratelli Grigi, che erano sempre vissuti ad Harlem, adesso vi regnavano, e avevano i denti molto aguzzi. Ero riuscito a tenere a bada il branco squittente con le bombe incendiarie fino a che avevo raggiunto l’Hudson; e quelli non avevano attraversato il ponte per inseguirmi. E così ero sopravvissuto… almeno fino a quando la cancrena non mi avrebbe liquidato.

E l’unica cosa che stava tra me e Fresh Start era Carlson. Vedevo con gli occhi della mente il manifesto di Carlson, la prima cosa che mio padre aveva stampato non appena aveva avuto accesso a un ciclostile: un disegno straordinariamente dettagliato del volto magro da accademico circondato da una massa di capelli grigi, con la scritta: «RICERCATO PER L’ASSASSINIO DELLA CIVILTÀ UMANA — WENDELL MORGAN CARLSON. Verrà data una fornitura a vita di proiettili termici a chi porterà la sua testa al Consiglio di Fresh Start.»

Nessuno si è mai presentato a incassare la ricompensa offerta da mio padre… o almeno, nessuno è sopravvissuto per venire a incassarla. Quindi sembrava che toccasse a me regolare il conto di un’epoca distrutta e di un pianeta pieno di cadaveri. Adesso l’eroina incominciava a fare effetto: provavo un senso esaltato del destino e la smania di darmi da fare. Ero lo strumento debitamente prescelto per la vendetta dell’umanità, e la resa dei conti era dovuta da un pezzo.

Sganciai dalla cintura una delle bombe incendiarie rimaste (mi dava conforto tenere nella mano quella potenza) e continuai a camminare verso la parte alta della città. Mi sembrava di avere molto più di vent’anni. E mentre andavo in caccia della mia preda tra i canyon di cemento e le colline di pietra, mi sorpresi a pensare al suo crimine, ai moventi tortuosi che avevano prodotto quella giungla desolata e innumerevoli centinaia di altre simili. Ricordai il resoconto di prima mano che mio padre aveva fatto delle azioni di Carlson, ripetuto tante volte durante la mia giovinezza che quasi avrei potuto recitarlo a memoria; ascoltai di nuovo la Genesi del mondo che avevo appreso dal suo primo storico, mio padre, Jacob Stone. Sì, quello Stone, l’unico uomo che Carlson non si aspettava che sopravvivesse, per gridare in un pianeta devastato il nome del suo assassino. Jacob Stone, il quale rivelò per primo il nome poi divenuto una maledizione, una bestemmia e un urlo di rabbia nella gola di tutta l’umanità. Jacob Stone, che disse il nome del nostro traditore: Wendell Morgan Carlson.

E mentre ripensavo a quella storia terribile, tenevo la mano accanto al fucile con il quale speravo di scriverne il lieto fine…

II

Da HO LAVORATO CON CARLSON di Jacob Stone, Ph.D., versione autorizzata; Fresh Start Press 1986 (Edizione ciclostilata)

… L’olfatto è un fenomeno curioso, che resiste stranamente alle misurazioni e a un’analisi rigorosa. Ogni essere vivente sulla Terra sembra possederlo nella misura necessaria per sopravvivere, e un poco di più. Il naturale senso umano dell’olfatto, per esempio, è sempre stato più efficiente di quanto si rendesse conto la maggioranza della gente, al punto che poco dopo il 1880 il deliziosamente eccentrico Sir Francis Galton era riuscito, associando i numeri a certi odori, ad imparare a fare sottrazioni e addizioni con l’olfatto, apparentemente solo come esercizio intellettuale.

Ma tramite una specie di circuito soppressore neurologico del quale non si sa quasi nulla, moltissimi riuscivano a ignorare tutti i messaggi portati dai loro nasi, eccettuati i più piacevoli e i più fastidiosi, forse per reazione a un mondo che cambiava, nel quale un apparato olfattivo finemente sintonizzato era divenuto una seccatura più che un ausilio per la sopravvivenza. Il livello di sensibilità necessario a un lupo per trovare il cibo sarebbe un ostacolo per un essere umano civile ammassato in una città piena di suoi simili.

Prima del 1983 il professor Wendell Morgan Carlson aveva portato l’olfattometria al livello d’una scienza esatta. Mentre collaudava le teorie di Beck e di Miles, Carlson perfezionò quasi distrattamente la classica tecnica «blast-injection» per misurare la sensibilità differenziale olfattiva, indipendentemente dalle impressioni personali del soggetto. Questo non soltanto affinò i suoi dati ma gli permise anche di lavorare con esseri non umani, un vantaggio singolare quando si considera quanta parte del cervello umano costituisce una «terra incognita».

I suoi primi esperimenti successivi indicarono che il lupo normale utilizza il suo olfatto in modo mille volte più efficiente di un umano. Carlson intuì che i lupi vivevano in un mondo di odori, ricco e complesso come i nostri mondi umani della vista e della parola. Con sua sorpresa, tuttavia, scoprì che la sensibilità potenziale dell’apparato olfattivo umano superava di gran lunga quella di ogni specie sconosciuta.

Questo destò il suo interesse…

… Wendell Morgan Carlson, il più grande biochimico che vi fosse mai stato alla Columbia, o forse al mondo, era la prova vivente della verità lapalissiana secondo la quale un genio può essere maledettamente stupido al di fuori della sua specialità.

Un genio lo era, indiscutibilmente; non fu il caso a fruttargli il Premio Nobel per aver isolato un rimedio per l’intera gamma delle infezioni da virus chiamate «comune raffreddore». Fu piuttosto quel tipo di caso ispirato che capita soltanto a coloro che sono abbastanza intelligenti da percepirlo, ai ricercatori fanatici come Pasteur.

Ma Pasteur era un cafone e un vanitoso, che sperperava tempo prezioso in polemiche puerili con uomini che non erano degni di lavare le sue provette. Raramente il genio è anche indizio di buon carattere.

Carlson era un radicale di sinistra.

Peggio ancora, era quel tipo di radicale che sogna imprese romantiche su uno sfondo di celluloide: ribelli dagli occhi truci che piazzano bombe fatte in casa, assassinano i tronfi oppressori nelle loro roccheforti e (sebbene senza dubbio sapesse cos’era l’idrogeno solforato) fuggivano passando per le fogne.

Non gli era mai passato per la mente che ci volesse un uomo molto speciale per fare il guerrigliero. Era convinto che l’indignazione morale acquisita a Washington nel ’71 (quando non era ancora laureato) l’avrebbe aiutato a superare difficoltà e privazioni, e sarebbe inorridito se qualcuno gli avesse fatto notare che Che Guevara disponeva raramente di carta igienica. Poiché non aveva mai provato la fame, credeva che fosse uno stato esaltante. Viveva un’esistenza compartimentalizzata, e il suo straordinario talento di biochimico aveva pareti robustissime: soltanto al loro riparo era capace di ragionamenti logici e di vere intuizioni. Da adolescente aveva passato un anno disastroso in seminario, entrandovi come «ardito di Maria», e ne era uscito da apostata ma ancora ossessionato dal bisogno implacabile di Servire Una Causa… e per caso il grido del 1982 era, ancora una volta: «Rivoluzione!»

Carlson lasciò i tranquilli corridoi della Columbia nel luglio di quell’anno e fece domanda per entrare nel ramo più piccolo (la cosiddetta Action-Faction) dei New Weathermen con il compito di sicario. Per fortuna lo presero per pazzo e lo buttarono fuori. Al Fronte Africano di Liberazione ebbero meno criterio… gli spaccarono una gamba in tre punti. Al pronto soccorso del Jacobi Hospital, Carlson pervenne alla conclusione che il guaio di Servire Una Causa stava nel fatto che comportava la frequentazione di individui insensibili e pericolosamente imprevedibili. Aveva bisogno di una Causa Per Un Uomo Solo.

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