Clifford Simak - La grotta dei cervi danzanti

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In una grotta dipinta dagli uomini di Cro-Magnon un archeologo ritrova alcune impronte digitali che scopre appartenere ad un suo assistente, evidentemente una frode… oppure no?
Vincitore dei premi Hugo, Nebula e Locus per il miglior racconto breve
in 1981.

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Quella bottiglia.

— Sì, quella bottiglia.

— Continua.

— Suonava un flauto. Un flauto d’osso che squittiva. Non troppo musicale…

— C’era un flauto…

— No, non quello. Un altro. Lo stesso tipo di flauto, ma non quello che ha il nostro uomo. Due flauti eguali. Uno nella tasca del vivo, l’altro accanto alla scapola di cervo. Ci sono certe cose, in quell’individuo… Niente che ti salti agli occhi. Piccolezze. Noti qualcosa e poi, qualche tempo dopo, magari parecchio tempo dopo, noti qualcosa d’altro, ma nel frattempo hai dimenticato il primo particolare e non li colleghi. Soprattutto c’era il fatto che sapeva troppo. Certi dettagli che un uomo come lui non avrebbe potuto sapere. Persino cose che non sapeva nessuno. Frammenti di conoscenza che gli sfuggivano, forse senza che se ne rendesse conto. E i suoi occhi. Non me ne sono accorto se non più tardi, quando ho trovato il secondo flauto e ho incominciato a pensare alle altre cose. Ma stavo parlando degli occhi. Ha l’aspetto di un giovane, di un uomo che non invecchia mai: ma gli occhi sono vecchi…

— Tom, mi hai detto che è basco.

— Infatti.

— Non c’è chi afferma che i baschi potrebbero essere discendenti dei Cro-Magnon?

— Sì, la teoria esiste. Ci ho pensato.

— È possibile che quest’uomo sia un Cro-Magnon?

— Sto incominciando a crederlo.

— Ma pensaci… ventimila anni!

— Sì, lo so — disse Boyd.

IV

Boyd sentì il pigolio del flauto quando arrivò ai piedi del sentiero che saliva alla caverna. Le note erano spezzate, portate via dal vento. I Pirenei spiccavano contro l’alto cielo azzurro.

Boyd si assestò la bottiglia di vino sotto il braccio e incominciò la salita. Sotto di lui c’era il rosso dei tetti del villaggio e il bruno dell’autunno che si diffondeva nella valle. Il suono del flauto continuò, più nitido e meno nitido a seconda del vento che lo strattonava giocosamente.

Luis era seduto a gambe incrociate davanti alla tenda rattoppata. Quando vide Boyd, si mise il flauto sulle ginocchia e attese.

Boyd gli sedette accanto e gli porse la bottiglia. Luis la prese e incominciò a lavorare sul tappo.

— Ho saputo che eri tornato — disse. — Com’è andato il viaggio?

— È andato bene — disse Boyd.

— E così ora sai — disse Luis.

Boyd annuì. — Penso che tu volessi farmelo sapere. Ma perché lo volevi?

— Gli anni sono lunghi — disse Luis. — E il peso opprimente. Mi sento solo.

— Non sei solo.

— Ci si sente soli, quando non c’è nessuno che ti conosce. Adesso tu sei il primo che mi conosce veramente.

— Ma sarà per poco tempo. Ancora qualche anno, e poi non ci sarà nessuno che ti conosca.

— Allevia il peso per un po’ — disse Luis. — Quando te ne sarai andato tu, riuscirò ad addossarmelo di nuovo. E c’è qualcosa…

— Sì, Luis, che cosa?

— Hai detto che quando te ne sarai andato non ci sarà più nessuno. Significa…

— Vuoi chiedermi se lo racconterò in giro? No, non lo farò. A meno che tu lo desideri. Ho pensato a quello che sarebbe di te se il mondo lo sapesse.

— Ho certe difese. Non puoi vivere quanto ho vissuto io, se non hai certe difese.

— Quali difese?

— Difese, ecco.

— Scusami se sono stato indiscreto. C’è un’altra cosa. Se volevi che io sapessi, l’hai presa molto alla lontana. Se qualcosa fosse andato storto, se io non avessi trovato la piccola grotta…

— All’inizio avevo sperato che la piccola grotta non fosse necessaria. Avevo creduto che ce l’avresti fatta a indovinare da solo.

— Sapevo che c’era qualcosa che non andava. Ma questo è così assurdo che non avrei creduto a me stesso, anche se avessi immaginato. E se non avessi trovato la piccola grotta… L’ho scoperta per un puro caso, sai.

— Se non l’avessi scoperta, avrei atteso. In un’altra occasione, un altro anno, ci sarebbe stato qualcun altro. Qualche altro modo per tradirmi.

— Avresti potuto dirmelo.

— Così a freddo?

— Sì. Non ti avrei creduto, naturalmente. Almeno all’inizio.

— Non capisci? Non potevo dirtelo. Ormai nascondermi è diventato una seconda natura. È una delle difese di cui ti ho parlato. Non sarei stato capace di dirlo. A te o a chiunque altro.

— Perché proprio a me? Perché hai atteso per tutti questi anni fino a che sono comparso io?

— Non ho atteso, Boyd. Ce ne sono stati altri, in tempi diversi. Non è mai andata come volevo. Dovevo trovare, capisci?, qualcuno che avesse la forza per affrontare la verità. Non qualcuno che scappasse via urlando come un pazzo. Sapevo che tu non l’avresti fatto.

— Io ho avuto il tempo per pensarci bene — disse Boyd. — E mi sono abituato all’idea. Posso accettare la realtà, ma non troppo: appena appena. Luis, tu hai una spiegazione? Come mai sei così diverso da tutti noi?

— Non ne ho la più pallida idea. Un tempo pensavo che dovevano esserci altri come me. Li ho cercati. Non ne ho trovato nessuno. Non li cerco più.

Il tappo saltò e Luis passò la bottiglia di vino a Boyd. — Prima tu — disse.

Boyd alzò la bottiglia e bevve. La restituì a Luis. Lo guardò bere. E mentre lo guardava si chiedeva come poteva starsene lì tranquillo a parlare con un uomo che aveva vissuto, restando giovane, per ventimila anni. Ancora una volta la gola gli si strinse al pensiero di accettare quella realtà… ma doveva essere l’unica realtà. La scapola di cervo, la piccola quantità di materia organica rimasta nel pigmento aveva dato come responso 22.000 anni. Non c’erano dubbi: le impronte digitali nel colore corrispondevano a quelle della bottiglia. A Washington aveva posto un quesito, nella speranza di trovare la prova di un’impostura. Era possibile, aveva chiesto, che l’antico pigmento, il colore usato dall’artista preistorico, fosse stato ricostruito, e che le impronte vi fossero state lasciate prima che venisse rimesso nella piccola grotta? Impossibile, era stata la risposta. Una ricostruzione del pigmento, se fosse stata possibile, sarebbe risultata evidente dall’analisi. E non era così… il pigmento risaliva a 20.000 anni prima. Non c’era il minimo dubbio.

— Bene, Cro-Magnon — disse Boyd, spiegami come hai fatto. Come riesce, un uomo, a sopravvivere per tanto tempo? Non invecchi, è logico. Il tuo organismo non si ammala. Ma immagino che tu non sia immune alla violenza e agli incidenti. Sei vissuto in un mondo violento. Come può un uomo evitare gli incidenti e la violenza per duecento secoli?

— All’inizio — disse Luis, — tante volte rischiai di non sopravvivere. Per molto tempo non mi resi conto di quel che ero. Sicuro, ero più longevo di tutti gli altri, e rimanevo più giovane di loro… ma mi pare che non incominciai a notarlo fino a quando mi accorsi che tutti quelli che avevo conosciuto molto prima erano morti… morti da tantissimo tempo. Allora capii che ero diverso dagli altri. E più o meno allora, gli altri incominciarono ad accorgersi che ero diverso da loro. Mi guardavano con sospetto. Certuni con risentimento. Altri pensavano che fossi una specie di spirito maligno. Alla fine dovetti fuggire, abbandonare la tribù. Diventai un reietto. E allora incominciai a imparare i principii della sopravvivenza.

— Quali principii?

— Ti tieni nell’ombra. Non ti metti in vista. Non attiri l’attenzione. Diventi vigliacco. Non fai mai l’eroe. Non corri rischi. Lasci che siano gli altri a fare le cose pericolose. Non ti offri mai volontario. T’imboschi e scappi e ti nascondi. Acquisisci la pelle dura: te ne infischi di quel che gli altri pensano di te. Abbandoni tutti gli attributi nobili, la coscienza sociale. Dimentichi la devozione alla tribù o al popolo o al paese. Non sei un patriota. Vivi solo per te stesso. Sei un osservatore e non partecipi mai. Giri al largo. E diventi così egocentrico che finisci per convincerti che non ti si possa rimproverare nulla, che stai vivendo nell’unico modo logico in cui può vivere un uomo. Qualche giorno fa sei andato a Roncisvalle, ricordi?

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