Joan Vinge - Occhi d'ambra

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Occhi d'ambra: краткое содержание, описание и аннотация

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Un magnifico, suggestivo ritratto di una civiltà aliena su un mondo alieno (inabitabile per i terrestri), e delle straordinarie possibilità e risultati dei tentativi di comunicazione tra due mentalità mutualmente esclusive.
Vincitore del premio Hugo per il miglior racconto
in 1978.

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Egli alzò nuovamente lo sguardo e aguzzò gli occhi fuori della finestra verso l’orizzonte sfocato dalla nebbia di Coos Bay, che gli era ormai familiare.

Quei pochi linguisti che erano anche musicisti inevitabilmente erano attirati dal sintetizzatore come api dal miele. Ma i superstiti dell’ormai invecchiata Nuova Ondata, che comprendeva Suo Padre il Professore e Sua Madre la Specialista in Comunicazioni, si aggrappavano ancora con fede religiosa quanto vana alle traduzioni logico-matematiche dei computer. Essi lottavano ancora con goffi, complicati programmi, appesantiti da interminabili elenchi di morfemi, che nelle ipotesi di partenza avrebbero dovuto garantire, un giorno, la perfetta sintesi di un qualunque messaggio in qualunque lingua. Ma anche dopo anni di continui perfezionamenti, le traduzioni prodotte in tal modo dal computer erano grezze, sciatte.

Alla scuola superiore non c’erano state nuove lingue da cercare, e non aveva avuto il permesso di usare il sintetizzatore per esplorare quelle vecchie. E così, dopo un’ultima, amara discussione con la famiglia, egli aveva lasciato la scuola superiore. Aveva trasferito la sua fede nel sintetizzatore nel mondo del suo secondo amore, la musica; un campo in cui, lo sperava, le autentiche comunicazioni avevano ancora un valore. Adesso, a ventiquattro anni, egli era Shan, il Musicista dei musicisti, l’eroe di un’immensa schiera di appassionati invecchiati e di una nuova, fresca generazione che aveva ereditato il loro amore per quella musica eternamente sfavillante e mutevole chiamata «rock».

Né l’uno, né l’altro dei suoi genitori gli aveva più rivolto la parola.

— Niente false modestie — lo stava rimbrottando Garda. — Che cosa avremmo potuto fare senza di te? Tu stesso hai criticato in tutti i modi i metodi che si ostinava a impiegare tua madre. Sai bene che non saremmo riusciti a ottenere un decimo delle informazioni su Titano che abbiamo avuto da T’uupieh, se fossimo stati costretti a servirci ancora di quelle meccaniche, rozze traduzioni del computer.

Shannon accennò ad accigliarsi, provando una sorta di segreta colpevolezza. — Senti, so di aver pronunciato alcune battute sarcastiche, e aggiungo che intendevo ciò che veramente ho detto… Ma non avrei spiccato il volo se lei non avesse compiuto tutte le analisi preliminari prima ancora che io arrivassi. — Sua madre aveva fatto, praticamente da sempre, parte della missione, avendo lavorato per anni con la NASA sulle complicazioni quasi esoteriche delle comunicazioni a mezzo computer con i satelliti e le sonde spaziali; e a causa della sua preparazione in campo linguistico Marcus Reed, il direttore del progetto Titano, l’aveva subito nominata capo della sezione comunicazioni non appena questa era stata organizzata. Lei era stata incaricata dell’analisi fonetica iniziale, usando il computer per comprimere lo spettro delle frequenze della voce aliena entro il campo delle vibrazioni udibili dagli esseri umani. Poi, aveva scomposto quei suoni complessi nelle loro componenti più semplici… aveva identificato i fenomeni, separato i morfemi, li aveva inquadrati in una struttura grammaticale, e aveva assegnato i suoni equivalenti in lingua inglese. Shannon l’aveva guardata, durante le prime interviste televisive, chiaramente infelice e a disagio, mentre Reed teneva in pugno la stampa che lo ascoltava ammaliata. Ma alla fine era stato proprio quello che la dottoressa Wyler, la Specialista nelle Comunicazioni, aveva detto, ad avvincere i suoi ascoltatori; al punto che, incapace di resistere, lui era saltato sul primo aereo e aveva raggiunto Coos Bay.

— Be’, non intendevo offendere — replicò Garda. — Tua madre è ovviamente una specialista assai abile. Ma avrebbe bisogno di un po’ più di… ehm… flessibilità.

— A me lo dici? — lui sospirò, mesto. — So che ancora oggi la sua più grande felicità sarebbe quella di poter sprofondare il sintetizzatore attraverso il pavimento. Il mio arrivo, qui, è stato un colpo, per lei, dal quale ancora oggi non si è ripresa. È una fortuna che almeno Reed apprezzi il mio… valore. — Reed gli aveva riservato le accoglienze di un figliuol prodigo quando si era presentato all’istituto, quel primo giorno… non era forse, lui, un abile linguista oltre che un ispirato musicista, non sarebbe forse riuscito a trovare un po’ di tempo, fra una tournée e l’altra… non avrebbe magari allungato un po’ già quella prima visita, per farsi un’idea più approfondita del lavoro di sua madre?

Egli aveva acconsentito, con modestia, alle richieste: ed ecco che telecamere e reporter erano saltati fuori come se avessero ricevuto l’imbeccata, e lui aveva capito che non erano lì per la trascurabile notizia della visita del figlio della dottoressa Wyler, bensì per celebrare l’ingresso ufficiale all’istituto di Shannon, il Musicista.

E poi… lui aveva avuto la sua prima seduta, parlando con la voce di un altro mondo. Ed era bastato quel primo ascolto per fare di lui un drogato… perché quella lingua aliena era musica. Ogni fonema era composto da due o tre suoni sovrapposti, e ogni morfema era un miscuglio di fonemi che fluivano insieme come acqua. Essi gorgheggiavano accordi, non parole, e il risultato era un rintocco di campane di cristallo, un tintinnio di limpido vetro…

Perciò era rimasto; prima, con sofferta frustrazione, aveva dovuto limitarsi a guardare sua madre e i suoi assistenti: i metodi di analisi a mezzo computer impiegati da sua madre avevano funzionato bene durante la transfonemizzazione iniziale della voce di T’uupieh, consentendo ben presto d’inviare le prime risposte, sia pure impacciate, goffe, servendosi del localizzatore a eco della sonda, per impedire che l’interesse di T’uupieh deviasse altrove, interrompendo il contatto. Ma battere una successione di dati in codice su una tastiera e aspettarsi che anche il più sofisticato dei programmi d’un computer potesse trasformarli in un’altra lingua, fosse pure una lingua umana conosciuta, era un risultato ancora sconsolatamente lontano. E lui, Shannon, sapeva invece, con fervore quasi religioso, che il sintetizzatore era stato concepito proprio per compiere questo miracolo di comunicazione, e che soltanto lui avrebbe potuto usarlo per cogliere tutte le sfumature e le sottigliezze che una traduzione meccanica non sarebbe mai stata in grado di fornire. Egli aveva provato ad avvicinare sua madre perché gli concedesse di tentare, ma lei aveva sempre rifiutato, recisamente. — Questo è un centro di ricerche, non uno studio di registrazioni musicali.

E così, lui aveva finito per scavalcarla, recandosi personalmente da Reed, che si era mostrato subito entusiasta. E quando finalmente aveva sentito le sue mani muoversi su quelle piastre, nella calda luce da esse irradiata, mentre un vago pizzicore le invadeva, e aveva tentato di ricreare quel linguaggio di un altro mondo, egli seppe di aver avuto ragione da sempre. Lasciò perdere senza rimpianti i suoi impegni musicali, quasi con sollievo, mentre nuovamente scivolava nel campo che per lui era sempre venuto per primo.

Shannon studiò lo schermo dove T’uupieh spiccava, appoggiata disinvoltamente a! fianco curvo della sonda, nascondendo così buona parte dell’accampamento. Fortunatamente sia lei che la sua scorta trattavano la sonda con precauzione quasi ossessiva, anche quando la trascinavano da un posto all’altro, poiché essi non restavano mai fermi a lungo. Shannon si chiese che cosa sarebbe accaduto se essi avessero attivato inavvertitamente il sistema automatico di difesa, concepito per difendere la sonda da animali aggressivi e che produceva una scossa elettrica d’intensità variabile da un’acuta sofferenza alla morte. E si chiese anche che cosa sarebbe accaduto se la sonda e i suoi «occhi» non si fossero così perfettamente inquadrati nelle credenze di T’uupieh sui demoni. L’idea che avrebbe anche potuto non conoscerla mai, non udire mai la sua voce…

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