Roger Zelazny - Il boia torna a casa

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Il boia torna a casa: краткое содержание, описание и аннотация

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Vincitore dei premi Hugo e Nebula per il miglior romanzo breve
in 1976.
Anche pubblicato come “Il vendicatore”, “Il canto del delfino”, “Il mio nome è Legione”.

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Si morsicò il labbro inferiore.

— Deve tentare, in ogni modo. Possono esserci segni fisici… graffi, rotture, nuovi collegamenti… non lo so. È il suo campo. Li cerchi.

«Penso che il Boia volesse parlare a Leila — disse — o perché lei era una psichiatra e lui sapeva di non funzionare correttamente ad un livello che trascendeva quello meccanico, o perché poteva pensare a lei in termini di madre. Dopo tutto, era l’unica donna coinvolta, e lui aveva il concetto di madre — con tutte le associazioni gratificanti del caso — tratto da tutte le nostre menti. O forse per entrambi i motivi. Sento che forse ha perso l’elmetto proprio per questo motivo. Deve aver capito che cos’era da una lettura diretta del cervello di Dave quando quest’ultimo lo portava. Voglio che controlli, perché è possibile che il Boia abbia isolato i circuiti di controllo lasciando intatti quelli comunicazione. Penso che potrebbe aver portato l’elmetto a Leila in tali condizioni, tentando poi di indurla ad indossarlo. Lei si è spaventata… ha cercato di fuggire, ha lottato, o ha chiesto aiuto… e lui l’ha uccisa. L’elmetto non gli serviva più, così l’ha lasciato e se ne è andato.

Ci pensai ed annuii di nuovo.

— D’accordo, posso controllare se ci sono interruzioni nei circuiti — risposi. — Se mi dice dove posso trovare le attrezzature di controllo, è meglio che lo faccia subito.

Indicò un punto della stanza con la mano sinistra.

— In seguito, ho scoperto l’identità della guardia — continuò. — Contribuimmo tutti ad un dono anonimo alla vedova. Ho fatto il possibile per la sua famiglia, prendendomi cura di loro, fin da allora…

Non lo guardai mentre continuava a parlare.

— … non potevo fare nient’altro — finì.

Rimasi in silenzio.

Finì di bere e sorrise debolmente.

— La cucina è là in fondo — mi disse, indicandola. — Dentro c’è uno stanzino da lavoro. Gli strumenti sono là.

— D’accordo.

Mi alzai in piedi. Presi l’elmetto e mi diressi verso la porta.

— Aspetti un attimo! — disse.

Mi fermai.

— Perché è andato in quel punto prima? Cosa l’attrae in quella zona della stanza?

— Cosa intende dire?

— Lo sa benissimo.

Mi strinsi nelle spalle.

— È un punto come un altro.

— Dava l’impressione di avere motivi molto più importanti. Guardai il muro.

— Non in quel momento — dissi.

— Insisto.

— In realtà non vuole saperlo — dissi.

— Lo voglio.

— Benissimo. Volevo vedere che tipo di fiori preferisce. Dopo tutto, lei è un cliente — e attraversai la cucina diretto allo stanzino per mettermi al lavoro.

Sedevo in una sedia disposta di fianco al tavolo, di fronte alla porta. Nella stanza principale i soli rumori provenivano dai ceppi che ardevano sul caminetto.

Solo un bianco gelido che cadeva fuori dalle finestre… nessun altro rumore nella zona.

Grossi fiocchi bianchi nella notte silenziosa, priva di vento…

Dal mio arrivo era passato molto tempo. Il Senatore era rimasto a lungo a parlare con me. Era deluso dal fatto che non potessi dirgli troppo su una sottocultura non individuale della cui esistenza era convinto. A dire il vero non ne ero sicuro, anche se avevo incontrato occasionalmente quelli che avrebbero potuto essere come me. Non sono un tipo particolarmente socievole, però, e non avevo intenzione di riportare le mie supposizioni in merito. Fornii la mia opinione sulla Banca Centrale dei Dati quando mi venne chiesta, e c’erano cose che non gli piacquero. Mi aveva accusato, allora, di volermi distruggere senza offrire nessuna valida soluzione alternativa.

La mia mente era tornata indietro, attraverso il tempo e la stanchezza e i volti e la neve e molto spazio, alla sera precedente a Baltimora. Quanto tempo prima? La cosa mi faceva pensare a The Cult of Hope di Mencken. Non potevo dargli le risposte complete, le alternative valide che voleva, perché potevano anche non esistere. La funzione della critica non deve essere confusa con quella della riforma. Dopo lunghe discussioni, si ritirò per la notte. Se aveva pensato che non sarei stato in grado di scoprire nulla di sbagliato nell’elmetto, non lo lasciò trapelare.

Così sedetti, con l’elmetto, il radiotelefono, e la pistola posati sul tavolo, gli strumenti di lavoro sul pavimento accanto alla sedia, il guanto nero sulla mano sinistra.

Il Boia stava arrivando. Non avevo dubbi.

Bert, Larry, Tom, Clay, l’elmetto potevano riuscire o meno a fermarlo. Nella faccenda c’era qualcosa che mi preoccupava; ma ero troppo stanco per pensare a qualcosa di diverso dalla situazione immediata, per cercare di rimanere lucido durante l’attesa. Avevo paura di prendere uno stimolante o bere qualcosa o accendere una sigaretta, dato che il mio sistema nervoso doveva costituire una parte dell’arma. Rimasi a fissare i grossi fiocchi che scendevano.

Chiamai Bert e Larry quando sentii il click. Presi l’elmetto e mi alzai in piedi mentre la luce cominciava ad ammiccare.

Ma era già troppo tardi.

Mentre afferravo l’elmetto, sentii uno sparo provenire dall’esterno, e con esso avvertii una premonizione di sciagura. Non erano uomini che aprivano il fuoco senza avere un bersaglio preciso.

Dave mi aveva detto che la portata dell’elmetto era di circa un quarto di miglio. Poi, dato il divario di tempo tra l’attivazione dell’elmetto e la visualizzazione del Boia da parte delle guardie circostanti, il Boia doveva muoversi con grande velocità. A questo bisognava aggiungere la possibilità che la portata del Boia nei confronti delle onde cerebrali fosse maggiore di quella esercitata dall’elmetto su di lui. E poi ammettere la possibilità che si fosse servito di questo fattore mentre il senatore Brockden era ancora sveglio, in preoccupazioni. Conclusione: il Boia poteva benissimo sapere che io ero in quel luogo con l’elmetto, rendendosi conto che ero l’arma più pericolosa per lui. Quindi doveva venire a neutralizzarmi prima che riuscissi ad attivare il meccanismo.

Lo infilai in testa e cercai di concentrarmi al massimo di me stesso.

Ancora una volta mi sommerse la sensazione di visualizzare il mondo attraverso un caleidoscopio, con tutte le sensazioni concomitanti. Tranne per il fatto che il mondo consisteva nella facciata della casa: Bert, davanti alla porta, con il fucile imbracciato; Larry sulla sinistra, con il braccio già ricaduto appena dopo aver lanciato una granata. La granata, comprendemmo subito, era già stata neutralizzata dagli strumenti del Boia.

Bert fece fuoco; il colpo ci fece temporaneamente barcollare. Il terzo colpo ci mancò per pura fortuna. Non ci fu un quarto colpo, perché gli strappammo il fucile di mano e lo gettammo da parte mentre passavamo, sfondando la porta principale.

Il Boia entrò nella stanza passando sulla porta abbattuta.

La mia mente era piena al massimo della visione di quel corpo metallico che avanzava e dell’immagine rannicchiata di me stesso… con la mano sinistra allungata, la pistola laser nella destra, con il braccio stretto al fianco. Ebbi ancora la strana sensazione di forza, e cercai di controllarla come se mi appartenesse, per fermarla, mentre l’immagine di me stesso mi appariva immobile stagliata contro la finestra…

Il Boia rallentò, incespicò. L’inerzia non può essere cancellata in un attimo, ma sentivo che le reazioni fisiche si attenuavano. L’avevo agganciato. Dovevo solo tenerlo.

Poi venne l’esplosione… Un’eruzione tonante, che scuoteva il terreno appena fuori, seguita da una pioggia di detriti. La granata, naturalmente.

In quel momento, il Boia si riprese e mi fu addosso. Io azionai il laser spinto da puro istinto di conservazione, prevenendo ogni tentativo di riprendere il controllo dei suoi circuiti. Con la mano sinistra cercai di colpire la sua sezione mediana, dove era alloggiato il gruppo cerebrale.

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