Roger Zelazny - Il boia torna a casa

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Il boia torna a casa: краткое содержание, описание и аннотация

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Vincitore dei premi Hugo e Nebula per il miglior romanzo breve
in 1976.
Anche pubblicato come “Il vendicatore”, “Il canto del delfino”, “Il mio nome è Legione”.

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In quel momento Leila lo convinse di lasciarle il posto ai comandi. Lo scherzo era già stato giocato. Così lei ne elaborò uno nuovo: portò il Boia nella città vicina. Era tarda notte, e l’equipaggiamento sensorio era superbo. Era una sfida… attraversare la città senza farsi scoprire. A partire da quel momento, ognuno ebbe dei suggerimenti sul cosa fare in seguito, suggerimenti progressivamente più oltraggiosi. Poi Manny prese il controllo, e non volle dire che cosa stava facendo… non ci lasciò controllare. Disse che era una sorpresa per l’operatore seguente. Ora, lui era più euforico di tutti noi, e rimase per tanto tempo ai comandi che cominciammo ad innervosirci… Una certa quantità di tensione è in parte disintossicante e penso che cominciammo proprio allora tutti a pensare che stavamo facendo una cosa maledettamente stupida. Non per il fatto che potesse rovinarci la carriera (cosa più possibile) ma perché poteva mandare a monte l’intero progetto, se ci avessero colto a giocare con strumentazioni così costose. Per lo meno, io la pensavo così e pensai anche che Manny stava senza dubbio agendo sotto l’impulso molto umano di fare meglio degli altri.

Cominciai a sudare. All’improvviso volevo solo riportare indietro il Boia nel laboratorio, disattivarlo… era ancora possibile, prima che entrassero in funzione i circuiti finali… chiudere la stazione, e dimenticare tutta la storia. Cominciai ad avvicinarmi a Manny per cercare di indurlo a smettere ed a passarci il controllo. Infine accettò.

Finì di bere e posò il bicchiere.

— Me ne verserebbe un altro goccio?

— Volentieri.

Andai a versargli altro liquore, ne aggiunsi un po’ anche nel mio bicchiere, tornai alla sedia ed attesi.

— Così presi i comandi — disse. — Presi i comandi, e dove pensa che quell’idiota avesse lasciato il Boia? Era all’interno di un edificio, e non ci volle molto per accorgermi che si trattava di una banca. Il Boia è fornito di una gran quantità di strumenti, e Manny evidentemente era riuscito a fargli aprire la porta senza rovinare nulla. Era di fronte alla cassaforte principale. Ovviamente, pensava che quella fosse la mia sfida. Combattei il desiderio istintivo di voltarmi ed uscire sfondando il muro posteriore, per poi mettermi a correre furiosamente. Ma tornai alla porta e guardai fuori.

— Il Boia era ai miei ordini. Ero praticamente in lui. Non vidi nessuno. Cominciai ad uscire. La luce mi colpì mentre uscivo completamente. Era una torcia a pile. La guardia era rimasta fuori vista. Nell’altra mano aveva una pistola. Mi lasciai prendere dal panico. Lo colpii, riflesso condizionato. Se devo colpire qualcuno, lo colpisco con tutte le mie forze. Cominciai a correre e non mi fermai fino a quando non mi trovai di nuovo nella piccola zona di parcheggio vicino al Centro. Poi mi fermai e gli altri terminarono il rientro.

— Assistettero tutti? chiesi.

— Sì. Qualcuno azionò uno schermo laterale appena presi i comandi. Dave, penso.

— Cercarono in qualche modo di fermarla mentre fuggiva?

— No. Be’, non ero consapevole di altro, oltre a ciò che stavo facendo in quel momento. Ma in seguito dissero che erano troppo sconvolti per fare qualcosa oltre che assistere, fino a quando non cedetti i comandi.

— Capisco.

— Dave prese i comandi, iniziò l’ultima fase di rientro, riportò il Boia nel laboratorio, lo ripulì; lo disattivò. Chiudemmo la stazione operativa. Improvvisamente eravamo diventati tutti molto lucidi.

Sospirò e rimase silenzioso per un po’.

Poi aggiunse: — Lei è l’unica persona al mondo a cui ne ho parlato. Andammo poi a casa di Leila — continuò — ed il resto è abbastanza prevedibile. Non potevamo fare nulla per riportare indietro quel poveraccio, decidemmo, che se avessimo raccontato quello che era successo avremmo potuto distruggere un progetto molto costoso ed importante. Non eravamo criminali in cerca di riabilitazione. Si trattava di uno scherzo che si era concluso tragicamente. Cosa avrebbe fatto al posto nostro?

— Non lo so! Forse la stessa cosa. Anch’io sono passato attraverso simili esperienze.

Annuì.

— Esattamente. Ed ecco.

— Non tutto, vero?

— Cosa vuole dire?

— E il Boia? Ha detto che era già presente una forma rilevabile di coscienza. Voi ne eravate consapevoli, e lui era consapevole di voi. Deve esserci stata una qualche reazione a tutta la faccenda. Com’è stata?

— Accidenti a lei — disse con tono incolore.

— Mi dispiace.

— Ha famiglia? — chiese.

— No.

— Ha mai portato un bambino allo zoo?

— Sì.

— Allora forse conosce una tale esperienza. Un pomeriggio quando mio figlio aveva quattro anni lo portai allo zoo di Washington. Passando davanti ad ogni gabbia, di tanto in tanto formulava qualche apprezzamento, faceva qualche domanda, giocherellava con le scimmie, pensava che gli orsi fossero molto carini… probabilmente perché gli ricordavano dei giocattoli troppo cresciuti. Ma sapete qual è stata la cosa più bella? La cosa che lo fece sobbalzare e dire con entusiasmo: — Guarda, papà, guarda!

Scossi la testa.

— Un passero che stava svolazzando su un albero. Reazioni inadeguate. Innocenza. Il Boia era un bambino, e fino al momento in cui presi i comandi, la sola cosa che aveva tratto da noi era l’idea che si trattava di un gioco: stava giocando con noi, ecco tutto. Poi accadde qualcosa di orribile… Sentì tutte le mie reazioni, e tutte quelle di Dave mentre lo riportava indietro.

Rimanemmo per un po’ seduti in silenzio.

— Così, l’avevamo… traumatizzato — disse infine — o qualunque altro termine preferisce usare. Ecco cosa accadde quella notte. Ci volle un bel po’ perché la cosa facesse effetto, ma secondo me non c’è dubbio che questa sia la causa della crisi finale del Boia.

Annuii. — Capisco. E crede che voglia ucciderla per questo?

— Lei non lo farebbe? — disse. — Se avesse cominciato come una cosa e l’avessero reso un individuo e poi l’avessero usato di nuovo come una cosa, cosa avrebbe fatto?

— Leila ha tralasciato molti indizi nella sua diagnosi.

— No, ha semplicemente omesso questi fatti nel suo racconto. Era tutto previsto. Ma ha letto erroneamente i dati. Non aveva paura. Era solo un gioco che aveva condiviso… con gli altri. I suoi ricordi di quella sera potevano non essere troppo vivi. Ero io quello che aveva vissuto la cosa con maggior intensità. Secondo me, Leila avrebbe scommesso che io fossi il solo ad essere in causa. Ovviamente, ha sbagliato tutto.

— Quello che non capisco — dissi — è perché le uccisioni del Boia non l’abbiano preoccupata minimamente. Non c’era possibilità di stabilire subito che si era trattato di un ladro colto dal panico invece che del Boia.

— La sola cosa che posso dire è che, essendo una donna molto orgogliosa — com’era realmente — voleva sostenere la sua diagnosi anche contro ogni evidenza.

— Non mi piace. Ma lei la conosceva ed io no, e le cose dimostrano che la sua prima stima era corretta. Qualcos’altro mi preoccupa altrettanto, però: l’elmetto. Sembra che il Boia abbia ucciso Dave, poi si sia preso la briga di portare l’elmetto nel suo appartamento impermeabilizzato fino a St. Louis, per poi lasciarlo sulla scena del suo delitto successivo. La cosa non ha alcun senso.

— In realtà sì — disse. — Stavo per arrivarci, ma adesso è meglio chiarire questo punto. Vede, il Boia non possiede meccanismi vocali. Comunicavamo solo per mezzo di quegli strumenti. Don dice che lei si intende un po’ di elettronica…

— Esatto.

— Be’, per dirla breve, voglio che cominci a controllare l’elmetto per vedere se è stato modificato.

— Sarà una cosa abbastanza difficile — dissi. — Non so com’era fatto in origine, e non sono un genio teorico a tal punto da guardare uno strumento e dire se funzionerà come unità teleoperatrice.

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