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Fritz Leiber: Un nemico vivo o morto

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Fritz Leiber Un nemico vivo o morto

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«È un bel po’ che sto rimuginando su quest’idea. Ho pensato con nostalgia a quanto sarebbe stato diverso lo sviluppo dell’umanità, se fosse stata costretta a condividere il suo pianeta con qualche altra specie di pari intelligenza, ad esempio un abitante dei mari col genio per la meccanica. Ho riflettuto sul fatto che, quando avvengono grandi catastrofi naturali, incendi, inondazioni, terremoti, pestilenze, l’uomo sembra abbandonare temporaneamente tutti i litigi, e tutti si mettono a lavorare insieme, d’amore e d’accordo: i ricchi coi poveri, gli amici coi nemici. Sfortunatamente una simile collaborazione dura solo fino a quando l’uomo non riesce a imporre di nuovo il suo dominio sopra l’ambiente. Questi disastri, queste catastrofi, non sono una minaccia tale da farlo rinsavire una volta per tutte. E allora… mi è venuta un’ispirazione».

Lo sguardo del signor Whitlow vagò inquisitivo su quel brulichio di gusci neri: un guazzabuglio di riflessi satinati a forma di mezzaluna che circondavano d’ogni parte la sfera luminosa che l’avviluppava. In ugual maniera la sua mente guizzò attraverso gli enigmatici pensieri che si agitavano all’interno dei loro carapaci.

«Ricordai un incidente degli anni della mia fanciullezza. Una trasmissione radio — noi usiamo vibrazioni ad alta velocità per trasmettere i suoni — aveva descritto in maniera diabolicamente realistica un’invasione, del tutto inventata, della Terra da parte di esseri provenienti da Marte, esseri dalla natura malvagia e distruttiva che, come voi dite, noi abbiamo la tendenza ad attribuire a ogni forma di vita aliena. Molti credettero che l’invasione stesse davvero accadendo, vi fu paura, terrore, panico. Ho pensato, allora, che al primo accenno d’una autentica invasione di creature aliene, i popoli della Terra in guerra tra loro sarebbero stati pronti a dimenticare ogni contrasto, unendosi saldamente insieme per affrontare gli invasori, rendendosi conto che i motivi per cui si erano azzuffati fino a un attimo prima erano in realtà insignificanti, fantasmi di cattivi umori e di paure prive di sostanza. Avrebbero riacquistato equilibrio e buonsenso. Avrebbero capito che il fatto di gran lunga più importante era quello d’essere tutti alla pari, uomini dal primo all’ultimo, posti ora nella necessità di affrontare un comune nemico… e in grado di affrontare splendidamente una simile sfida. Ah, amici miei, quando quella visione ha preso forma nella mia mente… un’umanità in guerra unita d’un sol colpo e per sempre, sono rimasto tremante e senza parole. Io…»

Perfino li, su Marte, l’emozione lo soffocava.

«Molto interessante», fu il blando pensiero del coleotteroide anziano, «ma il metodo che lei propone non entrerebbe, forse, in contraddizione con quella moralità più alta cui, a quanto riesco a percepire, lei anela?»

Il pacifista chinò il capo. «Amico mio, lei ha ragione… nel senso più alto e supremo della definizione. Ma permetta che le assicuri…» il fuoco tornò ad avvampare nella sua voce rauca, «… che quando verrà il giorno, quando sorgerà il problema delle relazioni interplanetarie, io sarò all’avanguardia per ciò che riguarderà le relazioni interspecie ed esigerò la completa uguaglianza tra i coleotteroidi e gli uomini. Ma…» i suoi occhi febbrili nuovamente si trovarono a scrutare da sotto la ciocca di capelli che una volta ancora gli era ricaduta sulla fronte, «… questa è una faccenda che riguarda il futuro. La domanda immediata è: come fermare la guerra sulla Terra? Come ho già detto prima, la vostra invasione della Terra dovrà essere soltanto simbolica, e naturalmente meno sangue verrà sparso, meglio sarà. Basterà soltanto un assaggio di minaccia esterna, una prova convincente che nel cosmo esistono esseri alla pari, e perfino superiori, per riportare alla normalità la prospettiva dell’uomo, per fonderlo in una grande fratellanza per la reciproca protezione, consolidando per sempre la pace!»

Allargò le braccia e gettò indietro la testa. I capelli gli ricaddero al posto giusto, ma la cravatta gli saltò fuori un’altra volta.

«Signor Whitlow», pensò il capo, con gelida e sardonica allegria, «se davvero si è messo in testa l’idea che noi si sia disposti a invadere un altro pianeta per migliorare la psicologia dei suoi abitanti, se la scordi subito. I terrestri non significano niente per noi. La loro maturazione è una faccenda tanto recente che non ce ne saremmo neppure accorti senza che lei fosse qui a farcela notare. Che continuino pure a far la guerra, se vogliono. Che si sterminino pure fra loro. Non sono fatti nostri».

Whitlow ammiccò più volte. «Ma…» cominciò a dire con rabbia. Poi si riprese. «Ma non vi stavo chiedendo di farlo per ragioni umanitarie. Vi ho fatto notare, no?, che ci sarà un bottino…»

«Dubito molto che i suoi terrestri abbiano qualcosa in grado di tentarci».

Whitlow quasi cadde giù dal macigno. Fece per farfugliare qualcosa, poi cambiò un’altra volta, radicalmente, il suo approccio. Nella sua espressione era balenato un guizzo astuto. «È possibile che voi stiate tentennando perché avete paura che i molluscoidi venusiani vi attacchino, se violerete la tregua perpetua attuando un’incursione armata contro un altro pianeta?»

«Niente affatto», pensò il capo con asprezza, rivelando per la prima volta una certa alterigia e un orgoglio razziale frutto di tanti aridi eoni di tradizione. «Come le ho già detto prima, i molluscoidi sono una razza chiaramente inferiore. Niente più che esseri acquatici. Non li abbiamo più visti da molte epoche. Per quanto ne sappiamo, potrebbero essersi estinti. Certo non siamo legati a loro da accordi ormai logori, se dovesse presentarsi un motivo valido e vantaggioso per infrangerli. E noi non abbiamo nessuna, ripeto: nessuna, paura di loro!»

Whitlow annaspò convulso tra i propri pensieri. Le sue mani dalle dita a spatola tracciavano gesti altrettanto confusi. Risospinto verso i suoi argomenti originari, balbettò in modo assai poco convincente: «Ma deve esserci senz’altro qualche tipo di bottino che renda per voi conveniente invadere la Terra. Dopotutto la Terra è un pianeta ricco di ossigeno, di acqua e di minerali e forme di vita organica, mentre Marte deve lottare contro la scarsità di tutte queste cose».

«Proprio così», pensò il capo. «E noi abbiamo sviluppato uno stile di vita che si adegua perfettamente a questa penuria. Raccogliendo la polvere interplanetaria che fluttua nelle vicinanze di Marte, e con l’uso giudizioso della trasmutazione e di altre tecniche, ci siamo assicurati una scorta sufficiente di tutti i materiali grezzi indispensabili. La spropositata abbondanza della Terra sarebbe un imbarazzo per noi e finirebbe per sconvolgere il nostro sistema. Un’accresciuta disponibilità di ossigeno ci costringerebbe ad imparare un nuovo ritmo respiratorio per evitare di morirvi annegati dentro… oltre a rendere disagevole e pericolosa per noi una qualunque invasione della Terra. Rischi analoghi potrebbero derivarci dall’abbondanza di altri elementi chimici e composti. E in quanto alle forme di vita che pullulano dovunque sulla Terra, in modo così nocivo, nessuna di esse sarebbe di qualche importanza su Marte… salvo la sfortunata circostanza in cui una di esse trovi rifugio nei nostri corpi e dia inizio a un’epidemia».

Whitlow trasalì. Che se ne rendesse conto oppure no, la sua vanità planetaria era rimasta ferita. «Ma lei si sta scordando della cosa più importante», protestò. «I prodotti dell’industria e dell’ingegnosità dell’uomo. Perché l’uomo ha cambiato la faccia del suo pianeta più di quanto voi abbiate mai fatto col vostro. L’ha coperto di strade. Non si raduna all’aperto nel modo selvatico che fate voi. Ha edificato grandi città. Ha ideato ogni sorta di veicoli. In una simile abbondanza certamente troverete molte cose per voi desiderabilissime».

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