Murray Leinster - Primo contatto

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Tommy Dort fissò il comandante. Questi strinse i pugni, Tommy scrutò al di sopra della sua spalla. Sembrava che uno degli indicatori avesse le convulsioni. Altri faticavano a registrare i loro rilevamenti. In mezzo alla nebulosità diffusa che riempiva col suo bagliore una delle visipiastre di prua c’era un punto che — quando il regolatore automatico lo mise a fuoco — stava diventado chiaramente sempre più luminoso. Quella era la direzione dell’oggetto che aveva fatto scattare l’allarme, segnalando il pericolo di collisione. Stando alle letture dello stesso analizzatore, c’era appunto un oggetto solido a ottantamila miglia di distanza, un oggetto di dimensioni non troppo grandi… Ma c’era anche un altro oggetto, la cui distanza variava da un massimo a zero, e le cui dimensioni sembravano condividere quell’impossibile avanzata e ritirata.

«Diamo il massimo ingrandimento!» sbottò il comandante.

Il punto luminosissimo sullo schermo crebbe ancor più d’intensità, cancellando buona parte dell’impalpabile distesa luminescente. L’ingrandimento aumentò ancora. Ma non comparve nient’altro. Eppure il localizzatore-radar insisteva a dire che qualcosa di mostruoso e d’invisibile eseguiva delle folli puntate verso la Llavanbon , con velocità che sembravano rendere inevitabile una collisione, per poi deviare bruscamente e fuggir via quasi pauroso, con la stessa velocità.

La visipiastra raggiunse il massimo ingrandimento. Ancora niente. Il comandante digrignò i denti. Tommy Dort disse, pensoso: «Signore, ho già visto qualcosa di simile su un transpazio della linea Terra-Marte, una volta, quando fummo localizzati da un’altra nave. Il loro raggio localizzatore aveva la stessa frequenza del nostro, e tutte le volte che si sovrapponevano davano l’impressione di qualcosa di solido e mostruosamente grande».

«Questo», sbraitò il comandante, «è proprio quello che sta accadendo adesso. C’è qualcosa che assomiglia a un raggio localizzatore puntato su di noi. Riceviamo quel raggio sovrapposto all’eco del nostro. Ma l’altra nave è invisibile! Chi c’è mai, qua fuori, in una nave invisibile dotata di congegni localizzatori? Non uomini, di certo!»

Schiacciò il pulsante del suo comunicatore da polso e gridò: «Stazioni di combattimento! Condizioni immediate di massimo allarme in tutte le sezioni, subito!» Continuò ad aprire e a chiudere le mani, nervosamente. Tornò a fissare la visipiastra: il punto luminoso era scivolato fuori del bordo e adesso era visibile soltanto un’informe luminescenza.

«Non uomini?» Tommy Dort si raddrizzò di scatto. «Vuol dire…?»

«Quanti sistemi solari ci sono nella nostra galassia?» chiese, aspro, il comandante. «Quanti pianeti adatti alla vita? E quanti differenti tipi di vita potrebbero esserci? Se questa nave non proviene dalla Terra — e certamente è così — allora deve avere un equipaggio che non è umano. E creature non umane giunte a uno stadio di civiltà che comprende viaggi nello spazio profondo potrebbero significare qualunque cosa!»

Le mani del comandante tremavano. Non avrebbe mai parlato con tanta libertà davanti a un membro del suo equipaggio, ma Tommy faceva parte del personale d’osservazione. E perfino un comandante i cui doveri comprendevano quello di preoccuparsi poteva a volte avere un disperato pensare ad alta voce può essere di aiuto.

«Di una cosa del genere si è discusso per anni, e si sono fatte congetture d’ogni tipo», dichiarò, a bassa voce. «Matematicamente è certo che in questo o quel punto della Galassia dovrebbe esserci una qualche razza con una civiltà allo stesso livello della nostra, o più progredita. Nessuno ha mai potuto indovinare dove o quando li avremmo incontrati. Ma a quanto pare, l’abbiamo fatto proprio noi, adesso!»

Gli occhi di Tommy lampeggiarono vividi.

«Ritiene che si mostreranno amichevoli, signore?»

Il comandante diede un’occhiata all’indicatore di distanza. L’oggetto-fantasma eseguiva ancora le sue folli picchiate, precipitandosi verso la Llanvabon e schizzandone via precipitosamente. L’altra indicazione di qualcosa a ottantamila miglia si muoveva appena.

«Si sta spostando», sottolineò, asciutto, il comandante. «E nella nostra direzione. Proprio quello che noi stessi faremmo se una strana astronave comparisse sui nostri terreni di caccia. Amichevoli? Forse. Tenteremo di metterci in contatto con loro. Dobbiamo farlo. Ma sospetto che questa potrà essere la fine della nostra spedizione… Ringraziamo Dio che abbiamo i fulminatori!»

I fulminatori sono quei raggi di spaventevole capacità distruttiva che si occupano dei meteoriti recalcitranti lungo la rotta di un’astronave, quando i deflettori non riescono a respingerli tutti. Non sono concepiti come armi, ma possono benissimo funzionare come tali. Possono entrare in azione a una distanza di cinquemila miglia, e attingere a tutta la riserva d’energia della nave. Col puntamento automatico e un brandeggio di cinque gradi, una nave come la Llanvabon era senz’altro in grado di praticare un buco attraverso un asteroide di piccole dimensioni, così da passarci attraverso senza danni. Ma non durante l’iperpropulsione, ovviamente.

Tommy Dort si era avvicinato alla visipiastra di prua. Ora girò di scatto la testa.

«I… fulminatori, signore? E perché?»

Il comandante fece una smorfia, rivolto alla visipiastra che inquadrava l’oggetto invisibile: «Perché non sappiamo come son fatti e non possiamo correr rischi!… Sì, lo so», aggiunse, amaro, «stabiliremo contatto e cercheremo di sapere quanto più possiamo su di loro — soprattutto da dove vengono. Sì, ci sforzeremo di mostrarci amichevoli, ma non abbiamo molte possibilità. Non possiamo fidarci di loro neppure d’una frazione di centimetro. Non possiamo osarlo! Essi dispongono di localizzatori. Forse hanno degli individuatori migliori dei nostri. Forse sono in grado di ricostruire l’intera nostra rotta fino a casa senza che noi lo sappiamo! Non possiamo rischiare che una razza non umana sappia dov’è la Terra, prima che noi si sia del tutto sicuri di loro! E come possiamo esser sicuri? Potrebbero venir da noi per commerciare, naturalmente… ma anche piombarci addosso in iperpropulsione con una flotta da guerra e spazzarci via prima che sappiamo che cosa aspettarci, e quando!»

Il volto di Tommy mostrò sorpresa.

«Il problema è stato analizzato a fondo parecchie volte, in teoria», proseguì il comandante. «Ma nessuno è mai stato capace di trovare una risposta valida, neppure sulla carta. E per di più, malgrado tutte le loro teorizzazioni, nessuno ha mai considerato l’ipotesi… davvero pazzesca, in teoria… d’un contatto nello spazio profondo, in cui nessuna delle due parti conosca il mondo di provenienza dell’altra! Ma il fatto è che, noi, adesso, dobbiamo trovare una riposta. Cosa dobbiamo fare con loro? Forse queste creature saranno bellissime a vedersi, simpatiche, amichevoli e cortesi… con sotto la brutale ferocia d’un giapponese. O forse saranno rozze e burbere come un contadino svedese… e altrettamento oneste e cordiali nell’intimo. Forse sono qualcosa che sta nel mezzo. Ma posso mettere a repentaglio il futuro dell’intera specie umana soltanto sull’ipotesi che, forse, ci si può fidare di loro senza rischi? Dio solo sa se non sarebbe una splendida cosa farsi amica una nuova civiltà! Sarebbe uno stimolo potente e positivo per la nostra, un immenso guadagno per noi. Ma non possiamo correr rischi. Soprattutto, quello che non sono disposto a rischiare è fargli sapere dove si trova la Terra! O sarò più che convinto che non sono in grado di seguirmi, o non tornerò mai più a casa! Ed è probabile che quella gente, là fuori, la pensi nell’identico modo».

Schiacciò un’altra volta il pulsante del comunicatore da polso.

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