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Connie Willis: Jack

Здесь есть возможность читать онлайн «Connie Willis: Jack» весь текст электронной книги совершенно бесплатно (целиком полную версию). В некоторых случаях присутствует краткое содержание. Город: Roma, год выпуска: 1998, ISBN: 88-347-0623-4, издательство: Fanucci, категория: Фантастика и фэнтези / на итальянском языке. Описание произведения, (предисловие) а так же отзывы посетителей доступны на портале. Библиотека «Либ Кат» — LibCat.ru создана для любителей полистать хорошую книжку и предлагает широкий выбор жанров:

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Connie Willis Jack

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Nominato per i premi Hugo e Nebula per meglior novella in 1992.

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Qualcuno aveva lasciato per terra una copia delle Chiacchiere di Twickenham. Rilessi l’articolo sui morti che camminano e poi, ancora incapace di prendere sonno, anche tutte le altre notizie. C’era un resoconto sull’invasione della Transilvania da parte di Hitler, una ricetta per una torta alle fragole senza burro, e infine un servizio sul tasso di criminalità. Veniva citato Nelson come fonte dell’affermazione: «Londra è il luogo perfetto per la criminalità. Dobbiamo stare sempre all’erta contro la delinquenza.»

Sotto la ricetta c’era la storia di un terrier scozzese di nome Bonny Charlie che aveva abbaiato e raspato freneticamente con le zampe fra le macerie di una casa crollata fino ad attirare l’attenzione dei guardiani, i quali erano accorsi, avevano scavato e avevano trovato due bambini illesi.

Devo essermi addormentato mentre leggevo quell’articolo, perché la cosa successiva che mi ricordo è Morris che mi scuoteva e mi avvisava che erano suonate le sirene. Erano solo le cinque del pomeriggio.

Mezz’ora dopo avevamo una bomba ad alto esplosivo nel nostro settore. Cadde ad appena tre isolati dalla postazione, e le mura tremarono, e l’intonaco piovve sulla macchina da scrivere di Twickenham e su Renfrew che era sdraiato, sveglio, nella sua branda.

«Frivolezze un corno,» borbottò la signora Lucy mentre ci precipitavamo a prendere gli elmetti d’alluminio. «Abbiamo bisogno di quei travi di rinforzo.»

Gli impiegati a tempo ridotto non avevano ancora preso servizio. La signora Lucy inviò Renfrew a cercarli. Sapevamo esattamente dove era avvenuto l’incidente — quando si era verificato Morris stava guardando proprio in quella direzione — ma avemmo lo stesso qualche difficoltà a raggiungere il luogo. Era ancora sera, ma percorso appena mezzo isolato divenne buio pesto.

La prima volta che mi successe, pensai che si trattasse di una specie di cecità temporanea provocata dall’esplosione, e invece era solo la polvere che si sollevava dagli edifici crollati. Si solleva formando una cortina di nebbia che impedisce la visibilità più di qualsiasi oscuramento, nascondendo alla vista ogni cosa. La signora Lucy scelse un tratto di marciapiede come base operativa e accese la luce azzurra che segnalava un incidente; in quella nebbia artificiale la lampada emanava un bagliore sinistro.

«Sono rimaste solo due famiglie nella strada,» disse lei, avvicinando il registro alla luce. «La famiglia Kirkuddy e gli Hodgson.»

«È una coppia di anziani?» domandò Morris, spuntando all’improvviso dalla nebbia.

Lei controllò il registro. «Sì, due pensionati.»

«Li ho trovati,» disse Morris con voce piatta, da cui capimmo che erano morti. «Sono saltati in aria.»

«Oh, santo cielo,» disse la donna. «I Kirkuddy sono una madre con due figli. Hanno un rifugio Anderson.» Avvicinò di più il registro alla luce azzurrina. «Tutti gli altri hanno usato la metropolitana come rifugio.» Aprì una mappa e ci mostrò dove era il cortile posteriore dei Kirkuddy, ma non ci fu di nessun aiuto. Per tutta l’ora successiva non facemmo che vagare alla cieca in mezzo ai mucchi di rovine, cercando di cogliere dei suoni che era impossibile sentire per gli attacchi della Luftwaffe e le risposte della contraerea.

Petersby si fece vivo poco dopo le otto, e Jack qualche minuto più tardi; la signora Lucy mandò anche loro a frugare in mezzo alla nebbia.

«Quaggiù,» gridò quasi subito Jack, e il mio cuore ebbe uno strano sussulto.

«Oh, bene, li ha sentiti,» disse la signora Lucy. «Jack, veda di trovarli.»

«Di qua,» gridò nuovamente Jack, e io mi mossi in direzione della sua voce, quasi timoroso di ciò che avrei trovato, ma avevo percorso nemmeno dieci passi che lo sentii anch’io. Un pianto di bimbo, e un sono vuoto, echeggiante, come di qualcuno che battesse il pugno contro una lastra metallica.

«Non fermatevi,» strillò Vi. Era inginocchiata accanto a Jack in un cratere poco profondo. «Continuate a fare rumore. Stiamo arrivando.» Alzò lo sguardo verso di me. «Di’ alla signora Lucy di chiamare la squadra di soccorso.»

Raggiunsi la signora Lucy annaspando nell’oscurità. Aveva già chiamato col campanello la squadra di soccorso. Mi spedì a Sloane Square per accertarmi che gli altri residenti dell’isolato fossero al sicuro lì.

La polvere si era sollevata un poco ma non abbastanza per consentirmi di vedere dove stavo andando. Inciampai su un marciapiede e piombai su un mucchio di detriti, quindi addosso a un corpo. Accesi la torcia e vidi che era la ragazza che avevo accompagnato al rifugio due sere prima.

Era seduta contro la parete piastrellata dell’ingresso della stazione, e stringeva sempre la stampella nella mano un po’ molle. Quella vecchia strega da John Lewis non la lasciava mai uscire nemmeno un minuto prima della chiusura, e la Luftwaffe era arrivata prima del solito. La ragazza era stata uccisa dall’esplosione, o dai vetri che erano schizzati in tutte le direzioni. Il viso, il collo e le mani erano ricoperte di minuscole ferite, e quando le spostai le gambe, i frammenti di vetro crepitarono sotto i miei piedi.

Tornai all’incidente e attesi che arrivasse il carro mortuario, quindi andai con loro al rifugio. Mi ci vollero tre ore per trovare le famiglie che avevo in lista. Quando tornai al luogo dell’incidente, la squadra di soccorso era arrivata a un metro e mezzo di profondità.

«Ci siamo quasi,» disse Vi, scaricando un cesto sul bordo più lontano del cratere. «Adesso stanno tirando fuori solo terra e qualche pianta di rose.»

«Dov’è Jack?» chiesi.

«È andato a cercare una sega.» Riportò indietro il cesto e lo porse a uno della squadra di soccorso che si era infilato la sigaretta in bocca per avere le mani libere. «C’era una tavola, ma sono riusciti a scavare di fianco.»

Mi chinai sulla buca. Si sentiva ancora il suono metallico, ma non più il pianto del bambino. «Sono ancora vivi?»

Lei scosse la testa. «È almeno un’ora che non sentiamo più il bambino. Continuiamo a chiamare, ma non c’è risposta. Temiamo che quel rumore metallico sia solo un’eco meccanica.»

Mi domandai se fossero morti e se Jack, sapendolo, non fosse affatto andato a cercare una sega, ma se ne fosse tornato al suo lavoro quotidiano.

Arrivò Swales. «Indovinate chi è andato a finire all’ospedale?»

«Chi?» chiese Vi.

«Olmwood. Nelson ha spedito i suoi guardiani in pattugliamento durante un’incursione, e lui si è beccato un pezzo di shrapnel sulla gamba da un cannone della contraerea. Per poco non gliel’ha strappata via.»

Il soccorritore con la sigaretta in bocca passò a Vi un cesto pieno di detriti. Lei lo prese, barcollando un poco sotto il peso, e lo portò via.

«Sarà meglio che tu non ti faccia vedere da Nelson a lavorare così,» le gridò dietro Swales, «altrimenti ti farà trasferire nel suo settore. Dov’è Morris?» disse poi, e se ne andò, probabilmente per riferirgli di Olmwood, a lui e a chiunque avesse incontrato.

Tornò Jack, portando la sega.

«Non serve più,» disse il soccorritore, la sigaretta penzolante all’angolo della bocca. «È arrivata l’unità mobile,» aggiunse, e se ne andò a bere una tazza di tè. Jack si inginocchiò e passò la sega a quelli che stavano dentro la buca.

«Sono ancora vivi?» gli domandai.

Jack sì piegò sullo scavo, con le mani che stringevano i bordi. Il rumore metallico era incredibilmente forte. All’interno del rifugio Anderson doveva essere assordante. Jack studiò il foro, come se non sentisse né il rumore né alcuna voce.

Si rialzò, sempre fissando lo scavo. «Sono più sulla sinistra,» disse.

Come fanno a essere più sulla sinistra? mi domandai. Possiamo sentirli. Sono proprio sotto di noi. «Sono vivi?» gli chiesi di nuovo.

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