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Damon Knight: Dio

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Damon Knight Dio

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Damon Knight, sulla scena della sf da molti decenni ormai, si è guadagnato una solida fama di scrittore (ricordiamo il celebre Il lastrico dell’inferno), come curatore di antologie e scopritore di nuovi talenti, e anche come saggista. Qui ci presenta, con una esposizione fredda e lineare che ben si adatta al tema, un tempo in cui uomini e donne possono vivere per sempre e sono spinti solo da una furiosa e vuota ricerca di divertimenti effimeri.

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Claire sta tremando. — Per favore.

— Devi conoscere tutte queste cose — continua Benarra impietoso, — altrimenti non serve che tu veda Dio. Se ti senti sconvolta, sfogati ora. Se non riesci a sopportarlo, allora vattene adesso, non dopo. — Si interrompe, e poi continua con un tono più gentile: — Puoi vederlo oggi, naturalmente, te l’ho permesso. Non cercare di prendere una decisione ora, se ti riesce difficile. Parlagli, rimani con lui questo pomeriggio: vedi come va.

Claire non si riconosce piùi. Non si è mai comportata in modo tanto sciocco nei confronti di un uomo, prima: l’amore è una bella cosa; l’amore non dura mai a lungo e tu lo sai in anticipo, ma finché dura è piacevole. L’amore è gioia, non questo dolore lacerante.

Il tempo scorre come un torrente limpido e impetuoso, se solo lasci che le cose vadano per il loro verso. Lei potrebbe dimenticare Dio ora, ed essere infelice per un anno, o cinque, forse cinquanta, ma poi tutto sarebbe finito e la vita continuerebbe come al solito.

Le torna alla mente il viso di Dio… non quell’estraneo, cupo ed urlante, ma Dio, stagliato contro il cielo d’argento; la luce del sole sulle sopracciglia marcate, gli occhi che brillano nell’ombra.

— L’abbiamo riempito di antibiotici — dice Benarra in tono compassionevole; — non credo che corra il pericolo di prendersi qualche brutta malattia… ma invecchiare è la cosa peggiore… che cosa ne dici?

IV

Sotto la lastra di pietra scorrevole, Dio siede al suo banco di lavoro. La stanza è la stessa di sempre, l’unico cambiamento visibile è la statua che ora sporge da una parete, nell’angolo sopra la lastra di pietra: rappresenta un uomo con il capo reclinato, le gambe accavallate, e l’espressione pensosa. La figura è imponente, ma da essa emana una sottile sensazione di decadenza: i muscoli gonfi sembrano sul punto di afflosciarsi, il viso, anche se in ombra, ha un aspetto deforme, malsano. Lunga dodici metri, e posta di traverso nell’angolo, la statua ha un fascino primitivo, accattivante: è supremamente brutta, ma Claire è incapace di distogliere lo sguardo.

Un movimento attira la sua attenzione. Dio si è alzato e la attende accanto al banco di lavoro. Lei avanza esitante: il viso della statua è in ombra, ma non quello di Dio e lei teme quello che potrà scorgervi.

Lui le prende una mano fra le sue: il suo tocco è caldo e piacevole, ma sembra trasmettere qualcosa di simile ad una scossa elettrica, e la fa trasalire.

— Claire… che bello vederti. Ecco, siediti, fatti guardare. — La sua voce è sonora, sicura di sé, anche un pochino arrogante. Gli occhi sono attenti e di una vivacità inquietante. Parla, si muove, e si comporta con un’aria di eccitazione repressa. Lei si sente sollevata e tuttavia, paradossalmente, un po’ allarmata: non c’è nulla di realmente cambiato nel viso di lui: la pelle è sana e luminosa, le labbra ferme. Eppure, ogni tratto, ogni fattezza di quel volto sembra nascondere qualche spiacevole sorpresa: è come guardare una maschera che può cadere all’improvviso.

Nella sua eccitazione, lei ride, mormora parole senza assolutamente rendersi conto di ciò che dice. Lui si siede sull’angolo della scrivania, di fronte a lei, con un’aria di imperiosa sicurezza.

— Stavo elaborando dei progetti per il prossimo anno. Ho alcune idee… qualcosa che la gente non si aspetterà mai. — Ride, abbassando lo sguardo; il banco di lavoro è coperto di piccole scatole trasparenti piene di linee ombreggiate e di colori. Gli strumenti sono sparsi in disordine, pennini, siringhe, compassi. — A proposito, cosa ne pensi di quella? — Indica dietro di sé, verso la statua.

— È molto insolita… tua?

— Una copia, ricavata da stereografie, l’originale era di Michelangelo, si chiamava La sera. Ma la copia l’ho fatta io.

Lei solleva un sopracciglio, con aria interrogativa.

— Voglio dire che non l’ho fatta con una macchina, ma con martello e scalpello, lavorando la pietra con queste mani, Claire. — Le stesse, forti e callose, che ora protende verso di lei. Claire si rende conto che erano quei cuscinetti di pelle indurita che le avevano dato quella strana sensazione di calore.

Lui ride di nuovo. — È stata un’esperienza. Per prima cosa ho scoperto che cos’è la struttura della pietra. Vedi, quando una macchina fonde una statua, non esiste struttura, perché per una macchina il granito è molle come il formaggio. Ma quando scolpisci, la pietra resiste. Possiede un carattere, può essere ostinata o evasiva… può scagliarti in faccia dei frammenti, o farti scivolare di lato lo scalpello. La pietra combatte. — Stringe le mani e ride di nuovo, di quel riso strano ed esuberante.

Più tardi quella sera nel suo appartamento, Claire si sente confusa e sopraffatta da emozioni contrastanti. La giornata trascorsa con Dio non è stata affatto come se l’aspettava. Neppure una volta le ha suscitato compassione: è come un uomo in cui arde una fiamma. Camminando con lei per le strade, le ha mostrato il Settore come lui lo immagina: una visione arcaica di edifici fatti per durare, non per mutare; di mattoni posati con cura, di legni intagliati e lucidati a mano. È una visione terrificante, ma lei non sa spiegarsi il perché. La gente rimane, tutto il resto passa…

Nelle stanze ampie e fresche soffia una brezza leggera. Le luci si attenuano attorno al suo letto, invitandola al sonno. Claire vaga senza scopo nelle altre stanze, lasciando cadere a terra l’abito, conscia di una languida rigidezza nelle membra. La bocca è indolenzita per i baci, la sua carne ricorda il tocco di quelle mani strane. Una deliziosa stanchezza la pervade; si trova a fluttuare al culmine estatico dell’amore, senza recriminazioni e senza domande.

Eppure vaga irrequieta per le stanze, evocando uno scroscio di musica e di colori dalla parete: che subito svanisce in un silenzio pieno di echi. Si ferma davanti alla porta della stanza da gioco e guarda giù, nelle oscure profondità del pozzo di caduta. La caduta è un lusso, come il bagno nell’acqua o nelle fiamme. In essa vi è la dolcezza sottile del pericolo, anche se il pericolo non è reale. Sorridendo, respira profondamente, resta immobile e poi fa un passo nel vuoto. Intorno a lei, le pareti grige scorrono veloci verso l’alto: con uno sforzo di volontà, trattiene l’impulso di forza che la terrebbe sospesa a mezz’aria. Il pavimento si avvicina precipitosamente, lo sforzo aumenta in modo intollerabile: all’ultimo istante cessa di reprimerlo e l’impulso la mantiene a galla in un breve attimo di gioia parossistica. Si ferma a pochi centimetri dalla dura pietra. Con gli occhi chiusi e l’aria sognante, lei risale lentamente verso la cima. Distende i muscoli: ora riuscirà a dormire.

V

Dapprima i giorni sono felici. Dio è un uomo trasformato, un demone pieno di energia. È pieno di idee e di progetti; lavora senza sosta, compie prodigi. Tutto il continente, tutto il mondo parla del Settore Venti. Dio costruisce le cose perché durino, ma poi, insoddisfatto, distrugge quello che ha costruito e ricomincia daccapo. Per una stagione tutte le strade sono sublimi intarsi di pietra, di incredibile bellezza: poi tutte le decorazioni scompaiono e gli edifici splendono della purezza delle linee classiche; le strade sono piene di luce bianca che emana dalla pietra. Claire aspetta che il ciclo subisca ancora una svolta, ma il lavoro di Dio si fa ancora più massiccio e brutale: la pietra si scurisce. Ora le strade sono strette e piene di ombre: i muri si rivestono di pesante magnificenza. Non costruisce più pozzi ascensionali: per salire negli edifici di Dio bisogna salire delle rampe o addirittura delle scale, o viaggiare in cabine chiuse. La gente mormora, ma lui continua a rappresentare una novità; vengono da tutto il pianeta per protestare, ammirare, lamentarsi: ma continuano a venire.

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