— Non hai lasciato messaggi, non sapevo come raggiungerti.
— Lo so, ma avresti dovuto dirmelo; io non sapevo…
— Claire, che cosa provi per lui, ora? Amore?
— Non so. Una grande compassione, credo. Ma forse nella compassione c’è anche dell’amore. Ho pietà di lui perché una volta l’ho amato. Ma credo che tanta pietà sia amore, vero, Ben?
— Non quel tipo di amore che tu ed io conoscevamo — dice Benarra tenendo gli occhi sullo schermo.
Lui la stava aspettando quando lei uscì dalla cabina.
Il suo viso non aveva nulla di umano. Era come il viso di una tartaruga o di una lucertola: calloso e terreo, con gli occhi brillanti che scrutavano da sotto le sopracciglia sporgenti. Le guance erano incavate, il naso sporgente e le labbra rigonfie sui denti ossuti. I capelli erano bianchi e radi, come lanugine illuminata dal sole.
Insieme erano come estranei, o come visitatori provenienti da pianeti diversi. Lui le mostrò i suoi campi di grano, il pollaio, i nuovi alberi da frutta. Tra i rami svolazzavano e cinguettavano gli uccelli. Dio indossava un abito di rozza fattura che gli pendeva goffamente dalle spalle magre. L’aveva fatto lui, le disse; e aveva fatto anche la brocca di coccio da cui le versò un vino aspro e limpido, fatto con la sua uva. L’interno della capanna era spoglio e lindo. — Naturalmente, Ben mi fornisce provviste di cibo e altre cose come aghi e filo. Non posso fare tutto, ma nel complesso, non me la sono cavata troppo male. — La sua voce era distante; sembrava solo parzialmente conscio della presenza di Claire.
Sedettero fianco a fianco sulla panca di legno all’esterno della capanna. La luce pomeridiana indugiava sulle beole; quel viso imbiancato si animò, e per la prima volta lei fu in grado di scorgere in quella faccia i lineamenti di Dio.
— Non dico di non essere amareggiato. Tu ricordi come ero e vedi come sono adesso. — I suoi occhi si fecero meditabondi, le labbra fremettero. — Qualche volta penso: ma perché è toccata proprio a me? Tutti voi continuerete ad andare avanti, come bambini ad una festa, ed io non ci sarò più. Ma ho scoperto una cosa, Claire. Non so se posso dirtela.
Si interruppe e volse lo sguardo verso i campi. — C’è in questo una sorta di attrazione, di bellezza. Sembra impossibile, ma è vero. Bellezza in ciò che è brutto. È simmetrico, ha un ritmo. Il sole sorge, il sole tramonta. Vivendo quassù lo senti di più. Forse è per questo che siamo andati sottoterra.
Si voltò a guardarla. — No, non riesco a farti comprendere. E neppure voglio che tu pensi che ho deciso di arrendermi. A volte, nel mezzo della notte, la sento arrivare. Qualcosa che sale all’orizzonte. Qualcosa… — fece un gesto. — Una sensazione. Qualcosa di enorme e freddo. Molto freddo. E allora mi siedo sul letto e grido «Non sono ancora pronto». No, non voglio andarmene. Forse, se fossi cresciuto dovendomi abituare all’idea, ora sarebbe più facile. È un grosso cambiamento che devi operare nel modo di pensare. Ci ho provato… tutto questo… e le sculture, ti ricordi, ma non ci sono riuscito. Eppure, ora… la cosa strana è questa. Non tornerei indietro. Capisci, voglio essere me stesso; sì, voglio continuare ad essere me stesso. Quegli altri uomini non erano me, soltanto qualcuno sulla strada per diventare me.
Tornarono insieme alla cabina. Sulla porta, lei si voltò per guardarlo un’ultima volta. Lui era in piedi, curvo ma risoluto, con i suoi stracci e i suoi capelli bianchi, stagliato contro una striscia di cielo viola. La luce morente brillava grigia sui campi; più lontano nel boschetto di alberi, le voci degli uccelli tacevano. Una stella solitaria brillava ad est.
All’improvviso si rese conto che lasciarlo sarebbe stato intollerabile. Uscì dalla cabina e lo abbracciò: il suo corpo era incredibilmente magro e fragile nelle sue braccia. — Dio, non dobbiamo separarci, ora. Lascia che io venga a stare nella tua capanna: restiamo insieme.
Gentilmente, lui si sciolse dall’abbraccio e fece un passo indietro. I suoi occhi brillavano nella luce del crepuscolo. — No, no — disse. — Non andrebbe bene, Claire. Tesoro, io ti amo per averlo detto, ma vedi… vedi, tu sei una dea. Una dea immortale… e io sono un uomo.
Lei vide le labbra che si muovevano, come se stesse per parlare ancora e attese, ma lui si voltò senza un gesto o una parola e si incamminò sulla terra spoglia: una figura scura, lunga e sottile, con gli indumenti che sbattevano dolcemente alla brezza che spirava sulla terra. L’ultima luce brillava debolmente fra i suoi capelli bianchi. Poi fu solo un punto in lontananza. Claire rientrò nella cabina e la porta si richiuse.
Per molto tempo non riesce a convincersi che lui se ne sia andato.
Ne ha visto il corpo disteso in una cassa, simile ad una statua di cera dipinta: non è Dio, Dio è in qualche altro luogo.
Si sorprende a pensare: Quando Dio tornerà… come se lui fosse soltanto partito per l’altro capo del mondo. Ma sa che c’è un tumulo di terra sopra il Settore Venti, sormontato da un’alta pietra levigata, che indica il luogo in cui il corpo di Dio giace sotto terra. Può ripetere a memoria le parole che vi sono scolpite:
Deboli ed esigui sono i poteri delle membra degli uomini: molti sono i dolori che li affliggono e smussano gli orli del pensiero: breve è la misura della vita fino alla morte, attraverso la quale essi si affannano. E poi se ne vanno, come fumo svaniscono nell’aria: e quello che sognano di sapere non è altro che quel poco in cui ciascuno è inciampato nel suo girovagare per il mondo. Eppure tutti loro si vantano di aver imparato tutto ciò che c’è da sapere. Vani stolti! Perché quello che c’è, nessun occhio l’ha mai visto, nessun orecchio l’ha mai udito, né nessuna mente umana potrà mai concepirlo.
Empedocle (5° secolo a.C.)
Un giorno, Claire chiude l’appartamento e lascia che il Progettista, il successore di Dio, ne faccia quello che vuole. Lascia tutti i suoi appunti, tutto il suo equipaggiamento da studente, ormai inutile. Va in un albergo, e nel pomeriggio le vengono portati i nuovi abiti: tessuti di seta color fiamma e maglia metallica: nuovi profumi, nuovi gioielli. Nelle unità di memoria c’è musica nuova e lei danza incerta, con il capo piegato di lato per ascoltare, lasciandosi sommergere dai ritmo. Ormai è come una primavera a lungo rimandata, le oscure memorie appassite stanno scivolando nel passato e il presente è fresco e gaio.
Prova a chiamare qualcuno dei vecchi amici. Katha è a Centrarci, Ebert è al sud, Piet e Tanno non sono registrati. Non importa, nella piazza davanti all’albergo, prima che il giorno sia finito, lei si fa una dozzina di nuovi amici. Il gruppo aumenta; poi tutta la compagnia si sposta dalla piazza ai giardini del Vermilion Club e lì passa da una stanza all’altra dei vari soci e poi, alla fine, all’appartamento di Claire. Lasciando il gruppo intorno alla mezzanotte, lei vaga da sola per l’appartamento, rilassata dalla compagnia, felice di udire i canti che si fanno confusi e svaniscono alle sue spalle. Nella stanza da gioco si ferma pigramente a guardare le oscure profondità del pozzo di caduta. Che meraviglia, pensa, cadere e cadere, senza toccare mai il fondo…
Ma il fondo, naturalmente, è sempre là, o questo non sarebbe un pozzo di caduta. Un paradosso: il pozzo è come un camino che ha un fondo; è la sensazione di pericolo, l’immaginare di sfracellarsi che suscita il brivido. Ma non c’è pericolo di farsi male: la levitazione e l’istinto di sopravvivenza lo impediranno comunque.
Abbiamo un mondo così ordinato…
Le cose passano, la gente resta.
E allora dov’è Piet, l’uomo con la testa lanuginosa, con le sue risa e i suoi scherzi? Nascosto magari dall’altra parte del mondo, senza curarsi di farsi registrare. Capita spesso, nessuno ci pensa. Ma allora, chiede implacabile la sua mente, dov’è la donna di nome Maria, che ti teneva sulle ginocchia quando eri piccola? Dov’è Hendry, tuo padre, che hai visto per l’ultima volta… quando? Cinque, seicento anni fa, quella volta a Rio. Dove va la gente quando scompare… la gente di cui nessuno parla?
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