Damon Knight - Dio

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Damon Knight, sulla scena della sf da molti decenni ormai, si è guadagnato una solida fama di scrittore (ricordiamo il celebre Il lastrico dell’inferno), come curatore di antologie e scopritore di nuovi talenti, e anche come saggista.
Qui ci presenta, con una esposizione fredda e lineare che ben si adatta al tema, un tempo in cui uomini e donne possono vivere per sempre e sono spinti solo da una furiosa e vuota ricerca di divertimenti effimeri.

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A Giubo acquista un anellino di ferro, molto vecchio, con la forma di un serpente che si morde la coda. È una curiosità, una cosa da studenti: nessuno lo porterebbe e poi è troppo stretto. Ma il freddo tocco di quel piccolo oggetto sul palmo della mano la fa rabbrividire al pensiero di quanto sia vecchio. Mai prima d’ora si era resa conto che l’abisso del passato avesse la forma di un imbuto. Trovarsi di fronte ad una simile estensione di tempo dà una sensazione di precarietà.

Imbarcandosi a Winthur, si fa degli amici. Sulla cima del Monte Bianco, rispetto all’ultima volta c’è un nuovo rifugio, da cui si domina la valle della Dora. Nella tersa aria alpina le cime delle montagne sembrano navi che galleggiano su di un mare di nuvole. La luce del sole è pallida e trasparente: in lontananza riecheggiano le grida degli sciatori.

A Cair incontra un collezionista che possiede una curiosa biblioteca, piena di frammenti e di cose strane che non si trovano comunemente. Ha una bizzarra passione per le cose antiche, alcuni dei suoi libri sono di vera carta e sono rilegati in finta pelle, copie esatte degli originali.

— «Ancora, gli Alfuri di Poso, nell’isola di Celebes» — legge ad alta voce, — «ci raccontano come i primi uomini venissero riforniti di ciò di cui avevano bisogno direttamente dal cielo; il Creatore passava loro i suoi doni per mezzo di una fune. Dapprima legò alla fune un sasso e lo calò sulla terra dal cielo. Ma gli uomini non lo vollero e chiesero timidamente che cosa potessero farsene di una pietra. Il Buon Dio allora calò una banana che loro naturalmente accettarono con gratitudine e mangiarono di gusto. E questa fu la loro rovina. “Poiché avete scelto la banana” disse la divinità, “vi moltiplicherete e perirete come la banana, e i vostri discendenti prenderanno il vostro posto…”» — Lei chiude il libro. — Che cos’era una banana, Alf?

— Un simbolo fallico, mia cara — risponde lui, accarezzandosi la barba con un sorriso.

A Prah si unisce per un breve periodo ad un allegro gruppo di atleti, giocando a seguite-il-capo; sono andati in volo planato da Omsk al Baltico; sono scesi in toboga sullo scivolo del Rose Club da Danz a Warsz, ed hanno proseguito in bicicletta fino a Bucur; sono andati in pallone, si sono lanciati da precipizi, hanno corso a piedi nudi per tutta la notte. Poi li accompagna in montagna; passano la notte in un rifugio, cantando, ed il mattino dopo ripartono, come uno stormo di rondini. Claire è silenziosa, ed ha un’espressione molto seria; l’orda di giovani le passa accanto di corsa, volti allegri, lampi di calore, risa, grida. — Claire, non vieni?… Claire, che cosa c’è?… Claire, vieni con noi, andiamo a Linz a nuoto! — Ma lei non risponde. L’allegra compagnia se ne va in silenzio.

Sul tetto del mondo, la fitta coltre di nubi si sposta con rapidità, bianca contro l’azzurro intenso del cielo. Si muove verso nord; un vento pungente soffia tra i pini, portando un odore di fiordi gelati.

Claire rientra nella sala comune, ormai vuota, del rifugio. I suoi movimenti sono lenti: è stanca di fuggire. Per cinque anni non è mai rimasta nello stesso luogo per più di qualche settimana. Non ha mai guardato un notiziario, non ha mai cercato di mettersi in contatto con i suoi conoscenti nel Settore Venti. Deliberatamente, ha persino evitato di registrare i suoi spostamenti; farsi registrare significa aspettare una chiamata, ed aspettarla significa essere molto vicini a farne una.

Ma a che serve? Dovunque vada, porta con sé la stessa tristezza.

L’indice telefonico si illumina al suo tocco. Lentamente, con dita ormai disabituate, sceglie il settore, il gruppo e il nome: quello di Dio.

Lo schermo pulsa: c’è una lunga attesa. Poi il viso grigio di un autosegretario la informa educatamente: — Il nominativo ha traslocato senza lasciare ulteriori informazioni.

Claire si sente la gola secca. — Quanto tempo fa è cessata la sua registrazione?

— Un momento, prego. — Il viso inespressivo tace. — L’ultima registrazione risale a tre anni fa, il trenta novembre.

— Prova al registro centrale — dice Claire.

— Non è stata registrata nessuna ulteriore informazione.

— Lo so. Prova ugualmente. Prova dappertutto.

— Ci sarà un ritardo per il controllo. — Il volto senza espressione resta muto per un tempo molto lungo. Claire volta il capo, fissando l’arabesco di colori che si muovono lungo i bordi della stanza. — Attenzione, per favore.

Si volta. — Sì?

— Il nominativo non compare in alcun registro di settore.

Per un momento resta intontita e incapace di parlare. Poi con un gesto congeda l’autosegretario e consulta di nuovo l’indice: lo stesso settore, lo stesso gruppo; il nome: Benarra.

Lo schermo si illumina: quel viso che lei ben ricorda è ora davanti a lei. — Claire! Dove sei?

— A Cheky. Ben, ho cercato di chiamare Dio, e mi hanno detto che non era registrato. È forse…?

— No, è ancora vivo, Claire; si è ritirato. Voglio che tu torni qui più presto che vuoi. Prendi uno speciale, la mia associazione pagherà l’extra, se ti trovi a corto.

— No, ho un surplus. Va bene, arrivo.

— Questo l’ha fatto la stagione dopo che te ne sei andata — dice Benarra. Lo schermo a parete si accende: è un’immagine stereo della piazza principale del livello Tre, la sezione del Centro: edifici scuri, privi di decorazioni, come un canyon di rocce. Le strade sono deserte, nessun viso spunta alle finestre.

— Il Giorno del Cambiamento — dice Benarra. — Dio aveva formalmente dato le dimissioni, ma aveva ancora un giorno. Guarda.

Sullo schermo, una delle facciate degli alti edifici all’improvviso ondeggia e si sbriciola sulla cima. Si solleva una cortina di fumo nerastro. Come una pila di gettoni, l’edificio si inclina verso la strada, e si scinde nei mattoni e nelle pietre che lo compongono. Il rombo giunge attenuato alle loro orecchie, mentre anche un altro edificio esplode, e poi un altro ancora.

— L’ha fatto da solo — dice Benarra. — Ha piazzato lui stesso le cariche esplosive, senza dirlo a nessuno. Il consiglio era inorridito. Gli integratori non erano progettati per disfarsi di tutti quei detriti… hanno dovuto essere amorfizzati e pompati all’esterno. Hanno pregato Dio di smettere, e alla fine l’ha fatto. Però ha chiesto in cambio il Livello Uno.

— L’intero livello?

— Sì, gliel’hanno dato. Lui ha fatto notare che non sarebbe stato per molto. Tutte le aree ricreative e così via, lassù, dovevano comunque essere cambiate; il successore di Dio si è limitato a cancellarle dall’integratore.

Ancora lei non capisce. — Senza lasciare altro che la nuda terra?

— Lui voleva così. Ha preso dei semi dai collezionisti e li ha piantati. Sono andato su molto spesso. Lui coltiva davvero il grano e lo macina per fare il pane.

Sullo schermo, il canyon di strade è diventato un lago di polvere. Benarra sfiora un pulsante: la scena cambia.

Il cielo è di un azzurro luminoso: la terra del livello è nuda. Si scorge un unico piccolo edificio, rigido e spoglio; dietro di esso vi sono alcuni alberi e la luce del tramonto risplende sui campi divisi in filari paralleli. Una figura scura è in piedi immobile a fianco della casa: dapprima Claire non la riconosce come un essere umano. Poi questa si muove, volta il capo. Lei sussurra: — Quello è Dio?

— Sì.

Claire non sa reprimere un gemito di dolore. La figura è troppo piccola per poter distinguere i particolari del corpo, ma qualcosa nelle sue proporzioni le riporta alla mente una delle grottesche statue di Dio, ossute, e assurdamente ingobbite e contratte. La figura si volge e si incammina con passo rigido verso la capanna. Entra e scompare.

Si rivolge a Benarra: — Perché non me l’hai detto?

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