Gene Wolfe - Il miracolo nei tuoi occhi
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- Название:Il miracolo nei tuoi occhi
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- Издательство:Nord
- Жанр:
- Год:1987
- Город:Milano
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— Saremo felici anche di stare in piedi — disse Mr. Parker.
L’autobus si mise in movimento. Little Tib si aggrappò a Nitty con una mano, e con l’altra a un palo che aveva trovato a tentoni. — Eccoci in marcia. È una cosa che dà soddisfazione. Sarebbe ancora meglio se potessimo muoverci sempre, senza fermarci mai. Avevo anzi pensato di costruire il mio tempio su una barca… una barca si muove continuamente, grazie alle onde. Sono sempre in tempo a farlo.
— Lei passa da Martinsburg?
— Sì, sì, sì — disse il conducente. — Permettete che mi presenti: io sono il Dr. Prithivi.
Mr. Parker strinse la mano al Dr. Prithivi, e Little Tib sentì l’autobus deviare da un lato. Mr. Parker emise un grido, e quando il veicolo fu di nuovo raddrizzato presentò Nitty e Little Tib.
— Se lei è un dottore — disse Nitty, — forse può dare un’occhiata a George, quando ha tempo. Non è stato bene.
— Non sono un dottore di quel genere — spiegò Prithivi. — Non curo il corpo, bensì l’anima. Sono dottore in Scienza Divina, laureato all’università di Bombay. Quando qualcuno è malato può chiamare un medico. Se dei giovani si rivelano malvagi, chiamano me.
— Di solito, però — disse Nitty, — le famiglie non lo fanno perché sono contenti di vederli finalmente guadagnare un po’ di denaro.
Il dottor Prithivi rise, di una risatina musicale e acuta. A Little Tib parve di sentirla echeggiare nel vecchio autobus come un trillo. — Ma noi tutti siamo malvagi — disse l’uomo, — e perciò pochi di noi fanno denaro. Questo come lo spiegate? Questo è il buffo della cosa. Io curo le anime malvagie: dunque tutti al mondo non dovrebbero far altro che chiamarmi dalla mattina alla sera. Se avessi un’insegna essa direbbe che il mio orario d’ufficio è dalle nove alle cinque, niente chiamate a casa. E invece sono io che, senza ricevere chiamate, porto la mia casa a tutti, la casa di Dio. Qui accolgo i miei pazienti, e a chi viene dico di salire sul retro del mio autobus.
— Non sapevamo che lei dovesse essere pagato — disse Little Tib, preoccupato perché Nitty gli aveva detto che lui e Mr. Parker non avevano denaro sul loro conto.
— Nessuno deve pagare… questo è il bello. Coloro che desiderano offrire un po’ di benzina al Dio possono infilare qui la loro carta di credito, ma è tutto volontario e noi accettiamo anche altre offerte.
— Certo che è molto buio lì sul retro — disse Nitty.
— Lasciate che ve lo mostri. Vedete che stiamo arrivando a una piazzuola di sosta? Ecco com’è regolato alla perfezione l’universo. Là potremo fermarci e riposare un po’, e prima di ripartire potrò mostrarvi il Dio.
Little Tib sentì l’autobus così all’improvviso che trasalì. Nell’ultimo anno in cui avevano abitato nella casa vecchia era andato a scuola con un autobus. Ricordava quanto caldo c’era stato dentro, e come gli fosse sembrato sciatto dopo le prime settimane; adesso stava sognando di andare al buio su un autobus dall’odore strano, ma poi si sarebbe svegliato, si sarebbe trovato di nuovo sul vecchio autobus, e lo sportello si sarebbe aperto per lasciarlo correre fuori nella luce calda verso la scuola.
Lo sportello si aprì, cigolando e sferragliando. — Scendiamo — disse il Dr. Prithivi. — Ricreiamoci un po’, e vediamo quei che c’è da vedere qui.
— È un luogo panoramico — disse Mr. Parker. — Da qui si possono vedere ben sette contee. — Little Tib si sentì sollevare e portar giù di peso. Nelle vicinanze c’era della gente, anche se non proprio lì accanto, e poté udire le loro voci.
— È molto bello — osservò il Dr. Prithivi. — Anche noi abbiamo belle montagne in India… l’Himalaia, così si chiamano. Questo splendido panorama mi fa pensare ad esse. Quand’ero un ragazzino mio padre affittò una casa sull’Himalaia. I rododendri crescevano selvaggi lassù, e una volta vidi un leopardo nel mio giardino.
Una voce estranea disse: — Qui lei può vedere leoni di montagna. Il momento adatto è la mattina presto… basta alzare lo sguardo sulle grandi pareti di roccia fra cui si guida.
— Proprio così! — esclamò eccitato il Dr. Prithivi. — Era molto presto quando vidi quel leopardo.
Little Tib cercò di ricordare quale fosse l’aspetto di un leopardo, e scoprì di non riuscirci. Poi tentò con un gatto, ma quello che immaginò non era un gatto molto preciso. Si sentiva sudato e stanco, e cercò di dirsi che non era trascorso molto da quando Nitty gli aveva lavato i vestiti. La cucitura sul davanti della camicia, dove c’erano i bottoni, era ancora umida. Quand’era stato capace di vedere aveva saputo con precisione quale fosse l’aspetto di un gatto. Era certo che se avesse potuto tenere un gatto in braccio l’avrebbe saputo di nuovo. Immaginò la morbidezza di un gatto, grosso e con il pelo lungo. Inaspettatamente esso fu lì, di fronte a lui. Non un gatto, bensì un leone, e in piedi sulle zampe posteriori. Aveva una lunga coda con un ciuffo all’estremità, e un nastro rosso annodato sulla criniera. Il suo volto era stranamente offuscato, ma stava ballando… ballava alla musica, solo ricordata, della trillante risata del Dr. Prithivi. Gli era vicinissimo.
Little Tib fece un passo verso di lui ma trovò la strada sbarrata da due tubi metallici. Scivolò al di là di essi. Il leone danzava, saltellava, ondeggiava mutando posa senza sosta. S’inchinò, roteando via, e anche Little Tib cominciò a ballare dietro di lui. Era un gioco e una gara, ed era divertente. Il leone balzò a destra e poi a sinistra, così vicino che poteva quasi toccarlo, e lui lo seguì.
Sentiva che alle sue spalle la gente stava gridando, ma le loro voci gli sembravano sfocate e lontanissime a paragone del trillo flautato sul cui ritmo ballava. Il leone gli tornò di fronte, gli porse le zampe anteriori e lui le afferrò, quindi saltellarono qua e là allegramente. Il suo muso si faceva nitido ora, e divenne più chiaro a mano a mano che facevano girotondo… era una buffa, terribile, amichevole faccia.
Ad un tratto fu come se si fosse infilato in un cespuglio i cui rami erano braccia e mani. Lo afferrarono in più punti, sollevandolo e tirandolo indietro verso le sbarre di metallo. Poté udire la voce di Nitty, ma stava urlando e non si capiva quel che dicesse. Anche una donna strillava… no, parecchie donne, mentre un uomo dalla voce a lui sconosciuta sbraitava: — L’abbiamo preso! L’abbiamo preso! — Little Tib capì che si riferiva a lui, visto che erano in molti ad averlo preso.
Un’altra voce, stavolta quella del Dr. Prithivi, stava ansimando: — Lo tengo. Lasciatelo, che possa sollevarlo da questa parte!
Little Tib alzò il piede sinistro e lo mosse davanti a sé. Non c’era niente lì, niente del tutto. Il leone se n’era andato e in quel momento seppe dove si trovava: sul ciglio di uno strapiombo, che poco più avanti precipitava interminabilmente. Lo spavento lo raggelò.
— Lasciatelo, che io lo possa sollevare! — ripeté il Dr. Prithivi. Little Tib notò quanto fossero piccole e molli le mani di lui. Poi quelle più grosse di Nitty lo agguantarono da un lato, per un braccio e una gamba, e quelle meno robuste di Mr. Parker (o di un altro come lui) lo presero dall’altro. Fu sollevato, tirato indietro e rimesso a terra.
— Camminava nell’aria… — ansimò una donna. — E ballava!
— Questo bambino deve venire con me — esclamò il Dr. Prithivi. — Toglietevi di mezzo, per favore. — Afferrò Little Tib per un polso. Nitty però lo sollevò di nuovo e se lo mise a cavalcioni sulle spalle, con la testa fra le gambe. Lui mise le mani fra i folti capelli di Nitty e vi si afferrò. Altre mani si stavano allungando verso di lui; quando lo raggiungevano si limitavano però a sfiorarlo, come se non osassero fare di più.
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