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Gene Wolfe: Il miracolo nei tuoi occhi

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Gene Wolfe Il miracolo nei tuoi occhi

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Little Tib era esausto. Si distese sul pavimento del vagone, e quando sentì rotolare via il cilindro ormai vuoto del gas non ebbe la forza di riafferrarlo.

— … un bambino malato e… — sentì Nitty dire. La vettura vibrava sotto di lui, e le ruote mandavano ritmici clangori soffocati simili al pulsare del sangue nel cuore di un gigante.

Stava camminando per uno stretto sentiero polveroso. Tutti gli alberi su entrambi i lati avevano foglie rosse, e rossa era l’erba che cresceva attorno alle loro radici. Avevano anche facce, scolpite nei tronchi, e parlavano fra loro mentre lui li oltrepassava. Dai rami pendevano mele e ciliege.

Il sentiero girò intorno a una collinetta ricoperta da piante scarlatte. Fra la vegetazione cinguettavano dei cardinali, e uno di essi gli si appollaiò su una spalla. Little Tib ne fu felice, e gli disse: — Non voglio andare via, mai. Voglio stare qui per sempre, a camminare su questo sentiero.

— Sia fatta la tua volontà, figliolo — disse il cardinale. E si fece il segno della croce con un’ala.

Oltrepassarono una svolta e più avanti vide una casetta, non più grossa di un frigorifero. Era dipinta a strisce bianche e rosse, con un tetto a pan di zucchero. A Little Tib il suo aspetto non piacque ma fece qualche passo verso di essa.

Un uomo di altezza normale uscì dalla minuscola casa. Era fatto di rame, rossastro e lucido, scintillante come un tubo nuovo per una caldaia. Il suo corpo era cilindrico, la testa a forma di pentola e il collo era anch’esso un pezzo di tubo. Aveva grossi mustacchi stampati sulla sua faccia di rame, e si stava ripulendo con una lima. — E tu chi sei? — lo interrogò.

Little Tib glielo disse.

— Non ti riconosco — disse l’uomo di rame. — Vieni più vicino che possa vederti meglio.

Little Tib si avvicinò. Qualcosa stava tambureggiando bam bam bam fra le colline dietro la casetta bianca e rossa. Cercò di vedere cosa fosse ma erano ricoperte da una fitta nebbia, come se fosse mattina presto. — Cos’è quel rumore? — domandò all’uomo di rame.

— Quella è la gigantessa — rispose lui. — Non… riesci… a… vederla?

Little Tib disse che non ci riusciva.

— Allora… apri… la mia… chiave vocale… e io… ti… parlerò…

L’uomo di rame si girò, e Little Tib vide che sulla schiena aveva tre serrature. Quella di centro era contrassegnata da un’etichetta ramata con incise le parole: AZIONE VOCALE.

— … di… lei.

Una bella chiave pendeva da un gancetto accanto alla serratura. Lui la infilò nel foro e la girò.

— Così va meglio — sospirò l’uomo di rame. — Le mie parole, grazie all’aria che tu hai aperto, soffieranno via la nebbia e così potrai vederla. Io posso fermarla; ma se non lo facessi tu verresti ucciso.

Come l’uomo di rame aveva detto, la nebbia si stava sollevando. Parte di essa però non si muoveva: non era nebbia, sembrava piuttosto una montagna. Ma quando si mosse non fu più una montagna, bensì un’immensa donna vestita di foschia, alta il doppio delle colline fra cui stava in piedi. Impugnava una scopa, e mentre Little Tib la osservava un topo grosso come la motrice di un treno sbucò da una caverna in una delle alture. Bam fu il rumore che fece la scopa della gigantessa; ma il topo la evitò infilandosi in un’altra caverna. Un istante dopo corse di nuovo fuori. Bam! La donna era sua madre, ma lui capì che non poteva riconoscerlo… che in qualche modo la nebbia e la necessità di schiacciare il topo la separavano da lui.

— Quella è mia madre — disse all’uomo di rame. — E il topo era nella nostra cucina, nella casa nuova. Ma non lo colpiva come sta facendo adesso.

— Si limita a colpirlo una volta sola — spiegò l’uomo di rame. — Ma quella volta si ripete uguale; è per questo motivo che sbaglia sempre il colpo. Se però tu cercherai di proseguire sul sentiero, la scopa ti ucciderà e ti spazzerà via. A meno che io non la fermi.

— Posso passare fra un colpo e l’altro — disse Little Tib. Ne sarebbe stato capace.

— La scopa è più grossa di quel che pensi — disse l’uomo di rame. — E non potresti vederla bene come credi.

— Voglio che tu la fermi — disse Little Tib. Era sicuro che avrebbe potuto passare fra due colpi della scopa, ma gli dispiaceva per sua madre, che era costretta a cacciare il topo interminabilmente e senza riposo.

— Allora devi lasciare che io ti mostri il modo.

— Sentiamo — disse Little Tib.

— Bisogna che tu giri la mia chiave di movimento.

Sulla serratura più bassa c’era scritto: AZIONE DI MOVIMENTO. Era la più grossa. A lato pendeva la chiave, e quando lui l’ebbe infilata nel foro la girò facendola scattare più volte. — Così può bastare — disse l’uomo di rame. Little Tib rimise la chiave al suo posto e l’uomo di rame si volse verso di lui.

— Adesso devo guardare nei tuoi occhi — disse. Gli occhi di lui erano stampati nel rame, ma Little Tib sapeva che poteva vederci. L’altro gli prese la faccia fra le mani: erano più dure di quelle di Nitty, però più piccole e fredde. Little Tib vide gli occhi di lui farsi sempre più vicini.

Vide i suoi stessi occhi riflessi nella faccia di rame dell’uomo come in uno specchio, e dentro di essi c’erano dei bagliori simili alle fiamme di due candele in una chiesa. Le fiammelle s’ingrandivano. L’uomo di rame continuava ad accostare il volto al suo. Tutto cominciò a essere buio e sempre più buio. Little Tib disse: — Tu non mi conosci?

— Devi girare la mia chiave del pensiero — disse l’uomo di rame.

Little Tib allungò le mani dietro di lui, protendendo le braccia al massimo intorno a quel corpo di metallo rosso. Le sue dita trovarono la più piccola delle serrature, e accanto ad essa pendeva un piccolo gancio; ma non c’era nessuna chiave.

Un bambino stava piangendo. C’era odore di medicinali e una donna dalla voce strana disse: — Vediamo un po’. — Le mani di lei gli toccarono le guance. Le piccole fredde mani dell’uomo di rame. Little Tib ricordò che non poteva vedere niente adesso, non più.

— È malato, sì — disse la donna. — Scotta come il fuoco e si lamenta solo a toccarlo.

— Sì, signora — disse Nitty. — È sicuramente malato.

La voce di una ragazzina disse: — Che malattia ha, mamma?

— Ha la febbre, tesoro, e naturalmente è cieco.

Little Tib disse: — Io sto bene.

La voce di Mr. Parker lo tranquillizzò: — Starai meglio dopo che la dottoressa ti avrà visitato, George.

— Posso alzarmi — disse Little Tib. Aveva scoperto che Nitty lo teneva seduto sulle ginocchia, e questo lo imbarazzava.

— Ti sei svegliato? — domandò Nitty.

Little Tib mise i piedi al suolo e annaspò in cerca del suo bastone, ma era sparito.

— È un pezzo che dormi. Ti sei svegliato soltanto per metà anche quando siamo scesi dal treno.

— Salve — disse la ragazzina. Bam. Bam. Bam.

— Salve — le rispose Little Tib.

— Non farti toccare la faccia da lui, tesoro. Ha le mani sporche.

Little Tib sentì che Mr. Parker parlava con Nitty, ma non prestò loro attenzione.

— Io ho una bambola — gli disse la ragazzina, — e un cane. Si chiama Muggly. Il nome della bambola è Virginia Jane. — Bam.

— Cammini in modo buffo — disse Little Tib.

— Ci sono costretta.

Lui si chinò a toccarle una gamba. Abbassare la testa lo fece sentire strano. C’era un suono squillante, irreale, che sembrava aleggiare intorno e dentro di lui. Sentì con le dita l’orlo della gonna della ragazzina, poi la sua gamba, calda e asciutta, quindi un oggetto di gomma con delle parti metalliche, e strisce che gli ricordavano il collo dell’uomo di rame su tutti i lati. Le seguì con la mano e dentro di esse ritrovò la gamba di lei, ma era perfino più sottile del suo braccio.

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