“Bagagli?” chiese l’inserviente che aveva aperto la portiera di John.
L’alto agente francese sbuffò, allungando le gambe nell’uscire dall’auto. “Il vecchio ha qualcosa, io no.”
Il giovane guardò John in modo strano, ma annuì per mostrare che aveva capito, poi corse verso il baule dell’auto e afferrò le tre diverse valigie di Robert.
John guardò con pungente umorismo l’inserviente che portava le valigie su per le scale in marmo facendo un gradino alla volta. Non era certo di cosa servisse così disperatamente a Robert da rendergli necessario l’utilizzo di tre valigie. John era relativamente sicuro di non aver mai fatto una sola valigia in vita sua. Si sarebbero fermati lì solo qualche giorno: quello che non sarebbe riuscito a comprare in un negozio di souvenir, l’avrebbe probabilmente trovato al banco degli oggetti smarriti. Tutti gli hotel eleganti ne avevano uno.
Lanciò un’occhiata alle porte scorrevoli con un’espressione severamente sospetta mentre Robert risaliva con le gambe rigide i gradini di marmo e aspettava che l’inserviente – che ancora stava portando la sua ultima valigia – si fermasse, posasse il bagaglio a terra e aprisse la porta con un sorriso, per poi entrare nell’atrio del resort.
Per un momento, al freddo, Robert si fermò, fece una smorfia e tossì.
“Tutto bene?” gli chiese John.
Ma Robert si limitò a fare un gesto di noncuranza con la mano ed entrò nell’hotel.
John lo seguì, infilandosi le mani nelle tasche della felpa e salendo a grandi passi i gradini di marmo. Da entrambi i lati si ergevano delle torrette che facevano da contorno all’edificio di pietra, vetro e legno. Addirittura John, che non aveva mai sviluppato alcun gusto per le cose belle, si fermò ad ammirare i dettagli architettonici. Notò anche tre finestre blu, che sarebbero state perfette come punto di vedetta per un cecchino.
Informazioni utile, date le circostanze? Forse no. Ma John non poteva tanto permettersi di mettere da parte il proprio istinto. Gli era tornato utile in ben più di un’occasione.
“Dobbiamo parlare con il direttore,” disse Robert sottovoce, mentre John lo raggiungeva nel lussuoso atrio. Marmo, vetro, luci ornamentali e piante e opere d’arte disposte con gusto rendevano l’ingresso del resort davvero impressionante.
John sbuffò. “Dov’è il direttore?” chiese all’inserviente che ora stava sistemando le tre valigie di Robert su un carrello.
“Ah, excusez moi ?” chiese il giovane con tono esitante. “Il direttor Pires è probabilmente indisposto al momento. Ma sono sicuro che ci sono degli impiegati che saranno più che felici di…”
“Di certo c’è un modo per farti cambiare idea, hmm?” chiese Robert con voce melliflua. Allungò un braccio e John notò una banconota da cento euro nascosta nella mano chiusa dell’anziano investigatore.
L’inserviente si schiarì la gola, guardò la banconota e i suoi occhi scattarono verso il basso bancone di marmo che costeggiava la parete opposta dell’atrio. “Non… non penso di poterlo fare,” iniziò con esitazione.
“Su,” lo incalzò Robert. “Sono certo che possiamo raggiungere un accordo, monsieur .”
Il giovane sembrava ancora riluttante. La pazienza di John a quel punto si era già quasi del tutto esaurita. Mentre Robert tentava una terza volta con sommessi e dolci mormorii, John si girò, si rivolse verso lo spazio dell’atrio e al massimo della voce gridò: “DGSI! Siamo qui per parlare con il direttore. Adesso! ”
L’inserviente fece un salto e parve voler sprofondare e scomparire nel pavimento. Robert sospirò rassegnato guardando il collega, ma si mise con riluttanza i soldi in tasca e incrociò le braccia sulla giacca ordinata del suo completo.
“Ebbene?” gridò ancora John, questa volta con tono ancora più alto. “Il direttore?”
“Sono sicuro che se siamo pazienti e aspettiamo…” tentò di dire Robert, ma prima che potesse finire la frase, ci fu un rapido movimento attraverso una porta dietro a lungo bancone. Qualche cliente e un paio di impiegati stavano guardando in direzione di John, facendo però finta che non fosse successo niente.
Dalla porta apparve una donna con un’impeccabile uniforme rossa e camminò con passo rapido verso il punto in cui si trovavano i due agenti. Osservò Robert, con il suo completo perfetto e i capelli ben pettinati, e poi il suo sguardo passò a John e alle sue due felpe che ne accentuavano l’aspetto trasandato. Vedendolo, i suoi occhi si spostarono lungo l’atrio, verso due guardie addette alla sicurezza che si trovavano accanto alla porta. Esitò, ma poi si rivolse ai due agenti del DGSI.
“Salve,” disse, premendo le labbra tra loro. “Posso aiutarvi? Sono Maria, l’assistente del direttor Pires. Temo che lui non sia disponibile al momento. Come vi posso assistere?”
“Mi scusi, mademoiselle,” disse Robert, avanzando e prendendo con delicatezza la mano di Maria. Gliela strinse e fece un leggero cenno del capo in segno di saluto. “Abbiamo necessità di alcune informazioni. Se lei fosse così gentile da concederci un po’ del suo tempo, gliene saremmo eternamente grati.”
John osservò lo strano scambio, avvertendo uno fastidioso prurito in prossimità del colletto. Una volta qualcuno gli aveva detto che aveva una faccia da pitbull pigro quando era impaziente. La persona che aveva osato tale osservazione era finita in ospedale con il naso rotto e un occhio nero. Ma in quel momento John si morse la lingua e aspettò che Robert finisse a modo suo.
L’assistente al direttore parve stupita, addirittura lusingata dal modo di porsi di Robert. Quando però ebbe inquadrato il ricco investigatore, sembrò quasi essere finalmente a proprio agio, e anche parte della preoccupazione e mancanza di fiducia nei confronti di John parvero dissiparsi.
“Avete detto che siete del DGSI?” chiese con tono cortese, allungando il braccio e permettendo a Robert di accompagnarla verso il bancone.
“Sì, cara,” le rispose lui. “Una questione decisamente delicata.”
John rimase al suo posto, dimenticato da tutti, mentre i due procedevano sottobraccio verso il fondo dell’atrio. Il pavimento lucido e lussuoso brillava per effetto delle eleganti luci che lo inondavano dal soffitto.
“Sì,” disse la donna, sommessamente, gli occhi che si posavano su un paio di clienti che stavano effettuando il check-in alla reception. Le loro numerose borse e valigie erano sistemate su un carrello ora spinto da un altro inserviente in uniforme cremisi. Le valigie di Robert li stavano attendendo accanto all’ascensore, con l’inserviente loro dedicato che attendeva pazientemente in piedi con le braccia conserte.
John sollevò la borsa del suo portatile – dove aveva infilato una camicia e un cambio di boxer – e seguì con passi pesanti il collega. Chiunque si voltasse a guardarlo, si beccava un’occhiata torva da parte sua. Riuscì a raggiungere Robert e la donna con due ampie falcate.
Arrivarono al bancone insieme, e John sentì Robert che completava la frase con: “… magari in un posto più privato?”
Maria appoggiò un braccio sul bancone e lanciò un’occhiata significativa all’uomo che stava al computer, nascosto dietro al divisorio in marmo. L’impiegato fece un cenno di saluto con il capo, poi si allontanò velocemente, portandosi dall’altra parte della lunga parete divisoria.
Dal canto suo, Maria abbassò la voce e disse sommessamente: “Il signore e la signora Hanes venivano qui da sempre, per quanto ricordo. Una volta all’anno.”
“Ah,” disse Robert. “Ma lei è così giovane! Non può essere poi da chissà quanto tempo, no?”
Maria si fece sfuggire una risatina e John si sentì rivoltare lo stomaco. “Lavoro qui da quasi quindici anni,” disse la donna. “Ho iniziato come cameriera e mi sono fatta strada. Serviamo solo la clientela più prestigiosa . Come sono sicura lei saprà.”
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