“Grazie,” mormorò Lacey. “Sapevo che avresti capito.”
In quel momento, Lakshmi apparve sulla porta con il suo camice verde scuro addosso. Abbassò lo sguardo su Lacey e Chester, accoccolati sul pavimento fuori dalla gabbia aperta. “State bene lì per terra?”
Lacey annuì. Era venuta direttamente dalla pasticceria di Tom alla clinica per avere un po’ di solidarietà canina dal suo Chester, che di certo non l’avrebbe giudicata, come probabilmente avrebbe fatto invece Gina. Voleva anche salutarlo, perché quella sarebbe stata l’ultima volta che lo avrebbe visto per un po’ di giorni.
“Avevo solo bisogno di una sessione di pet-therapy,” scherzò Lacey. Liberò le gambe da sotto il peso di Chester, che le si era sdraiato in braccio. “Gina verrà a trovarti domani,” gli disse.
Chester la guardò con occhi tristi.
“Oh, piccolo, non farmi quella faccia,” gli disse. “Tu adori Gina.”
Chester sbuffò dalle narici, poi entrò obbediente nella sua cuccia, con la coda bassa e penzolante. Lacey provò una fitta di senso di colpa.
“Sta bene là dentro?” chiese a Lakshmi, piena di preoccupazione.
La dottoressa chiuse la porta della gabbia e vi mise il lucchetto. Chester guardava sconsolato attraverso il vetro.
“Sta benone,” le assicurò. “Sta reagendo bene alle pastiglie. Stavi dicendo che qualcun altro verrà a trovarlo mentre tu sei a Dover?”
Lacey sentì le guance che si arrossavano. Lakshmi doveva aver origliato tutta la precedente conversazione tra lei e Chester, con tutta la sua lamentosa tirata su Tom che aveva invitato la sua famiglia a Dover.
Si grattò il collo in modo imbarazzato. “Hai sentito tutto, eh?”
Lakshmi rise. “Uh-huh. Mi sa di sì. Ma non ti preoccupare. Io non penso per niente che tu ti stia comportando da egoista.” Abbassò la voce. “Io vado in vacanza per allontanarmi da mia madre. Se qualcuno la invitasse a venire, sarei furente.”
Anche Lacey rise. “Sono contenta di non essere l’unica.”
Con l’umore leggermente risollevato, lasciò Chester alle capaci cure di Lakshmi e tornò verso il suo negozio.
Sua madre, sua sorella e suo nipote erano tutti dentro quando arrivò. Frankie era seduto sul pavimento e giocava con Boudicca, mentre Naomi sedeva vicino alla finestra, sfogliando una rivista di pettegolezzi. Anche Shirley era seduta, con la schiena dritta e rigida, sulla poltroncina in velluto rosso, l’espressione un misto di disagio e noia.
“Eccola qua!” esclamò Gina quando il campanello d’ottone tintinnò leggermente al suo ingresso.
“Lacey,” disse Shirley con lo stesso tono che era solita usare quando da bambina Lacey ne combinava qualcuna. “Dove diavolo eri scomparsa?”
“Scusate,” mormorò lei. “Sono dovuta andare dal veterinario a salutare Chester. Pensavo di averlo detto.”
Sapeva benissimo di non averlo fatto, dato che se n’era andata di punto in bianco dal negozio di Tom, frastornata, ma una piccola bugia innocente a volte era necessaria per evitare discussioni maggiori.
“Gina mi ha raccontato tutto di Punch e Judy,” si intromise Frankie. “Voglio comprare il pagliaccio, ma la mamma ha detto che non posso.”
“Mi fa paura,” disse Naomi, guardando la marionetta con una smorfia. “E lo vuoi solo perché ha i capelli rossi. Non ci giocheresti mai.”
Lacey guardò Gina con espressione dispiaciuta. Non le era venuto in mente che l’amica sarebbe rimasta incastrata con la sua famiglia mentre lei faceva la sua sessione di pet-therapy con Chester. Eppure Gina non sembrava per niente stressata, ma piuttosto positiva. Dopotutto era una che amava stare con la gente. E non aveva neanche lo stesso passato che lei aveva vissuto con loro.
“Allora, cosa facciamo oggi?” chiese Shirley con il suo tono leggermente irritato. “Non voglio starmene seduta nel tuo negozio per un’eternità.” Anche se non lo disse a voce alta, era più che evidente che Shirley si sentiva piuttosto a disagio nel negozio di antiquariato di Lacey. Il suo naso arricciato e la postura rigida erano un segnale inequivocabile.
Naomi si unì a lei. “Sì, Lacey, cosa facciamo oggi? Abbiamo visto la spiaggia. Le scogliere. Le pecore. Abbiamo mangiato pasticcini appena sfornati e bevuto tè dalla teiera. Cos’altro c’è da fare qua in giro?”
“Tom ha detto che dovremmo bere il cream tea del pomeriggio,” disse Frankie. Guardò Lacey con espressione interrogativa. “Cos’è il cream tea? È come un frullato caldo?”
Lacey rise. “Capisco come tu sia arrivato a questa conclusione, ma no, il cream tea non è un frullato caldo. Il cream tea è quando bevi una tazza di tè con uno scone alla marmellata e la panna,” gli spiegò.
“Gli scone!” ripeté Frankie. “Li ho mangiati. La mamma me li prepara nelle occasioni speciali.”
Sorpresa, Lacey si voltò a guardare la sorella. Naomi stava fingendo di non ascoltare più la conversazione, per l’ovvio motivo che la persona che aveva fatto loro conoscere gli scone era stato loro padre, e lo aveva fatto proprio a Wilfordshire.
“Beh, Wilfordshire ha i migliori scone di tutto il Regno Unito,” disse Lacey, rivolgendosi di nuovo a Frankie. “Devi provarli prima di tornare a casa. Posso suggerire un’adorabile sala da tè sulle colline, e lì c’è anche una bellissima residenza signorile che si chiama Villa Penrose.” Se la sua famiglia avesse fatto tutto il giro fino alla villa, lei avrebbe avuto almeno un paio d’ore di respiro prima che il loro viaggio li costringesse a stare ancora più vicini.
“Altro cibo?” disse Shirley con un sospiro sdegnoso. “Onestamente, come fanno gli inglesi a non essere tutti sovrappeso? Pare che ci sia un pasto dopo l’altro, qui.”
Gina iniziò a ridere, dandosi dei colpetti sulla pancia leggermente arrotondata. “Alcuni di noi lo sono.”
Boudicca emise un piccolo verso, come se volesse protestare contro l’auto-ironia della padrona.
“Non possiamo restare qui?” chiese Frankie. Era seduto a gambe incrociate sul pavimento accanto a un baule aperto, circondato da giocattoli antichi.
“Ti annoieresti nel giro di cinque minuti,” commentò Naomi.
Shirley non sembrava per niente contenta della richiesta di Frankie. “No, Frankie. La nonna non se ne vuole stare seduta in una stanza buia e polverosa tutto il giorno. Non è salutare per i miei polmoni. E non posso neanche dire che l’odore mi piaccia molto.”
Diciamo che sono più che altro i ricordi a non essere graditi , pensò Lacey, la mente che andava al ricordo del vecchio negozio di antiquariato del padre a New York. Ma ovviamente non disse niente a voce alta. Parlare di suo padre era peccato.
Frankie si alzò in piedi, lasciando il suo mucchio di giocattoli sul pavimento, e andò alla porta. Naomi e Shirley lo seguirono.
“Almeno abbiamo solo un giorno da passare qui,” disse Naomi a Shirley mentre aprivano la porta. “Domani partiamo per Dover.”
Il campanello tintinnò mentre la porta si richiudeva dietro di loro.
Non appena se ne furono andati, Lacey si accasciò in avanti sul bancone e si lasciò andare a un profondo sospiro. Dubitava fortemente che nella pittoresca cittadina balneare di Dover ci sarebbe stato qualcosa di sufficiente a tenere occupata la sua famiglia, se Wilfordshire li aveva annoiati così rapidamente.
Gina si mise a ridere. “Dimmi che sono pazza, ma potrei giurare che tua sorella ha appena detto che domani vanno a Dover.”
Lacey posò gli occhi stanchi sull’amica e annuì tristemente. “Tom li ha invitati a venire con noi.”
Dietro alla sua montatura rossa, Gina sgranò gli occhi. “Oh.”
“Proprio oh,” rispose Lacey, prendendosi la testa tra le mani.
Sarebbe stato un lunghissimo viaggio.
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