Pensando a Chester, Lacey arrivò a una risoluzione personale. Era ora di smettere di rimandare. Domani avrebbe detto alla sua famiglia che lei e Tom avevano prenotato un viaggio e che quindi li avrebbe lasciati lì a Wilfordshire a badare a loro stessi. Forse così avrebbero capito che la prossima volta che avevano voglia di farle una visita, sarebbe stato meglio prima controllare
Sì, certo. E i maiali volano … fu l’ultimo pensiero di Lacey, prima di addormentarsi.
*
Lacey si svegliò sul divano e cercò di stiracchiarsi. Ogni singolo muscolo era rigido e dolorante: il divano non era esattamente robusto. Dopo otto ore sotto al peso morto di una persona addormentata, si era praticamente disintegrato.
Lacey allungò braccia e gambe, sbuffando mentre il suo corpo protestava.
La luce del giorno stava filtrando da una fessura tra le tende color crema. Ma la casa era nel silenzio. Un insolito silenzio.
“Chester,” disse Lacey con tono mesto, ricordando il suo cucciolone a un paio di miglia da lì, rinchiuso in una gabbia dal veterinario.
Il suo pastore inglese era affidabile come un orologio e la svegliava ogni mattina alle sette precise, in modo da potersi fare la sua corsetta mattutina sul prato, cacciando via qualsiasi pecora si fosse addentrata oltre i confini del giardino di Gina durante la notte, per poi trangugiare la sua ciotola di crocchette mentre Lacey mandava giù un espresso. Poi andava generalmente a cercare la sua pallina da tennis preferita, oppure si sedeva sul tappeto della cucina abbaiando in direzione del guinzaglio, perché era finalmente pronto per la passeggiata lungo la spiaggia fino al negozio.
Ma il silenzio sembrava molto più pronunciato che per la mera assenza di Chester. Suonava tremendamente sospetto. E dato che la sua famiglia non era esattamente nota per la propria quiete, Lacey si rese conto che c’era una sola spiegazione: se n’erano andati!
Saltò su dal divano, lasciando cadere il lenzuolo che stava usando come coperta, e corse fuori dal salotto a piedi scalzi. Andò dritta in cucina. Sul tavolo c’erano due piatti pieni di briciole, accanto a una ciotola per i cereali vuota, con un piccolo residuo di latte all’interno e un paio di cornflakes che galleggiavano sul fondo. Due mug usate per il caffè, un bicchiere per il succo. Coltelli e forchette sporchi. Nessuna giacca appesa agli attaccapanni vicino alla porta della cucina. Niente scarpe sul tappetino.
“Se ne sono andati!” esclamò Lacey.
Il pensiero della sua famiglia sguinzagliata in città senza alcuna supervisione le fece provare una scossa di terrore. Avrebbero potuto incontrare chiunque . Dire qualsiasi cosa ! Doveva trovarli!
Attraversò rapidamente la casa, raccogliendo le cose che le servivano per la giornata, poi corse fuori.
Dove siete andati, ragazzi? scrisse in un rapido messaggio per Naomi mentre risaliva velocemente il vialetto del giardino e poi il vicolo.
Siamo andati a fare colazione in città , le rispose Naomi.
Dove? le scrisse Lacey, pensando alla caffetteria d’angolo, di proprietà della donna che l’aveva accusata di omicidio, o al bar poco più avanti dove si erano dimostrati ostili nei confronti di un’americana che veniva ad aprire un negozio lungo la via principale. C’erano così tanti posti dove Lacey non voleva che andassero!
Nessun messaggio da parte di Naomi. Lacey allungò il passo.
Quando raggiunse il fondo della via principale, cominciò a camminare zigzagando da un lato all’altro del viale, controllando in ogni vetrina. Non erano alla caffetteria (grazie al cielo) e neanche nel bar. Non erano neanche in panificio, o in nessuna delle graziose sale da tè, con i loro muri color pastello e le tendine quadrettate, la cui particolarità avrebbe sicuramente esercitato il suo fascino su una sentimentale buongustaia come sua madre.
“Dove sono?” mormorò Lacey a voce alta.
Era quasi arrivata al suo negozio di antiquariato, quando improvvisamente vide con la coda dell’occhio qualcosa di arancione. Girò la testa e scorse gli inconfondibili ricci rossi di Frankie attraverso la vetrina della pasticceria di Tom.
“Oh, no…” disse, ancora a voce alta, accelerando il passo.
Man mano che si avvicinava, poteva vedere sempre meglio attraverso la vetrata. Sedute accanto a Frankie c’erano sua madre e Naomi. E poi c’era Tom. Erano tutti sorridenti, come se stessero condividendo un momento di piacevole entusiasmo.
Le si strinse lo stomaco mentre spingeva la porta ed entrava bruscamente nel locale.
Tutti si girarono al suono aggressivo del campanello.
“Lacey,” disse Tom, raggiante. “Grandi notizie. I tuoi vengono a Dover con noi!”
Lacey afferrò Tom per il gomito e lo trascinò nella cucina della pasticceria.
“Cosa stai facendo?” sibilò.
“In che senso?” le chiese lui, confuso.
“Hai invitato la mia famiglia a unirsi a noi per la nostra gita romantica a Dover?”
Tom scrollò le spalle. “Hanno fatto il viaggio fino a qui da New York,” le disse. “Non possiamo andarcene e lasciarli qui. Sarebbe quantomeno maleducato.” Fece un passo avanti e le accarezzò con affetto il braccio. “E comunque sarà una buona opportunità per me per conoscerli meglio. Che vorrebbe dire conoscere meglio anche te . Non penso che tu mi racconteresti di tua spontanea volontà tutti gli aneddoti imbarazzanti della tua infanzia, no?”
Le rivolse un tenero sorriso, ma non servì ad ammorbidirla. Lacey si mise le mani sui fianchi.
“Ma dove li mettiamo? Non intendo dormire ancora sul divano!”
Tom le strinse le braccia con fare rassicurante. “Rilassati. Doveva essere una sorpresa, ma la locanda è effettivamente un faro riconvertito di recente. Ho prenotato la suite principale, ma c’è la possibilità di affittare l’intero edificio. Chiamo subito il proprietario e prenoto le altre stanze, ok? Ci sarà spazio a sufficienza per tutti quanti.”
Un faro? O santo cielo! Se Tom non gliel’avesse rivelato in circostanze tanto stressanti, Lacey sarebbe stata davvero emozionata. Era una cosa unica! Così esotica! E invece la sua mente era completamente annebbiata dallo shock e l’unica sensazione che riusciva a provare era totale frustrazione.
“Avresti dovuto chiedermelo prima,” bofonchiò.
Tom la guardò perplesso. “Pensavo che avessi voglia di passare del tempo con la tua famiglia. Non avevo idea che la cosa ti avrebbe dato fastidio.”
“Non mi dà fastidio,” ribatté lei immediatamente, anche se le era difficile comprendere il complesso dei sentimenti che provava, figurarsi spiegarlo. “È solo che volevo passare del tempo con te ,” disse, espirando tristemente.
“Ho buone notizie,” le disse Tom con un sorriso malizioso in volto. “Vengo anch’io.”
Ma la battuta non ebbe l’effetto di rallegrarle l’umore. Era davvero tipico di Tom. Avrebbero dovuto godersi una gita romantica , anzi, la loro prima gita romantica! Ma con la sua famiglia alle calcagna, ogni possibilità di cene a lume di candela o champagne e fragole, o bagni nella Jacuzzi sarebbe stata assolutamente fuori discussione. Eppure sembrava che la cosa non lo infastidisse per niente.
Lacey non sapeva che parole usare per esprimere quello che stava pensando. Quindi gli rivolse un mesto sorriso e si limitò a ribattere: “Sì, immagino di sì.”
*
“Non pensi che mi stia comportando in modo egoista, vero?” chiese Lacey lasciandosi andare a un profondo sospiro. “È solo che ero davvero entusiasta di avere del tempo tutto per me e Tom, e poi lui li ha invitati a venire con noi. Cioè, ma ci credi?”
Stava fissando gli scuri occhi comprensivi di Chester. Il cane mugolò, come a indicarle che la capiva, e lei gli accarezzò le orecchie vellutate.
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