Blake Pierce - La Vicina Perfetta

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“Un capolavoro del thriller e del mistero. Blake Pierce ha fatto un ottimo lavoro sviluppando dei personaggi con un lato psicologico così ben descritto da farci sentire come dentro alle loro teste, seguendo le loro paure e gioendo per i loro successi. Pieno di svolte, questo libro vi terrà svegli fino a che non girerete l’ultima pagina.” . –Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (riguardo a Il killer della rosa) . LA VICINA PERFETTA è il libro #9 di una nuova serie di thriller psicologici dell’autore campione d’incassi Blake Pierce, che inizia con La moglie perfetta, un bestseller numero #1 (scaricabile gratuitamente) con quasi 500 recensioni da 5 stelle. . In un quartiere ricco ed esclusivo a Manhattan Beach, una nuova inquilina si trasferisce in una casa di lusso, dove viene ritrovata morto poco dopo. Il caso porta Jessie in un’altra cittadina di mare, evocando i brutti ricordi del suo matrimonio e costringendola ad affrontare i propri demoni, mentre nel contempo tenta di smascherare le bugie di questa cittadina apparentemente perfetta… L’omicidio è collegato a una festa esclusiva dedicata all’élite?. O c’è in ballo un motivo ancora più atroce?. A peggiorare le cose, ora il marito di Jessie è uscito di prigione, tornando ad essere per lei una potenziale minaccia… Un thriller psicologico veloce e pieno di suspence, con dei personaggi indimenticabili, LA VICINA PERFETTA è il libro #9 di una nuova serie che vi terrà incollati alle pagine e non permetterà quasi di andare a dormire..

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“Lavoro con il detective Hernandez,” disse in modo vago. “Puoi dirmi dove si trova?”

“È di sopra,” disse l’agente. Anche se non l’aveva mai incontrato, Jessie ebbe l’impressione che il giovane fosse piuttosto scosso. Guardò il suo cartellino identificativo.

“Tutto bene, agente… Timms?”

“Si, signora,” le assicurò lui, ricomponendosi. “È solo che avevo conosciuto la vittima. Mi piaceva. E poi sono stato io a trovarlo.”

“Capisco,” disse Jessie, dandogli una pacca amichevole sulla spalla. “Non è mai facile quando c’è un collegamento personale.”

“No, signora,” disse lui, sollevando il nastro di delimitazione per farla passare sotto.

“Come ti è capitato di trovare la vittima così a notte fonda?”

Si rese conto che la domanda suonava accusatoria, anche se non aveva voluto porla con quell’intenzione.

“Avrebbe dovuto restituire le chiavi dopo qualche ora. Non vedendolo tornare, sono venuto a dare un’occhiata e…” Cedette, sopraffatto dall’emozione.

Jessie avrebbe voluto chiedere perché qualcuno avrebbe dovuto restituire una chiave alla polizia così a notte fonda, ma capiva che il ragazzo non era nella condizione di risponderle, quindi lasciò perdere.

“Grazie per il tuo aiuto, agente,” gli disse. Incapace di pensare a nient’altro da dire per confortarlo, si girò e si diresse verso la casa.

Mostrò il proprio cartellino anche all’agente che stava di guardia alla porta. Lui si fece da parte per farla entrare. Jessie guardò il pavimento del foyer e vide il contorno tracciato con il gesso dove si era trovata presumibilmente la prima vittima. Sollevò poi lo sguardo verso la sommità delle scale, da dove sentiva provenire diverse voci. Una di esse sembrava quella di Ryan.

Iniziò a salire le scale, quando un altro agente che si trovava alla base delle stesse e che sembrava essere un sergente alzò una mano. Diversamente dall’agente Timms, questo sembrava più anziano ed esperto.

“Posso aiutarla, signora?” chiese con gentilezza ma allo stesso tempo con tono duro.

“Lavoro con il detective Hernandez,” disse Jessie, mostrando per la terza volta le proprie credenziali.

“Gli faccio sapere che è qui,” disse il sergente, il cui cartellino diceva ‘Breem’, senza però spostarsi.

“Sento la sua voce,” disse Jessie con tono più irritato di quanto avrebbe voluto. “Posso farglielo sapere io quando arrivo di sopra.”

“Mi spiace, signora. Il detective Hernandez è stato chiaro quando ha ordinato che nessuno deve salire senza la sua esplicita autorizzazione. Vuole che le cose siano fatte in modo estremamente meticoloso in questo caso.”

“Fa così con tutti i casi,” rispose Jessie con vigore.” Cos’è che rende diverso questo?”

L’agente la guardò perplesso. Aprì la bocca per risponderle, ma prima che potesse parlare, una voce familiare la chiamò dal piano superiore.

“Jessie?” disse Ryan guardando dal pianerottolo. “Cosa ci fai qui?”

Lei alzò lo sguardo e capì immediatamente che era turbato da qualcosa che non era per niente connesso alla sua presenza lì. Mentre lo fissava, un senso di timore iniziò a pervaderla. Scattò su per le scale prima che il sergente Breem potesse fermarla. L’uomo fece per seguirla, ma vide Hernandez scuotere la testa.

“Va tutto bene, sergente,” gli disse.

“Cosa sta succedendo, Ryan?” chiese Jessie sottovoce, quando lo ebbe raggiunto in cima alle scale.

“Devo parlarti privatamente fuori di qui,” sussurrò lui.

“No. Cosa sta succedendo? Dov’è Garland?” chiese, passando oltre e guardando dentro alla camera da letto.

Sbatté le palpebre lentamente, sperando che ciò che stava vedendo sul pavimento della stanza fosse un’illusione. Ma quando riaprì gli occhi, era ancora lì. Tra il medico legale e un tecnico addetto alla scena del crimine, era steso Garland Moses. Morto.

CAPITOLO NOVE

Jessie si sentì stringere il petto e scoprì di non riuscire a respirare.

Cercò di parlare, ma dalla sua bocca uscì solo un roco sbuffo. Deglutì a fatica, cercando di lubrificare la gola improvvisamente asciutta. Allungò la mano per appoggiarsi al parapetto mentre strizzava gli occhi guardando Ryan, chiedendosi se questo potesse in qualche modo cambiare le cose.

“Mi spiace,” le disse, allungando le braccia verso di lei.

Jessie scosse la testa violentemente e lui si fermò.

“Cosa?” gli chiese con tono assente, anche se l’aveva sentito benissimo.

“Vieni con me,” le disse lui, prendendola per un braccio e guidandola fino a un balcone alla fine del corridoio.

Si voltò a guardarla e aprì la bocca, ma non successe niente. Richiuse la bocca, apparentemente in difficoltà su come cominciare. Poi riprovò.

“Pare che ieri sera sia tornato qui per controllare una pista. Da quello che abbiamo trovato fino ad ora, sembra che sia stato aggredito nella camera matrimoniale. C’è stata chiaramente una colluttazione. È stato ucciso, strangolato a morte.”

Jessie sentiva che la sua mente vorticava, fuori controllo, e tentò di imbrigliarla. Parte del suo cervello stava già facendo domande sulla scena del crimine. Ma, furiosa con se stessa, lo zittì di forza, strizzando gli occhi come se fossero collegati a una sorta di interruttore interno.

Garland era morto. Il profiler criminale così leggendario che lei stessa era stata inizialmente timorosa di avvicinare. L’uomo che alla fine era diventato per lei un mentore, e poi un amico a cui affidava i suoi segreti più oscuri, non l’avrebbe più presa in giro, né messa alla prova, né sostenuta. Se n’era andato.

Jessie sentì un’ondata di dolore pervaderla mentre in lontananza udiva il rumore delle onde vere e proprie. Era come se l’oceano conoscesse il suo dolore e avesse deciso di offrirle una colonna sonora. Si chinò all’altezza della vita e ordinò a se stessa di fare diversi respiri profondi prima di tentare di nuovo di parlare.

Quando le parve di aver riconquistato una certa misura di controllo sul proprio corpo, si rialzò. Ryan la stava studiando con espressione preoccupata.

“Sto bene,” gli disse, anche se non era certa che fosse vero. “Portami sulla scena.”

Ryan la fissò come se fosse pazza.

“Non posso farlo,” le disse incredulo. “Non sei nella condizione per analizzare una scena del crimine in questo momento.”

“Tu invece sì?” gli chiese, sentendo un improvviso e inappropriato livello di rabbia salirle dalle viscere. “Lo conoscevi anche tu.”

“Sì,” le concesse Ryan. “Lo conoscevo e mi piaceva. Ma non gli ero per niente vicino e affezionato quanto te. E comunque è stato brutale per me. A dire il vero ho chiamato Trembley perché mi desse una mano, perché io stavo facendo fatica.”

“È là dentro adesso?” chiese Jessie. Alan Trembley era il detective junior della squadra HSS alla Stazione Centrale. Nonostante la giovane età, aveva dimostrato di essere un agente energico e capace.

“Sì, e sta facendo un ottimo lavoro. Gli vado a dire di occuparsene in modo da poterti portare a casa.”

“No,” ribatté Jessie. “Non voglio che ti sfugga qualcosa di importante perché non eri qui.”

“Jessie. È tutto sotto stretto controllo là dentro. Non stiamo usando la Polizia di Manhattan Beach per questa indagine. Gli agenti là dentro con Trembley sono dei nostri. Il medico legale e i tecnici della scena del crimine sono i nostri. Il capitano ha insistito che usassimo tutte le nostre risorse, e da Manhattan Beach non è arrivata nessuna obiezione. Stanno facendo foto, girando video. Tutto quello che si può fare, lo stanno facendo. Lascia che ti porti a casa. Chiederò a qualcuno di occuparsi della tua auto. Fidati di me. Non ci vuoi andare, là dentro.”

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