Aveva sperato di poter colpire il volto dell’uomo, di lasciargli un livido visibile. Invece sentì che la sua nuca andava a sbattere contro qualcosa di duro ma meno prominente. Udì uno scricchiolio. L’uomo gemette e allentò leggermente la presa. Garland immaginò si trattasse della clavicola.
Per una frazione di secondo fu tentato di cercare di divincolarsi, ma sapeva che non avrebbe avuto alcun effetto. L’altro uomo era già in vantaggio. Usò invece quella brevissima pausa per prendere un’altra boccata d’aria e dare un’altra testata indietro. Il grido dell’uomo gli fece capire che era andato a segno un’altra volta.
Ma poi l’uomo parve trovare una nuova riserva di forza e furia. Garland sentì la cintura che lo stringeva con maggior forza di prima e scoprì di non poter più fare leva con i pugni. In realtà poteva sentire il sangue che pompava nella carotide mentre la cintura premeva contro il dorso delle sue mani. Un altro strattone violento gli schiacciò la trachea e lui sentì il suo respiro diventare roco.
Tutt’a un tratto notò che il dolore all’anca, alla schiena, alle mani e alla gola stava svanendo. Si chiese da cosa potesse derivare. E poi, con un ultimo pensiero coerente, gli venne in mente: stava perdendo conoscenza per quella che sarebbe stata la sua ultima volta.
Jessie si mise seduta di scatto sul letto.
Il rumore del telefono di Ryan che suonava l’aveva strappata alla migliore notte di sonno che avesse avuto in settimane. Riconobbe subito la suoneria. Era il capitano Decker. Guardò la sveglia posata sul comodino. Erano le 2:46. Perché il capitano della loro centrale chiamasse a quell’ora del mattino, doveva essere successo qualcosa di davvero grave.
“Pronto,” disse Ryan dopo aver rovistato con il telefono per diversi secondi.
Jessie poteva sentire la voce di Decker, ma il capitano parlava più sottovoce del solito, impedendole di distinguere una sola parola. Jessie notò però che il corpo di Ryan si irrigidì visibilmente.
“Ok,” disse lui sommessamente, accendendo la luce e mettendosi a sedere.
Decker continuò a parlare per un altro mezzo minuto mentre Ryan ascoltava senza mai interromperlo.
“Certo,” disse alla fine, e poi riagganciò.
“Cosa c’è?” chiese Jessie.
Ryan si alzò dal letto, dandole le spalle mentre si infilava i pantaloni.
“C’è stato un altro omicidio a Manhattan Beach,” disse sottovoce, “nella stessa casa di quello precedente, a dire il vero. Decker vuole che vada lì subito.”
C’era nella sua voce qualcosa che Jessie trovò disturbante, anche se non era in grado di interpretarlo. Sembrava stesse facendo fatica a mantenere la sua compostezza.
“Cosa sta succedendo, Ryan?” gli chiese. “Ti stai comportando in modo strano.”
Lui si voltò a guardarla e Jessie ebbe l’impressione che i suoi occhi fossero lucidi. Sembrava sul punto di rivelarle qualcosa, ma poi la sua espressione mutò e lei capì che aveva cambiato idea.
“Mi sa che sono solo fuori forma. Non mi aspettavo di essere svegliato nel mezzo della notte con questo genere di notizia. Non era quello che speravo.”
Ebbe ancora l’impressione che le stesse nascondendo qualcosa, ma non insistette.
“C’è niente che posso fare per aiutarti?”
“Grazie, ma no. Dovresti tentare di tornare a dormire. La cosa migliore che puoi fare in questo momento è prenderti cura di te.”
“Ok,” disse lei prima di chiedere: “Garland ti viene incontro lì?”
Ryan mandò giù una grossa sorsata d’acqua dal bicchiere sul comodino prima di risponderle.
“È già lì,” le disse, alzandosi in piedi.
“Piuttosto impressionante per un vecchietto,” commentò lei, incapace di nascondere il proprio stupore. “Quell’uomo è pieno di sorprese.”
“È un bel tipo,” confermò Ryan mentre si chinava su di lei per darle un bacio sulla fronte. “Cerca di tornare a letto. Ci sentiamo domani mattina.”
“Ti amo,” disse Jessie mentre si sdraiava di nuovo.
“Anch’io ti amo,” le rispose lui sottovoce spegnendo la luce sul comodino e uscendo.
Nonostante l’ammonizione di Ryan, Jessie non riuscì a prendere sonno. Per i venti minuti successivi, si agitò e rigirò, ma non fu capace di trovare una posizione comoda. Qualcosa nell’atteggiamento di Ryan quando aveva ricevuto la telefonata continuava a ritornarle alla mente.
Quando stava ascoltando la telefonata di Decker, Ryan aveva assunto un’espressione che lei non gli aveva quasi mai visto in volto. Non era semplice shock o tristezza. Era una combinazione che sembrava più grande e molto più profonda. E poi le venne in mente. Per un secondo, prima di riuscire a ricomporsi, le era apparso devastato.
Si mise a sedere. Ora era impossibile che potesse riaddormentarsi. Andò in bagno e si spruzzò il viso di acqua fresca. Fissando la propria immagine nello specchio, fu contenta di vedere che i suoi occhi non erano cerchiati dal classico rossore della stanchezza. Ovviamente questo sarebbe presto cambiato se fosse rimasta in piedi tutto il giorno a partire da adesso, come sembrava essere il caso.
Tornò al letto e si risedette. La sua mente continuava a tornare all’espressione di Ryan quando Decker aveva iniziato a parlargli. Qualsiasi cosa il capitano gli avesse detto, riguardava qualcosa di orribilmente sbagliato.
Jessie prese il telefono e stava per chiamare Garland quando ci ripensò. Ryan le aveva detto che si trovava già sulla scena del crimine. Questo significava che probabilmente era molto impegnato e sicuramente non dell’umore per dare delle risposte alle sue domande. Chiamò invece la reception della stazione centrale, dove il sergente di turno le diede l’indirizzo di Manhattan Beach.
Senza neanche riconoscere formalmente a se stessa quello che stava facendo, iniziò a vestirsi. Cinque minuti dopo era pronta per partire. Scribacchiò un rapido appunto per Hannah e fece scivolare il bigliettino sotto alla porta della sua camera. Poi uscì di casa, assicurandosi di attivare tutti i sistemi di sicurezza da remoto mentre si dirigeva verso la sua auto.
Sapeva che Ryan e Garland si sarebbero incazzati vedendola apparire così e intromettersi sulla scena del crimine. Ma non le interessava. C’era qualcosa che non andava. Se lo sentiva nelle ossa.
*
Pur perdendosi un poco, Jessie arrivò alla spiaggia in un batter d’occhio. Ma alle 3:30 del mattino ci voleva comunque la metà del tempo, anche sbagliando l’uscita e dovendo tornare indietro di un tratto. Le strade erano per lo più silenziose. Mentre si avvicinava alla costa, una spessa coltre di nebbia calò attorno a lei, facendo assomigliare i lampioni a delle soffuse lanterne di un isolato faro. Il loro bagliore donava allo scenario un’atmosfera piuttosto tetra.
Quando arrivò, Jessie parcheggiò in Manhattan Avenue, subito a ovest del molo e a un isolato circa da dove il GPS le indicava l’indirizzo di destinazione. Percorse a passo rapido la Strand. Anche se a quell’ora del mattino non poteva vedere l’oceano, si sentivano le onde che si infrangevano sulla spiaggia vicina.
Non dovette cercare molto o sforzare la vista per trovare la sua destinazione. Quando fu sulla Strand, anche con la nebbia il cielo era rischiarato dalle luci di diversi veicoli di emergenza. Mentre si avvicinava alla casa, Jessie contò almeno mezza dozzina di auto della polizia, un’ambulanza e il furgoncino del medico legale. L’intera area attorno alla villa era pattugliata da diversi agenti che stavano di guardia, evitando che eventuali curiosi si avvicinassero troppo.
Jessie si avvicinò a un giovane agente dal volto spaventato e mostrò il proprio cartellino, immaginando che fosse il modo più semplice per passare la barriera.
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