Kate Wilhelm - La casa che usside
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- Название:La casa che usside
- Автор:
- Издательство:Mondadori
- Жанр:
- Год:2004
- Город:Milano
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Quando i Beatles cominciarono a cantare Maddie uscì nuovamente. «Tenetemi il posto» disse a voce alta. «Torno tra un po’. Magari nel frattempo quei quattro si saranno dati una calmata. Non sapevo che fossero dei cartoni animati!»
Uscendo, Maddie udì Laura dire qualcosa che non riuscì a comprendere, sicuramente qualcosa di maligno o sgradevole. Maddie era stufa, stufa di tutti loro, di quello stupido gioco, delle scenate di Gary e del cattivo umore di Bruce. Era sólo stanca, pensò. Forse stava invecchiando. Era solita stare alzata quanto chiunque altro, bere quanto chiunque altro, divertirsi, ridere, scherzare. Ma quello era un fine settimana orribile, e lei si sentiva semplicemente stanca. Aspettò l’ascensore. Si sarebbe andata a sdraiare un pochino, si sarebbe riposata. Era troppo presto per andare a dormire, ma riposare un po’ le avrebbe fatto bene. La porta si aprì silenziosamente e Maddie si fermò.
«Per amor del cielo!» disse. Quel dannalo gioco! Quel maledetto gioco! Rich Schoen era sdraiato sul pavimento dell’ascensore e questo era troppo, davvero troppo. «Rich, alzati. Smettila.» Poi capì. Con una certa esitazione fece un passo indietro, poi un altro, e incominciò a gridare senza riuscire a fermarsi.
Accaddero troppe cose perché Beth riuscisse a coglierle tutte. Avrebbe voluto spiegare a chiunque che non poteva essere morto. Quella cosa sulla testa era un sacchetto di rete aperto, non poteva essere pericoloso. Quando Milton disse a tutti di andare in soggiorno e di restarci e nessuno fece discussioni, Beth pensò che questo avrebbe reso furioso Gary. Non sopportava che altri dessero ordini, quella era una prerogativa sua e di nessun altro. Bruce accompagnò Maddie in camera perché non la smetteva più di gridare. Era una reazione assurda perché era un gioco, pensò Beth, solo un gioco. Rich stava partecipando al gioco. Poi qualcuno la scosse leggermente e i suoi occhi misero a fuoco il volto di Jake.
«Fatti coraggio» disse. «Cerca solo di farti coraggio, d’accordo?»
Beth annuì e subito si sentì meglio. Il viso di Jake era grinzoso, con rughe profonde che gli solcavano i lati delle guance come un’incisione su legno, pensò, come se avesse indossato una maschera. «Pensi ci sia qualcosa che dovremmo fare?» domandò infine Beth. «Per esempio chiamare la polizia, un’ambulanza? Dove sono gli altri?»
«Milton li sta cercando. Ha già chiamato l’ufficio dello sceriffo. Puoi aiutarmi a preparare del caffè? Temo che ci aspetti una notte piuttosto lunga.»
Beth annuì. Laura era seduta su uno dei divani e sembrava uno zombi. Con lei c’erano anche Bruce e Harry.
«Stiamo andando a fare del caffè» disse loro Jake. «Milton vuole che aspettiamo tutti qui. Lo porteremo in soggiorno quando sarà pronto.»
Milton Sweetwater era il legale della società, pensò distrattamente Beth, una sorta di Perry Mason che aveva preso in mano la situazione. Beth seguì Jake fuori dalla stanza. Ma avevano appena cominciato a cercare il caffè quando Milton comparve sulla soglia e chiese loro di tornare in soggiorno.
«Non riusciamo a trovare Gary» spiegò. Era pallido e talmente adombrato da dare a Beth l’impressione che anche lui indossasse una maschera. Tutti loro indossavano delle maschere, pensò quasi con ferocia. «Mettiti al computer e apri la sua stanza» ordinò Milton ad Alexander.
Alexander Randall affrontò Milton mangiandosi nervosamente le unghie. «Mi ucciderà se toglierò la protezione alla sua porta» protestò.
«Ti ucciderò io se non lo farai.»
Alexander guardò i presenti con aria supplichevole, poi si sedette al computer del soggiorno e cominciò a digitare qualcosa. Si fermò e guardò Milton. «C’è un modo migliore per sapere dov’è, attraverso i sistemi di sicurezza. Almeno posso scoprire se è andato in camera sua.»
Mentre Alexander digitava le istruzioni gli altri fissavano lo schermo immobili. «Nella Jacuzzi» disse infine Milton.
Uscirono insieme dalla stanza. Beth, senza rendersene conto, li seguì. Attraversarono l’atrio e uno stretto corridoio rivestito di ossidiana, poi un altro corto corridoio prima di arrivare davanti a una porta chiusa che si aprì appena venne sfiorata. La copertura isolante era stesa sulla vasca Jacuzzi. La stanza era molto calda, l’aria intrisa di cloro, densa di vapore, più simile a una sauna che a una vasca idromassaggio. Per un istante nessuno si mosse, poi Milton trovò il pannello di controllo sul muro, lo studiò qualche secondo e premette un pulsante. La copertura della piscina si aprì liberando nuvole di vapore, e lì, nell’acqua, a faccia in giù, svelò il corpo di Gary Elringer completamente vestito.
4
Charlie Meiklejohn rimuginava tristemente sul tempo e sulla temperatura di quei giorni. Era la fine di agosto e li aspettavano ancora due settimane d’inferno prima di sperare in un po’ di sollievo. E cosa accidenti causava quella foschia tra gli alberi e lungo i contorni della collina in lontananza come una nebbia londinese? La pioggia continuava a non voler arrivare. L’erba del prato stava ingiallendo, ma mai e poi mai gli sarebbe saltato in mente di bagnarla, il prato era troppo grande. Constance annaffiava ogni sera una porzione di giardino intorno alla terrazza sul retro della casa, ma solo perché lambiva i suoi meravigliosi fiori colorati. Davanti a casa avevano una sorta di fondale verde, al di là del quale cominciava l’erba ingiallita. "Tanto meglio" pensò Charlie, almeno per quella stagione non avrebbe dovuto falciarla, e se c’era qualcosa che detestava più della neve da spalare era proprio falciare l’erba. "La si annaffia, la si concima e poi la si taglia" pensò scuotendo la testa. Era davvero una cosa stupida.
«Sembra morto» mormorò Constance raggiungendolo sulla terrazza, all’ombra di un glicine e di una clematis color porpora. Indicò Brutus, il loro gatto, sdraiato sulla schiena sotto un cespuglio di lillà, la testa reclinata da una parte, le zampe divaricate in una posizione apparentemente anchilosante.
«Dovremmo far installare l’aria condizionata» disse Charlie con un tono lamentoso. Non era giusto, pensò risentito, Constance sembrava sempre fresca come una rosa. Aveva una pelle chiara come l’avorio, non sembrava mai accaldata né si abbronzava eccessivamente e pareva avere sempre la cosa giusta da indossare con qualsiasi tempo. In quel momento indossava un ampio vestito di cotone che le aderiva solo alle spalle e in nessun altro punto, dell’esatto colore dei suoi occhi, un azzurro chiaro, imperturbabile. Era snella, aveva lunghe gambe color miele. La carnagione di Charlie invece era scura, aveva capelli neri e ribelli striati di grigio, una corporatura robusta, un torace possente, braccia e gambe poderose. Era molto muscoloso ma sapeva che perdendo quattro o cinque chili forse avrebbe sopportato meglio il caldo. Decretò che i magri non sapevano cosa volesse dire soffrire il caldo, e questo non era giusto.
Constance sorrise e si sedette su una sdraio. Riguardo all’aria condizionata non ebbe bisogno di dire: "D’accordo, caro" perché il suo sguardo esprimeva altrettanto chiaramente quelle parole. Ne avevano parlato la scorsa estate, e quella precedente. Ne avevano parlato molti anni prima, quando erano diventati proprietari di quella casa a nord dello stato di New York e riuscivano a venirci solo nei fine settimana e durante le vacanze. Ne avrebbero parlato anche l’estate successiva, Constance già lo sapeva. La donna sorrise soddisfatta. In camera da letto avevano un piccolo condizionatore collegato alla finestra, e un ventilatore che spostavano dal soggiorno alla cucina alla sala da pranzo. In passato, ogni volta che avevano affrontato l’argomento e avevano preso la decisione di installare l’aria condizionata, era arrivato un fronte freddo e piogge refrigeranti, o era cominciato l’autunno, o per un motivo o per l’altro erano dovuti partire.
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