Iain Banks - Complicità
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- Название:Complicità
- Автор:
- Издательство:Longanesi
- Жанр:
- Год:1996
- Город:Milano
- ISBN:88-304-1337-2
- Рейтинг книги:3 / 5. Голосов: 1
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Prendo la M90, costeggiando Perth e dirigendomi a nord sulla A9, con quel frustrante alternarsi di carreggiate a corsia singola e doppia e con quei minacciosi cartelli che avvertono che la strada è pattugliata da auto civetta; ma il bello viene dopo Dalwhinnie! La colonna sonora è fornita da Nirvana, Michelle Shocked, Crowded House e Carter USM. A mano a mano che proseguo verso ovest, la pioggia diminuisce e colgo gli ultimi sprazzi di un epico tramonto insanguinato sopra l’isola di Skye e su Kyle, con i grandi riflettori che colorano di verde le pietre scure dell’Eilean Donan Castle. Arrivo a Strome in quattro ore e venti minuti, giusto in tempo per vedere le stelle che fanno capolino nelle chiazze color porpora che si aprono tra le nuvole scure e gonfie di pioggia.
«Che bastardo! Che assoluto, maledetto bastardo! Ecco come si fa! Bastardo!»
Ricompensa, redenzione, ma anche conoscenza! Mi trovo nell’albergo buio sulle rive del lago scuro ed è quasi mezzanotte. Sono ubriaco, ma non fatto, e così pure Andy e il suo amico Howie. Sono seduto nella vecchia sala da ballo al pianoterra, che dà sulle acque del lago da cui s’innalzano le spettrali montagne grigie illuminate dalla luna, con le cime coperte di neve che brillano appena, e sto giocando al computer. Infatti, pensate un po’, sto giocando a Xerium e, salendo e precipitando, ho appena scoperto come superare le Montagne di Zound. Finalmente, finalmente!
È facile, ma è una vigliaccata. Dunque: tu trasporti un carico di carburante, uno schermo di protezione, un ordigno nucleare e un missile. Bene: devi caricare il carburante e l’arma nucleare, alzarti in volo, salire di otto clic , lasciar cadere l’ordigno nucleare ai piedi delle montagne, tornare a tutta velocità verso la base, prendere su lo schermo di protezione, fare il pieno di carburante (attento però a non farlo proprio mentre l’ordigno nucleare esplode, scuotendo la terra) e, badando di avere un solo missile a bordo, salire come un matto, arrivare alla massima quota e poi rimanere in aria al di sopra della nuvola atomica che si sta alzando! La nuvola sale sotto di te e ti trascina oltre il tuo limite massimo. Lo schermo ti protegge — anche se avrai bisogno di fare qualche acrobazia per mantenere la stabilità nelle correnti termiche radioattive — poi, non appena la nube si dissipa, esci e scendi, oltre le montagne — sembrano così piccole! — ti precipiti attraverso la vallata stretta, molli il missile quando il sistema radar della base nemica t’individua e usi il carburante che ti resta per fuggire lontano, mentre il missile distrugge la base. Semplice.
«Bastardo», ripeto, mentre dirigo dolcemente l’aereo verso un punto di rifornimento, dove arrivo con un atterraggio molto morbido. Scuoto la testa. «Cavalcare il fungo atomico! Questo non mi era mai passato per la testa!»
«Non sei sufficientemente agguerrito», spiega Andy, riempiendomi il bicchiere di whisky.
«Già. Bisogna essere veri uomini per giocare a Xerium », dice Howie, facendomi l’occhiolino e sollevando il bicchiere. È un ragazzone robusto che vive in un villaggio vicino, ed è uno dei compagni di sbronza di Andy. Mi sembra un po’ un sempliciotto, e ha un atteggiamento molto poco corretto verso le donne, però è divertente, anche se in maniera rozza. Ehi, gli uomini sono uomini!
«Bisogna essere un po’ pazzi per giocarci», precisa Andy, tornando a sedersi sulla sua poltrona. «Bisogna essere… be’… sufficientemente pazzi.»
«Esatto», annuisce Howie, svuotando il bicchiere. «No, no, grazie», dice poi ad Andy, quando questi fa per riempirglielo. «Sarà meglio che vada. Non posso far tardi al mio ultimo giorno di lavoro alla Forestale.» Si alza e si rivolge a me: «Mi ha fatto piacere conoscerti. Ci vediamo». Mi tende una mano. Una stretta decisa, da uomo.
«Bene», sospira Andy, alzandosi anche lui. «Ti accompagno, Howie. Grazie per essere venuto.»
«Figurati. Non lo dire neanche. Mi ha fatto molto piacere vederti.»
«…una piccola festa di addio, domani sera?»
«Sì, perché no?»
Si allontanano sul pavimento della sala da ballo, che brilla debolmente, diretti più o meno verso le scale.
Scuoto la testa rivolto allo schermo dell’Amiga. «Cavalcare il fungo atomico!» dico tra me. Mi alzo dalla poltrona scricchiolante per sgranchirmi le gambe, e, sempre con il bicchiere in mano, vado verso le grandi vetrate che si estendono dal pavimento al soffitto, formando un’intera parete della sala da ballo, e che danno sul giardino, sulla ferrovia e sulla spiaggia del lago. Delle nuvole rimane solo qualche brandello, la luna è lassù da qualche parte e inonda il paesaggio di luce argentata. Più avanti, a destra del lago, brilla qualche luce, ma la massa delle montagne sul lato più lontano s’innalza scura contro il cielo stellato; sulle cime innevate, il grigio diventa bianco.
Nel salone c’è odore di umidità. È illuminato soltanto dalla luce che proviene dalle scale e dalla lampada appoggiata sul vecchio tavolo a cavalletto su cui è sistemato il computer. Ai lati delle sei altissime finestre a bovindo, pendono tendaggi sbiaditi e a brandelli. Il mio respiro si condensa in nuvolette bianche e appanna il bicchiere. Tutti i vetri sono sporchi e alcuni anche rotti: un paio sono stati sostituiti da pezzi di compensato. Sotto due finestre sono stati sistemati alcuni secchi per raccogliere lo sgocciolio delle infiltrazioni, ma uno è straripato e tutto intorno si è formata una pozza d’acqua che ha scolorito e fatto gonfiare il parquet, che in altri punti invece sembra bruciato. In vari punti, la sbiadita tappezzeria a righe si è staccata dalle pareti, arrotolandosi su se stessa: le strisce pendono come giganteschi trucioli da un pezzo di legno piallato.
La sala da ballo è disseminata di scadenti sedie di legno, di tavoli sgangherati, di vecchi tappeti muffiti arrotolati; scorgo un paio di vecchie moto con cumuli di pezzi di ricambio posati o ammucchiati su teloni sporchi di grasso, e quella che sembra una friggitrice industriale con tanto di cappa, filtri, tubi e ventola.
L’albergo si trova ai piedi di una stradina ripida che si diparte dalla strada principale e scende tra gli alberi. È proprio a causa della collina e della massa scura degli alberi, posti dietro l’albergo, verso sud, che il sole non batte mai sull’edificio in inverno e di rado persino in estate. Un tempo la strada principale arrivava fin qui e il ferry ti portava sulla costa settentrionale del lago; poi, però, il sentiero che girava intorno al lago è stato allargato per farne una strada, e il ferry è stato soppresso. Sì, la ferrovia che congiunge Inverness a Kyle passa sempre di qui e il treno si ferma, se qualcuno lo chiede, ma senza il servizio di ferry e con il traffico automobilistico dirottato altrove, il posto è andato in malora; ci sono ancora alcune case, un negozio di artigianato, il marciapiede della ferrovia, un attracco, un complesso abbandonato che era stato di proprietà di Marconi, e l’albergo.
Tutto qui. All’inizio del paese c’è un cartello che si trova lì da anni, da quando hanno aperto la nuova strada: STROME FERRY-NO FERRY. E questo dice già tutto.
Da qualche parte, al piano di sopra, sento una porta che si chiude. Bevo il mio whisky e osservo le acque color inchiostro del lago. Non penso che Andy abbia mai avuto intenzione di concludere qualcosa con questo albergo. Come tutti gli altri suoi amici, sulle prime ho dato per scontato che volesse gestirlo, investirci del denaro, ristrutturarlo. Pensavamo che avesse una qualche idea segreta per guadagnare un sacco di soldi e che in breve tempo ci avrebbe stupito con quello che aveva saputo fare di questo posto; saremmo venuti tutti qui, osservando meravigliati la folla che era riuscito ad attirare… Ora invece non penso più che stesse cercando un luogo per avviare un’impresa commerciale; credo che stesse cercando un posto che si confacesse al suo stato d’animo esausto, stufo di tutto, scazzato.
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