Così attento, eppure… un bambino lassù a quell’ora… Inverosimile. Guardò di nuovo il ritratto. Bianco, sugli undici o dodici anni. Uno fra mille. Se esisteva.
Anche se lo avessero trovato, che cosa poteva aver visto al buio?
Certo non la sua faccia.
Giusto?
E la macchina? La targa, forse… c’era un po’ di luce lungo i margini del piazzale. Era passato sotto un lampione?
Non se n’era preoccupato, aveva dato per scontato che non ci fosse nessuno.
Se il bambino esisteva, perché non si era presentato? Dunque forse era un’invenzione…
D’altronde poteva essere un problema. Non insormontabile, certo niente di paragonabile a Estrella, quella bastarda portasfiga.
Gente spazzatura. L.A. ne era piena.
Un bambino… A livello razionale non era preoccupato, ma, Cristo, se il cuore gli martellava nel petto!
Strappò la pagina del giornale e ne fece una palla compatta. Poi ci ripensò e la riaprì. Cercò di bere il caffè, ma non gli andava giù.
Cercò di ritrovare il buonumore pensando a Lisa per terra.
L’amore vero non muore mai, ma era morta lei.
Così facile.
La parte migliore era stata il suo stupore.
Gettiamoci il passato alle spalle, abbracciamoci. E poi bam!
Qualcosa di molto diverso da un abbraccio.
«Molto diverso», disse a voce alta in un acculturato accento inglese. La voce di David Niven, una delle mille parti che non gli avevano mai affidato.
Nessuno capiva il suo talento.
Lo aveva capito Lisa, però, nell’ultimo secondo della sua esistenza. Quell’espressione… finalmente lo vedeva in una luce nuova.
Sei capace di questo?
Si era preso cura di guardarla negli occhi mentre affondava il coltello e poi lo spingeva verso l’alto.
Uno di quei fantastici momenti di sintesi universale. Il miglior ruolo che avesse mai interpretato. Loro due soli, a danzare nel buio.
Loro due e un bambino?
Che cosa avrebbe potuto fare per evitarlo? Arrampicarsi per quelle colline, spargendo dappertutto sangue e Dio solo sa quali altre tracce utili alla Scientifica? Persino i cerebrolesi del dipartimento sarebbero stati capaci di trovare qualcosa.
Avevano scoperto di quel bambino. Come?
E ora la ricompensa. Il vecchio che ci metteva il becco.
Forse il bambino era stato lassù davvero, ma prima che arrivassero lui e Lisa.
Forse, forse, forse… vecchia canzone, uno di quei ritornelli che amava tanto. Un gruppo femminile, le Chantelles o le Shirelles.
Tutti quei soldi avrebbero probabilmente richiamato i balordi. La conclusione era che la polizia non sapeva dove sbattere la testa.
«Non uno straccio di traccia», disse con la voce di David Niven.
Né i clown dello sceriffo, né quei due spediti dal dipartimento. Bishop, forte e laconico, che cedeva il centro del palcoscenico alla Connor.
La signora detective. Quelle gambe lunghe. Niente seno, ma bella gnocca lo stesso. Quanto poteva avere, ventisei, ventisette? Quei capelli scuri e quella pelle chiara. Quel fisico longilineo, snello, che magari nudo lasciava vedere un po’ troppo l’ossatura, ma con i vestiti era uno schianto. Se l’immaginò bianca e liscia, non un grumo di grasso addosso, distesa su una chaise-longue ai bordi di una piscina, offerta alle sue mani, alla sua bocca, il suo…
Un’altra volta, in un altro posto…
Rise, distese braccia forti.
Nessun indizio.
Salvo che per quel fantomatico bambino.
Che non si faceva avanti.
Perché non esisteva?
Se era in giro per il parco a quell’ora doveva essere un ragazzo di strada, un fuggiasco… forse con la mente atrofizzata da droghe o AIDS.
Inutile darsene pensiero, probabilmente.
Cercò a lungo di convincersene. Giunse infine a un’antipatica conclusione: era necessario prenderlo sul serio.
Avrebbe condotto la sua piccola inchiesta personale. A differenza degli sbirri, lui non era limitato dai regolamenti. La vita gli aveva insegnato ad agire secondo regole proprie.
Dopo tanti anni, gliene rimaneva una sola: prendi quello che vuoi.
Come quella sera a Redondo, la stewardess tedesca, seduta al ristorante a litigare con quel mostro di fidanzato.
Li aveva osservati dal bar mentre sorseggiava una Heineken, si asciugava la schiuma dalla barba finta, si domandava che cosa potesse aver trovato una ragazza in un uomo tanto brutto.
L’aveva notata per la somiglianza con Lisa. Lui invece, un grugno, non una faccia.
Li aveva osservati, evocando fantasie sessuali da bella e la bestia che non lo avevano minimamente eccitato. Perché era chiaro che non andavano d’accordo, si guardavano di traverso, quasi non toccavano il cibo.
Poi lei si era alzata ed era uscita infuriata. Quanto le aveva ricordato Lisa. Un po’ più alta, tette più grandi, un corpo rigoglioso in quel vestitino blu, gambe forti e muscolose che abbandonavano la scena a passo di marcia.
Grugno aveva lasciato i soldi sul tavolo e l’aveva seguita. Grande e grosso, ma molle, un sacco di fertilizzante.
Li aveva visti uscire, aveva pagato la Heineken, si era assicurato che nessuno lo guardasse ed era sceso al parcheggio dietro il ristorante, dove si era trovato un buon luogo di osservazione dietro la sua automobile. Grugno stava cercando di convincere Blondie a salire in macchina, grande gesticolare da parte di entrambi. Ogni volta che lei si muoveva, quelle tettone ballavano. Da come reagivano, non un grammo di plastica. Un davanzale come quello su una ragazza snella non era cosa da tutti i giorni.
Avevano continuato a litigare, poi Grugno l’aveva afferrata, lei si era divincolata, lui l’aveva presa di nuovo, lei lo aveva schiaffeggiato, lui aveva schiaffeggiato lei, lei era caduta, si era rialzata.
Divertente.
Allora Grugno ha cercato di fare marcia indietro, è arrivato a mettersi in ginocchio, il bestione idiota.
E che cos’aveva fatto Blondie?
Gli aveva sputato addosso.
Quasi era scoppiato a ridere. Ohi ohi, adesso gliela paghi: Grugno era balzato in piedi, aveva lasciato partire una sventola da staccarle la testa dal collo, ma aveva bevuto troppo, era andato a vuoto, goffo. Blondie era scappata, ah, quell’emozionante altalenare di tette, Grugno ad agitare i pugni, ma senza seguirla.
Blondie si era fermata in fondo al parcheggio, aveva incrociato le braccia sulle fantapoppe, Grugno aveva scosso la testa, era salito su un’utilitaria e se n’era andato.
Sola, lei aveva lasciato ricadere le braccia in un atteggiamento di sconforto. Era buio, non c’era in giro nessuno, il molo si era svuotato, provati a trovare un taxi a Redondo Beach a quell’ora.
La cosa saggia sarebbe stata tornare al ristorante. Invece era rimasta lì. A piangere.
Cara la mia Fräulein, la stupidità ha le sue ricompense.
Così era venuto il suo momento.
Fantastico. La sua seconda volta. La prima era stata la piccola Sally Tosk, giù a Syracuse, quindici anni, già sviluppata a tredici. Aveva osservato il suo seno crescere in maniera quasi allarmante. Capelli non propriamente biondi, biondo rame piuttosto, portava ancora l’apparecchio sull’arcata superiore. Gli aveva fatto il filo per tutto il campionato di football; finalmente lui le aveva accordato un appuntamento. Un appuntamento segreto, perché lei aveva un amichetto del cuore ma aveva voglia di fare la porca con lui.
Si era recato a casa sua con la Buick nuova di suo padre, i genitori di lei erano fuori fino a tardi, una cena al Rotary o qualcosa del genere. I Tosk vivevano in una vasta tenuta fuori città, un ex azienda agricola. Sally lo aspettava sulla soglia, camiciola da notte, nient’altro. Lingue in soggiorno, tette in cucina; poi erano saliti in camera sua e lì gli aveva piantato una scenata da isterica quando lui aveva rifiutato di dire che l’amava e aveva cercato di respingerlo, allora lui aveva dovuto metterle una mano sulla bocca per farla smettere di strillare.
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