Giunsero sul luogo nell’oscurità, incontrando volti incupiti, tra scrosci di disturbi radiofonici e sventagliate di lampeggianti rossi. Ascoltarono il rapporto dei ranger che avevano trovato il corpo e attesero lo spuntar del sole per esaminare meglio la vittima.
Il sangue si era rappreso diventando più scuro, aveva disegnato strisce sulla pelle e sull’asfalto circostante, era colato in rivoli nel piazzale, dove alcune macchie erano ancora allo stato semiliquido.
Immobile davanti al cadavere, Petra disegnò il terreno circostante e la posizione della vittima, prese nota delle ferite che riusciva a vedere. Almeno diciassette tagli, e questo solo sul lato anteriore.
Si avvicinò più che poté senza correre il rischio di manomettere qualcosa, si chinò ed esaminò le carni martoriate, il labbro inferiore quasi asportato, l’occhio sinistro ridotto a poltiglia rossa. Tutti i colpi inferti sul lato sinistro.
Ah, papà, se vedessi in questo momento la tua figlioletta così schizzinosa.
A dispetto di ventun cadaveri precedenti, la vista di quello nella luce del sole la nauseò. Poi ebbe il sopravvento un’altra emozione: il dolore della compassione.
Poveretta. Povera, povera donna, perché un destino così atroce?
Non lasciò trapelare nulla. Nessuno che l’avesse osservata avrebbe notato altro che professionale efficienza. Più che definita, era già stata bollata come efficiente. Classificandola in questo modo, Nick aveva lasciato intendere che la competenza non era una qualità sexy. Insieme con tutte le altre cattiverie che le aveva scaricato addosso. Come mai non si era accorta di nulla?
Le piaceva essere vista come una professionista. Aveva trovato una professione che le piaceva.
Un mese prima era andata da un parrucchiere di Melrose e aveva ordinato a un recalcitrante coiffeur di accorciarle i capelli di una spanna buona, cambiando l’acconciatura in un caschetto nero che avrebbe ridotto al minimo le cure da dedicarvi.
Stu l’aveva notato subito. «Complimenti, ti dona molto.»
Petra pensava che le incorniciasse al meglio il volto magro e pallido.
Da tempo sceglieva l’abbigliamento in base alla praticità. Completi di giacca e pantalone che comperava in saldo da Loehmann’s o Robinsons-May e che rifiniva lei stessa a casa per adeguarne la lunghezza di maniche e calzoni alla sua notevole statura. Soprattutto neri, come quello che indossava quel giorno. Un paio blu scuro, un completo color cioccolato, un altro fumo di Londra.
Usava rossetto MAC rosso scuro con una punta di marrone, un velo di ombretto e mascara. Niente fondotinta, lasciava la sua pelle bianca e liscia come un foglio di carta. Niente gioielli. Niente a cui un ricercato potesse aggrapparsi.
La vittima aveva messo il fondotinta.
Lo si vedeva bene là dove non era macchiata di rosso. Una traccia di fard, cipria, mascara un po’ più pesante di come lo usava lei sull’occhio rimasto intatto.
Quello danneggiato era un foro color amarena. Il bulbo era ridotto a una pallottolina di cellophane schiacciata e alcune gocce di liquido gelatinoso le luccicavano sul naso.
Bel naso, dove non era stato pugnalato.
L’occhio destro era sbarrato, azzurro, velato. Lo sguardo opaco della morte, impossibile da fingere, non ne esisteva un altro simile.
Fuga dell’anima? Che si lasciava dietro che cosa? Un involucro, non più vivo della pelle di un serpente dopo la muta?
Continuò a studiare il cadavere con la precisione di un pittore, notò un taglio piccolo ma profondo sulla guancia sinistra, che prima le era sfuggito. Diciotto. Non poteva rivoltare il corpo prima che il fotografo avesse finito e il coroner non le avesse dato il consenso. La conta definitiva delle ferite sarebbe stata di competenza del patologo, dopo che il cadavere fosse stato esaminato sul suo tavolo di metallo.
Aggiunse la ferita alla guancia al suo schizzo. Tanto per non sbagliare; l’ufficio del coroner era uno zoo, i medici commettevano errori.
Stu era in disparte con il coroner, in quel momento, un uomo maturo di nome Leavitt. Erano entrambi seri, ma sereni, niente battute di cattivo gusto come quelle che senti nei film polizieschi. Gli investigatori in carne e ossa che aveva conosciuto erano perlopiù gente normale, abbastanza intelligenti, pazienti, tenaci, avevano ben poco in comune con i personaggi dei film.
Cercò di vedere sotto il sangue, di farsi un’idea della persona dietro a quel massacro.
La donna sembrava giovane e Petra era sicura che fosse stata anche graziosa. Anche ridotta in quello stato, scaricata in quel piazzale come un’immondizia, lasciava intravedere la finezza dei lineamenti. Non alta, ma con gambe lunghe e snelle, scoperte fino a metà coscia, vita stretta nel vestitino nero di seta. Seno prosperoso, forse al silicone. Ormai quando vedeva una donna slanciata con un seno importante, Petra dava per scontato l’intervento del chirurgo.
Nessun segno di sostanze aliene, ma con tutto quel sangue non si poteva escludere. Che conseguenze poteva avere uno squarcio in un seno siliconato? E poi che aspetto aveva il silicone? Otto mesi alla squadra Omicidi e dell’argomento non si era mai dovuto discutere.
Il collant era lacerato, ma sembrava che si fosse strappato sull’asfalto. Nessuna traccia evidente di aggressione sessuale, nessuna goccia di liquido seminale visibile intorno ai resti della bocca o alle gambe.
Chioma sontuosa. Biondo miele, ottimo lavoro di tintura, un principio di radici scure, ma niente più dell’inevitabile. Il vestito era un jacquard con cuciture a mano e, per come era raccolto intorno alle spalle, le permetteva di leggere l’etichetta. EMPORIO ARMANI.
I gioielli dai quali Petra sperava di ricavare impronte digitali erano un bracciale di diamanti e altre pietre al polso sinistro, un anello di zaffiri e brillanti, i brillantini ai lobi. Oltre a un Lady Rolex d’oro.
Niente fede nuziale.
E nemmeno la borsetta, perciò era inutile sperare in un’identificazione in tempi brevi. Com’era finita laggiù? Era fuori in compagnia? Capelli vistosi, vestitino corto: una squillo attirata in strada con l’esca di un premio in denaro?
La borsetta era scomparsa, ma i gioielli c’erano. Solo l’orologio doveva valere tremila dollari. Dunque non era una rapina. A meno che il responsabile fosse stato un delinquentello più stupido della media, che si era lasciato prendere dal panico dopo averle scippato la borsa.
No, non aveva senso. Quelle ferite escludevano una reazione di panico o una rapina. Quel macellaio ci aveva impiegato il suo tempo.
Aveva portato via la borsa per far credere a uno scippo senza pensare ai gioielli?
Qualcuno che si accaniva accecato dalla furia. Ferite profonde, non tagli difensivi; ma i tagli difensivi erano più rari di quanto la gente fosse normalmente indotta a credere e un uomo di corporatura discreta non avrebbe faticato a sottomettere una donna di quella taglia.
Ma poteva indicare qualcuno di sua conoscenza.
Lo faceva pensare senz’altro l’eccesso.
Forse la bionda era stata sorpresa a guardia abbassata?
La mente di Petra fu inondata da uno scorrere veloce di immagini. Le arginò. Era troppo presto per azzardare teorie.
Dio, quanta ferocia. L’attacco di un predatore. Lo sventramento doveva essere stato il colpo fatale, ma la gran parte delle ferite erano concentrate sul volto.
Sventrarla e poi cercare di cancellare la sua bellezza? Un odio così intenso, un’esplosione di odio.
Qualcosa di personale. Più Petra ci pensava e più le sembrava logico. Che tipo di relazione aveva portato a un gesto simile? Marito? Fidanzato? Un ragionevole facsimile di amante?
Un animale scatenato.
Petra aprì i pugni e si ficcò le mani in tasca. Indossava un completo giacca e pantaloni, crêpe leggera, nero, saldi Saks. Era comodo, perciò lo aveva indossato per l’appostamento.
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