«Signore», sospirò lo sbirro biondo, «io non sono nella posizione di… Oh, ma sì, vedo di accontentarla.» Strappò un foglio dal taccuino. «Come si scrive il suo nome?»
Zhukanov glielo spiegò.
Lo sbirro biondo scrisse in chiaro stampatello:
Con la presente dichiaro che a quanto mi risulta al signor V. Zhukanov è dovuta la somma di 12.000 dollari in cambio delle informazioni che ha offerto su un bambino scomparso, identità sconosciuta, in relazione a L. Ramsey C 187. Se le informazioni del signor V. Zhukanov porteranno direttamente al ritrovamento di questo bambino e le informazioni di questo bambino porteranno alla cattura di un possibile indiziato, la somma a cui avrà diritto il signor V. Zhukanov sarà di dollari 25.000.
Det. D.A. Price, Mat. 19823
«Ecco qui», disse lo sbirro. «Ma per onestà non posso promettere che questo documento abbia un grande valore…»
Zhukanov gli strappò il documento dalla mano, lo lesse e se lo ficcò in una tasca dei calzoni. Ora aveva un contratto. Se i bastardi avessero cercato di farlo fesso, avrebbe messo tutto in mano a Johnny Cochran e gli avrebbe fatto una causa da lasciarli in mutande.
«Io so dov’è», affermò. «So abbastanza per quei venticinquemila.»
Lo sbirro biondo attese con la penna pronta.
«I giud… gii ebrei laggiù», indicò Zhukanov. «Lo hanno preso loro. Hanno una chiesa. Il vecchio ebreo lo ha tenuto nascosto là dentro, lo ha portato a casa.»
«Lo ha visto lei?» domandò lo sbirro. Si era raddrizzato e le sue spalle erano diventate più ampie.
«Può scommetterci. Ho aspettato la macchina e stamattina l’ho seguita fino alla casa del vecchio.»
«Ottimo lavoro da detective, signor Zhukanov.»
«In Russia ero poliziotto.»
«Ma guarda. Be’, la sua esperienza le è tornata utile, signore. Grazie. E, mi creda, farò tutto il possibile perché abbia fino all’ultimo centesimo di quei venticinquemila.»
«Può scommetterci», disse Zhukanov. Il trionfo del lupo.
«Qual è l’indirizzo?»
«Sunrise Court 23.» Un indirizzo da venticinquemila dollari.
«Qui a Venice?»
«Sì, sì, qui.» L’idiota non conosce nemmeno la sua città. Zhukanov agitò il pollice. «Dal vicolo si va a Speedway, poi a Pacific, poi cinque isolati.»
«Ottimo», si compiacque lo sbirro chiudendo il taccuino. «Ci è stato di enorme aiuto, signore. E dica, il vicolo sarebbe quello là dietro?»
«Sì, sì, glielo mostro.»
Scavalcò il banco con un volteggio, carico di adrenalina nonostante le membra indolenzite, e condusse lo sbirro biondo dietro il baracchino, dove c’erano le casse di imballaggio per i rifiuti. Se solo avesse saputo che cosa c’era là dentro solo ieri.
«Da quella parte», gli mostrò, «c’è la chiesa ebrea dove ho visto la macchina. Okay?»
«Che tipo di macchina, signore?»
«Lincoln. Bianca con il tetto marrone.»
«Anno?»
«Non conta, ho qualcosa di meglio.» Tronfio, Zhukanov gli recitò il numero della targa. Lo sbirro scrisse nel buio. «Ed è andato da quella parte.»
«Nord», mormorò lo sbirro.
«Sì, sì, su alla Speedway e poi alla Pacific, cinque isolati.»
Lo sbirro ripeté le indicazioni, proprio scimunito.
«E bravo», si complimentò Zhukanov. E adesso vai a cercarlo, stupido bastardo. Te lo sto offrendo su un piatto d’argento!
Lo sbirro ripose il taccuino e gli porse la mano. «Grazie, signore.»
Si scambiarono una stretta. La sua fu virile, energica. Se avesse saputo che solo poche ore prima la mano che stava stringendo era tutta bagnata di sangue fino al gomito. Zhukanov cercò di ritrarre il braccio, voleva che si mettesse al lavoro, ma non riuscì a staccarsi da lui, lo sbirro lo tratteneva, lo tirava verso di sé… che storia è questa? Lo sbirro sorrideva, come se stesse per baciarlo. No, non andava bene, non andava per niente bene.
Zhukanov si dimenò, cercò di colpire.
Una mano gli afferrò l’altro polso, glielo torse, qualcosa si spezzò e un dolore lo divorò dalla punta delle dita al fondo dell’orecchio. Una mossa rapida, proprio come il colonnello Borokovsky. Mandò un grido involontario e qualcosa di carnoso e voluminoso gli esplose in piena faccia e crollò a terra.
Poi altro dolore, peggiore di quello precedente, un bruciore, una fiammata, come se gli si fosse acceso un fuoco nelle viscere.
Gli partì da sotto l’ombelico e gli dilagò nel corpo risalendo verso l’alto come una corda rovente. Poi sentì freddo, un freddo strano, aria fredda che soffiava… dentro di lui, in profondità, e capì di essere stato aperto, sfilettato, come lui aveva squarciato il grassone bastardo e adesso era successo a lui e non poteva farci niente. Solo stare lì e subire.
L’ultima cosa che avvertì fu una mano che gli frugava nella tasca.
Gli portava via il contratto. Vigliacco! Traditore! Quei soldi erano su…
Stare soli qui è diverso che al parco. Diverso ghe a Watson.
Ho tutte queste stanze, questi libri, qualcuno che si fida di me. Ogni tanto sento dei passi sul marciapiede o qualcuno che parla o ride, una macchina. Ma non mi preoccupano. Io sono qui, chiuso dentro. Posso dormire senza dovermi svegliare per controllare che cosa c’è intorno. Posso leggere senza dover usare la torcia.
Ci ho pensato molto e Sam ha ragione. Domani trovo un telefono e chiamo la polizia, gli dico di PLYR 1. Forse posso provare a chiamare anche mamma. Le dico che sto bene, che non deve essere in pensiero per me, me la cavo, un giorno tornerò, potrò mantenerla.
Che cosa farà? Piangerà? Si arrabbierà? Mi pregherà di tornare a casa?
E se invece non mi prega? No, sarebbe troppo brutto, deve avere un po’ di nostalgia.
Smetto di pensarci, allungo i piedi sul divano, mi tiro la coperta sulle ginocchia, comincio a leggere quest’altro numero di Life. Il servizio principale è tutto su John Kennedy e la sua famiglia, felici e belli in spiaggia.
Spiaggia californiana, la stessa spiaggia che c’è qui fuori. Potrei andarci, guardarla, fingere di essere John Kennedy e tornare a casa. Ma ho detto a Sam che resterò qui e lui mi ha dato il codice dell’allarme.
Uno-uno-due-cinque. Mi alzo e lo provo. Luce verde.
Luce rossa, luce verde, luce rossa.
Luce verde. Apro la porta, sento l’odore del sale, quell’odore di spiaggia. Non c’è nessuno in giro. Quasi tutte le case sono al buio.
Esco in veranda. Sento freddo. Ho paura.
Rientro. Perché mi basta uscire per avere paura?
Proverò più tardi. Torniamo ai Kennedy.
Il proprietario del ristorante cinese non ricordava Balch. Petra e Wil ordinarono involtini primavera e li mangiarono in macchina. Decisero di raggiungere Venice separatamente e di riunirsi all’angolo di Pacific e Rose per presentarsi insieme al baracchino di Zhukanov.
Petra aveva raggiunto il Redondo Beach Boulevard quando la chiamarono dalla stazione di Hollywood.
«Mezz’ora fa l’ha cercata il detective Bishop», riferì l’operatrice. Perché aveva fatto centro presso qualche compagnia aerea?
L’impiegata che trovò al centralino dell’ospedale si rifiutò di inoltrarla. «Nessuna telefonata a pazienti in reparto chirurgia dopo le nove, signora.»
«Sono un detective di polizia che risponde alla telefonata di un altro detective. Stuart Bishop.»
«Il signor Bishop è il paziente?»
«No. Hanno operato la moglie.»
«Allora sono spiacente, signora, ma non posso passarglielo.»
«Mi faccia parlare con il suo supervisore, per piacere.»
«Il supervisore sono io. Il regolamento è a protezione della salute dei nostri pazienti. Se vuole posso far mandare un messaggio scritto chiedendo al suo collega di richiamarla.»
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