E lì finiva l’abitazione. Eccellente…
Nessun segno del bambino da quando lo aveva visto avventurarsi in veranda. Nemmeno del vecchio. Le porte delle camere entrambe chiuse. Forse dormivano? Il bambino, il vecchio ed eventualmente una consorte? Chissà, forse il vecchio era gay e il bambino dormiva con lui.
Così era senz’altro facile spiegare perché se lo era portato a casa.
E se dormivano sarebbe stato un giochetto, li avrebbe spacciati prima ancora che l’allarme entrasse in funzione, gli sarebbero bastati pochi secondi.
Uscendo avrebbe provocato un po’ di soqquadro, magari si sarebbe portato via qualcosa per dare l’impressione dell’incursione di una gang.
Scese dalla Lincoln, controllò che nel vicolo non ci fosse nessuno, esaminò la porta di servizio dell’abitazione. Due serrature. Brutta storia. Ma quando esercitò un po’ di pressione con il corpo, sentì che cedeva leggermente. Una o due buone spallate l’avrebbero scardinata. Si sarebbe probabilmente prodotto qualche danno fisico, ma era abituato a travolgere gli ostacoli. La porta non era niente in confronto a una linea offensiva.
Azione, dunque. Coltello se fosse bastato, pistola in caso contrario. Incursione fulminea, dentro e subito fuori, dove dileguarsi nella notte.
Un’ultima occhiata dalla finestra della cucina.
Aveva paura, doveva ammetterlo. Era tutto diverso, non come con Lisa, la ragazza tedesca, Sally, quello stupido russo. Aveva sempre avuto il tempo di organizzare la scena.
Ma c’erano occasioni in cui era necessario improvvisare.
Montò di nuovo sul parafango della Lincoln. Non era cambiato nulla, ma lui esitava ancora. Su di nuovo, giù di nuovo. Comportamento coatto. Quando l’ansia minacciava di avere il sopravvento, reagiva con la reiterazione. Come sua madre quando picchiava la testa nel muro. Che idiota. Aveva meritato di morire con quello stupido casco in testa.
Va bene, un’ultima occhiata… e questa volta vide il ragazzino. Dimostrazione che la scrupolosità paga!
Usciva dalla porta centrale sulla sinistra. Un bagno, come aveva immaginato.
Esile, abbastanza leggero da calciare al volo. Lo guardò andare in cucina, aprire il frigorifero, prendere qualcosa… una carota.
L’avrebbe lavata? Il lavello era sotto la finestra. Abbassati.
Accovacciato dietro il muro, udì i rumori dell’impianto idraulico che entrava in funzione. E bravo il nostro igienico moccioso.
Lo scorrere dell’acqua cessò. Attese, sollevò finalmente la testa, spiò di nuovo. Il bambino era fermo in soggiorno con la schiena rivolta alla finestra della cucina. Sgranocchiava la carota. Ne consumò metà, andò alla porta d’ingresso, pigiò i tasti dell’allarme. Dannazione, troppo lontano per decifrare il codice.
Aprì la porta e uscì di nuovo. Ma solo per pochi secondi, poi subito in casa.
Richiuse la porta, cominciò a voltarsi.
Avrebbe visto qualcosa al di là del vetro in quell’oscurità? Probabilmente no, se non si fosse avvicinato abbastanza alla finestra, ma era meglio non correre rischi inutili, era meglio abbassarsi di nuovo.
Trascorsero altri trenta secondi prima che si azzardasse a guardare ancora. Il ragazzo era ancora in soggiorno a mangiare la carota, ora era girato di profilo.
Finì la carota, si chinò e raccolse qualcosa. Una rivista. Mangia cibi sani, igienista, lettore… Ma che bravo piccolo cittadino.
Ma non prudente. Perché la spia sul pannello dell’allarme accanto alla porta era verde.
Aveva dimenticato di reinserirlo!
Dio, era fantastico!
Vai con il blitz!
«Sunrise Court», disse Petra, sfogliando la guida.
Wil si tolse di bocca la torcia. «So qual è, una delle vie pedonali.» Era davanti al baracchino a registrare i particolari del ritrovamento di Zhukanov.
«Da che parte?» chiese lei.
«Nord, cinque o sei isolati.»
Il numero di targa e il nome di Samuel Ganzer non lo avevano scomposto. «Potrebbe essere il principale di Zhukanov. Un cliente. Il russo potrebbe aver preso nota della targa a garanzia di un pagamento con un assegno.»
«Tutto è possibile», gli concesse Petra, che aveva solo l’istinto a sostegno della sua ipotesi. Richiuse la guida. «Allora tu stai qui a tenere compagnia a Zhukanov?»
«Certo. Magari mi faccio insegnare un po’ di russo.»
Sono quasi le 11.00. Fra poco dovrebbe tornare Sam. Ho pensato di aspettarlo, ma adesso sono stanco. Mi sa che andrò a letto.
Probabilmente se la sta spassando con la signora Kleinman. Potrei mangiare un’altra carota, ma non ho più appetito… magari mi faccio un’altra doccia. No, mi basta così, non voglio sprecare l’acqua calda di Sam.
Vado a spegnere la lampada in soggiorno. Magari mi porto a letto qualche rivista da leggere… oh, ho dimenticato di reinserire l’allarme. Vado alla porta, allungo la mano ai tasti e dietro di me c’è un’esplosione, poi uno schianto. Oh no, ho lasciato un fornello acceso o qualcosa del genere?
Ma non c’è odore di gas, non sta bruciando niente e quando mi giro vedo un grande spazio nero dove prima c’era la porta della cucina e la porta è per terra e nello spazio c’è qualcuno, è in casa, mi vede, spalanca la porta della stanza di Sam, guarda dentro, viene fuori…
Viene da me.
Vestito tutto di nero.
Strana pelle rosea e capelli gialli.
Grosso.
Mi guarda. Io non lo conosco, ma lui conosce me!
PLYR 1!
Come?
Oddio, no, oh no… viene verso di me e ha un coltello… un uomo grosso e roseo con un coltello. Voglio gridare, ma ho la gola paralizzata. Cerco la maniglia, trovo solo aria, e lui arriva veloce, è più vicino, che coltello enorme… corro verso sinistra, ma lì c’è solo un angolo, non ho dove andare, la libreria mi chiude la strada. Devo fare qualcosa… lanciare qualcosa, ha già funzionato una volta… libri!
Comincio a toglierli dagli scaffali e glieli scaglio addosso con tutte le forze. Ogni tanto lo colpisco, ma lui si fa sotto lo stesso, cammina più piano, sorride, se la prende comoda, muove il coltello davanti a sé, avanti e indietro.
Io continuo a prendere libri dagli scaffali e a lanciarglieli addosso, lo colpiscono alla faccia, al petto, alla pancia, lui ride, ne para qualcuno con l’altra mano, viene avanti, la stanza è al buio, ma lui mi vede, viene per me.
Cerco di spingere in mezzo il divano, ma è troppo pesante.
Ride.
Afferro il leggio degli spartiti e gli scaglio addosso quello.
Non se l’aspettava. Perde l’equilibrio e io gli giro intorno, corro in cucina, verso la porta abbattuta.
A un tratto sono lungo e disteso.
Qualcosa mi tiene la gamba.
Mi tira per la caviglia, vedo le sue ginocchia che si flettono, vedo il suo mento, il braccio, il coltello che scende.
Mi ritorco come un serpente, devo muovermi, continuare a muovermi, forse se mi muovo sbaglia e riesco a scappare dalla porta della cucina. Mi stringe la caviglia, mi fa male, lo prendo a pugni, continuo a dibattermi, avvicino abbastanza la testa al braccio che mi tiene per la caviglia e mordo, mordo con forza, Billy Serpe, Billy Vipera.
Grida e mi lascia andare e vorrei scappare dalla porta aperta, ma c’è lui in mezzo, dove, dove, dove… L’unica alternativa è ingannarlo con una finta, spostarmi a sinistra e poi a destra, in bagno. Se mi va bene mi ci chiudo dentro.
Balzo in piedi corro veloce come mai attraverso la cucina corre anche lui ha il fiatone arrivo in bagno sbatto la porta la chiudo a chiave mi infilo tra il water e la vasca pavimento freddo sto ansimando il petto mi fa male da…
Nessun rumore.
Poi ride di nuovo. Passi. Passi lenti. Ha ripreso fiato.
Cerco di riprenderlo anch’io, ma a ogni respiro faccio un verso che sembra un cigolio.
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