«Come sta il nostro piccolo eroe, detective Connor?»
«Bene.»
Bancroft l’aveva presa per un braccio, ma si affrettò a ritrarsi quando lei abbassò lo sguardo sulla sua mano. «Se ha un momento, detective, c’è una persona con cui vorrei che scambiasse due parole.»
«Chi?»
«Nel mio ufficio, prego.»
L’ufficio era grande, arredato in stile coloniale. In poltrona erano sedute due donne di una certa età. L’una era corpulenta, spalle larghe, capelli grigi come fili di ferro sotto un cappellino scuro, asettico tailleur di tweed alquanto demodé, sguardo da tagliare il ghiaccio. L’altra era molto magra, con i capelli color brandy accuratamente acconciati, gioielli di gran gusto, un tocco di trucco. Completo blu scuro che poteva essere uno Chanel, scarpe intonate. Il suo viso era allungato, angoloso, una fisionomia che era un ritratto di sofferenza. Doveva essere stata bella da giovane. Ora appariva spaventata. Petra dovette affrontare un attimo di disorientamento.
«Detective», spiegò Bancroft, «questa è la signora Adamson. Lei e il compianto signor Adamson suo marito erano tra i nostri più generosi benefattori.»
Una lieve enfasi sul verbo al passato. Bancroft abbozzò una smorfia. La donna magra sorrise. Aveva mani bianche, leggermente maculate, le vene blu in rilievo. Petra notò un dito indice che disegnava minuscoli cerchi sulla borsetta. Scarpe eleganti, abito elegante, ma, come nel caso della sua tarchiata compagna, la sensazione era quella di un guardaroba d’altri tempi. L’estetica generale era pervasa da un senso di storico.
Nessuno le presentò l’altra donna, che la esaminava con gli occhi di un pescivendolo che sta stimando il valore di una cassa di triglie.
«Be’, io vi lascio a parlare», disse Bancroft congedandosi.
Si alzò anche la matrona, tutt’altro che volentieri.
«Grazie, Mildred», le disse la signora Adamson. Mildred rispose con un brusco cenno del capo prima di chiudere la porta.
La signora Adamson alzò gli occhi su Petra. Le sue labbra tradirono un tremito di nervosismo. «La prego di chiamarmi Cora», cominciò. «Le chiedo scusa per il tempo che le rubo, ma…» Invece di continuare, prese qualcosa dalla borsetta e gliela porse.
Una foto a colori di Billy. Un po’ più giovane, forse a undici anni. Era sul ponte di un’imbarcazione, nell’atto di salutare.
«Dove ha preso questa, signora?»
«È mia. L’ho scattata io.»
«Lei conosce Billy Straight?»
Il labbro inferiore della donna tremò e i suoi occhi si gonfiarono di lacrime. «Questo non è Billy Straight, detective Connor. È Billy Adamson. William Bradley Adamson, junior. Mio figlio. E ora non c’è più.»
Petra esaminò il dorso della fotografia. A mano c’era scritto: Billy, Arrowhead, 1971. I colori erano un po’ sbiaditi. Avrebbe dovuto notarlo. Tanti complimenti al detective.
Il ragazzino sorrideva, ma l’espressione non era del tutto naturale, cercava di nascondere una piccola forzatura.
Cora Adamson si era portata un fazzoletto agli occhi. «Forse ci sono cose che avrei dovuto fare diversamente, ma così non è… Come posso esserne certa?»
«Di che cosa, signora Adamson?»
«Mi perdoni, non sto seguendo un filo logico, mi lasci riorganizzare i pensieri… Billy, e intendo il mio Billy, era figlio unico. Molto intelligente. A quattro anni sapeva già leggere avendo imparato da solo. Si laureò in legge tredici anni fa e cominciò subito a lavorare per il Sindacato dei Lavoratori Agricoli. Mio marito era persuaso che fosse una fase di passaggio, un momento di ribellione contro il potere economico costituito. Ma io lo avevo capito, conoscevo Billy per com’era, uno spirito sensibile, generoso. Anche da bambino si preoccupava di non fare del male. Non voleva pescare. Suo padre era un patito della pesca, ma Billy non ne voleva sapere. Il giorno in cui scattai quella foto, lui e Billy avevano appena litigato. Bill, mio marito, aveva deciso di insegnare a pescare a suo figlio una volta per tutte. Billy aveva pianto, non voleva nemmeno salire in barca. Si rifiutava di uccidere un essere vivente. Alla fine Bill gli disse che se non era in grado di comportarsi da uomo, poteva starsene a terra con sua madre. Cosa che lui fece, ma con angoscia, perché amava suo padre. Io scattai la fotografia per cercare di consolarlo.»
Petra osservò di nuovo il ritratto. Stessi occhi, stessi capelli. Stessa fossetta nel mento. Gesù, persino l’espressione sembrava clonata.
«A dodici anni diventò vegetariano», continuò Cora Adamson. «Di nuovo Bill pensò che fosse una fase, ma Billy non toccò mai più cibi che contenevano carne di qualunque genere… oh, mi scusi, sto divagando. Dov’ero rimasta? Ah, i lavoratori agricoli. Billy avrebbe potuto trovare lavoro presso qualsiasi studio legale, invece scelse di viaggiare per tutto lo stato con i contadini, vivere la loro vita difendendo in tribunale i loro diritti. Sembrava felice, poi all’improvviso capitò a casa ad annunciare che aveva lasciato il lavoro, che si era fatto assumere al patrocinio gratuito. Ma non si trovò bene nemmeno lì, durò poco.
«Da quel momento cominciò a girare un po’ dappertutto su una vecchia macchina, con i capelli lunghi, la barba, a prestare i suoi servizi legali a vari consultori, senza mai fermarsi da nessuna parte. Sapevo che qualcosa lo rodeva, ma non voleva parlarne con me. Non si tratteneva mai abbastanza a lungo. Suo padre era molto in collera con lui… Billy era sempre in viaggio, non lasciava mai un recapito… Sapevo che era sperduto, ma si rifiutava di farsi trovare.»
Sedette più eretta torcendo il fazzoletto tra le mani. «Poi un sabato si presentò alla nostra casa di Arrowhead. Avevamo ospiti, soci in affari di suo padre, e Bill era molto imbarazzato per l’aspetto di Billy. Mio figlio non se ne accorse neppure. Era venuto a parlare con me. Entrò nella mia stanza di notte con una candela. L’accese e disse che era venuto il momento della sua confessione. Poi mi raccontò di avere avuto una relazione con una ragazza di Delano, un’immigrata, molto giovane, minorenne. L’aveva messa incinta. O così aveva sostenuto lei. Billy non aveva mai visto il bambino, perché quando lei gli aveva dato la notizia si era fatto prendere dal panico perché era un avvocato. Data l’età della ragazza, sapeva bene che per la legge aveva commesso un reato, uno stupro. Lo preoccupava soprattutto che qualche agricoltore lo scoprisse e se ne servisse contro il sindacato. Invece di affrontare di petto le sue responsabilità, diede alla ragazza tutti i dollari che aveva con sé e lasciò la città. Fu allora che andò a lavorare al pubblico patrocinio. Ma il senso di colpa non smise di tormentarlo, cosicché cominciò a girare la California in cerca della ragazza. Disse che si chiamava Sharia, né istruita, né intelligente, ma di buon cuore. Non la trovò mai.
«’Ma guardiamoci in faccia, mamma’, mi disse. ‘Se avessi voluto rintracciarla davvero, l’avrei trovata, no? Io non sono sicuro di voler sapere… Papà ha ragione, sono un vigliacco, un uomo senza spina dorsale. Un uomo inutile.’ Gli risposi che il fatto stesso che raccontava tutto a me in quel momento dimostrava il suo estremo coraggio. Aveva ancora la possibilità di rimediare. Gli promisi che avrei fatto tutto il possibile per aiutarlo a trovare la ragazza, a prendere provvedimenti per il mantenimento del figlio. Se un figlio c’era perché io ero scettica, pensavo che la ragazza avesse cercato di incastrarlo. S’infuriò. Cominciò a picchiare pugni sul letto, gridò che io ero come tutti gli altri, riducevo tutto a una questione di soldi e nient’altro che soldi. Poi soffiò sulla candela e se ne andò ancora profondamente alterato. Io non lo avevo mai visto in quello stato e ne ero rimasta molto turbata. Pensai di dargli tempo di calmarsi. La mattina dopo fu ritrovato nelle acque del lago Arrowhead. Dissero che era stato un incidente. Io non cercai mai la ragazza. Non sono mai stata sicura che in quella storia ci fosse del vero. Era un dubbio che mi faceva compagnia riaffiorando di tanto in tanto… fino al giorno in cui ho visto l’identikit sul giornale. Allora ho saputo. E ora l’ho trovato, detective Connor.»
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