«Se lei si aspetta che la lasciamo solo con il primo ministro», esclamò il sergente, «lei… lei è pazzo!»
«Potrebbe essere pazzo», replicò il primo ministro, «ma ha del coraggio. Questo deve ammetterlo, sergente. Perquisitelo, e se non troverete armi, concederò a questo gentiluomo, un po’ del mio tempo, come desidera.»
«Ma, signore, non sa nemmeno chi sia. Non sa che cosa sia. Il modo in cui è piombato nella…»
Churchill lo zittì. «So perfettamente com’è arrivato, sergente. Anzi, vorrei ricordarle che solo io e lei lo sappiamo. Desidero che lei non faccia parola con nessuno di quanto ha visto. La consideri un’informazione militare top secret.»
Umiliato, il sergente rimase in disparte, fissando Stefan con aria torva, mentre le guardie lo perquisivano.
Non trovarono armi, solo i libri contenuti nello zainetto e alcuni fogli di carta che Stefan teneva nelle tasche. Gli restituirono i fogli e ammassarono i libri al centro del lungo tavolo. Stefan si divertì vedendo che non avevano neppure notato la natura dei volumi che avevano maneggiato.
Con riluttanza il sergente seguì le guardie fuori dalla stanza, come il primo ministro aveva ordinato. Quando la porta venne richiusa, Churchill fece cenno a Stefan di accomodarsi sulla sedia che il sergente aveva liberato. Rimasero in silenzio per qualche minuto, scrutandosi l’un l’altro con interesse. Poi, il primo ministro indicò una teiera fumante riposta su un vassoio. «Tè?»
Venti minuti più tardi, quando Stefan era solo a metà della versione sintetica della sua storia, il primo ministro chiamò il sergente. «Rimarremo qui ancora un po’, sergente, devo posticipare la riunione di un’ora, mi dispiace. Faccia in modo che tutti ne siano informati e porga loro le mie scuse.»
Venticinque minuti dopo, Stefan aveva terminato il suo racconto.
Il primo ministro pose ancora qualche domanda. Poche, ma ben ponderate ed estremamente mirate. Alla fine sospirò e disse: «È terribilmente presto per un sigaro, credo, ma ho voglia di fumarne uno. Mi tiene compagnia?»
«No, grazie, signore.»
Mentre preparava il sigaro, Churchill disse: «A parte la sua entrata spettacolare, che altro non prova se non la reale esistenza di un mezzo rivoluzionario di spostamento, che potrebbe essere, ma potrebbe anche non essere, il viaggio nel tempo , quale prova ha per convincere un uomo ragionevole che i particolari della sua storia sono veri?»
Stefan si era aspettato una domanda simile ed era preparato. «Signore, poiché sono stato nel futuro, ho avuto possibilità di leggere stralci del suo resoconto sulla guerra. Sono così venuto a conoscenza che in questo giorno e a quest’ora precisi lei sarebbe stato in questa stanza. E ho avuto anche modo di sapere che cosa stava facendo qui proprio nell’ora che precedeva la sua riunione.»
Churchill tirò dal suo sigaro e inarcò le sopracciglia.
«Lei stava dettando un messaggio al generale Alexander, in Italia, in cui esprimeva le sue preoccupazioni circa la conduzione della battaglia di Cassino.»
L’espressione di Churchill rimase imperscrutabile. Le parole di Stefan dovevano averlo certamente sorpreso, ma non azzardò alcun cenno di incoraggiamento.
Stefan, del resto, non aveva bisogno di incoraggiamenti perché sapeva che ciò che diceva era giusto. «Dal resoconto sulla guerra che scriverà, ho memorizzato l’apertura di quel messaggio al generale Alexander, che non ha neppure finito di dettare al suo segretario quando sono arrivato: ‘Desidero che lei mi spieghi perché questo passaggio dal monastero di Montecassino eccetera, che si trova su un fronte di tre o quattro chilometri, è l’unico posto su cui continuate a ostinarvi’.»
Il primo ministro tirò un’altra boccata, lasciò uscire il fumo e studiò Stefan. Essere scrutato così intensamente da Churchill, e a una distanza così ravvicinata, fu per Stefan molto più snervante di quanto pensasse.
Alla fine il primo ministro disse: «E lei ha raccolto queste informazioni da qualcosa che io scriverò nel futuro?»
Stefan si alzò, prese i sei grossi libri che le guardie avevano estratto dal suo zaino — ristampe della Houghton Mifflin Company, pubblicate a un prezzo di 9,95 dollari ciascuna — e li dispose sul tavolo davanti a Winston Churchill. «Questa, signore, è la storia della seconda guerra mondiale in sei volumi, che sarà considerato come il resoconto definitivo di quel conflitto e che verrà definita una grande opera storica e letteraria.» Stava per aggiungere che grazie a quei libri avrebbe ottenuto il premio Nobel per la letteratura nel 1953, ma decise di non rivelarglielo. La vita sarebbe stata meno interessante se privata di simili sorprese.
Churchill esaminò le copertine di tutti e sei i volumi e si concesse un sorriso quando lesse il breve stralcio tratto dalla recensione che era apparsa nel supplemento letterario del Times. Aprì un volume e ne scorse rapidamente le pagine, ma non si fermò a leggere nulla.
«Non sono delle elaborate contraffazioni», gli assicurò Stefan. «Se si sofferma a leggere una pagina a caso, riconoscerà il suo unico e inconfondibile stile. Lei…»
«Non ho bisogno di leggerli. Le credo, Stefan Krieger.»
Scostò i libri e si appoggiò di nuovo alla poltrona. «Credo di comprendere perché lei è venuto da me. Vuole che organizzi un bombardamento aereo su Berlino e l’obiettivo dovrà essere la zona in cui si trova quell’istituto.»
«È esatto. Deve essere fatto prima che gli scienziati che lavorano all’istituto abbiano finito di studiare il materiale sulle armi nucleari che è stato portato dal futuro. Prima che si mettano d’accordo sul modo di trasmettere quelle informazioni alla comunità scientifica tedesca. Ed è solo questione di giorni. Lei deve agire prima che tornino dal futuro con qualcos’altro che possa rovesciare le sorti contro gli Alleati. Le darò la precisa posizione dell’istituto. I bombardieri americani e quelli della RAF hanno già compiuto delle incursioni, sia di giorno sia di notte, dopotutto…»
«C’è stato molto chiasso in parlamento sui bombardamenti delle città, anche quelle nemiche», sottolineò Churchill.
«Sì, ma non è Berlino che deve essere colpita. Poiché l’obiettivo è così limitato, questa missione dovrà essere effettuata di giorno. Ma se lei colpisce quella zona, se polverizzate completamente quell’isolato…»
«Diversi isolati tutt’intorno verranno ridotti in macerie», ammise il primo ministro. «Non possiamo colpire con una precisione sufficiente da distruggere gli edifici presenti in un solo isolato.»
«Sì, capisco. Ma lei deve ordinarlo, signore. Varie tonnellate di esplosivi devono essere fatte cadere su quella zona. Non deve rimanere nulla dell’istituto, solo polvere.»
Il primo ministro rimase in silenzio per qualche minuto, osservando pensieroso il sottile pennacchio di fumo azzurrognolo del sigaro. Alla fine disse: «Dovrò consultare i miei consiglieri, ovviamente, ma ritengo che non potremo organizzare e sferrare l’attacco prima di due giorni, il 22 o al più tardi il 23».
«Penso che vada bene», disse Stefan con grande sollievo. «Ma non più tardi. Per l’amor del cielo, signore, non più tardi.»
Mentre la donna si rannicchiava accanto al paraurti dalla parte dell’autista e controllava il deserto a nord, Klietmann la spiava da dietro un groviglio. Non lo vide. Quando si spostò dall’altra parte, dandogli le spalle, Klietmann si alzò di scatto e corse verso un altro riparo, una roccia levigata dal vento.
Il tenente si tolse le scarpe, perché le suole erano troppo lisce per quel tipo di azione. In quel momento gli sembrò veramente anacronistico il fatto che fossero venuti in missione vestiti come giovani dirigenti o, peggio, come pastori battisti. Gli occhiali, perlomeno, erano utili. Il riverbero del sole sulle pietre e sulle dune era accecante; senza gli occhiali non sarebbe stato in grado di vedere bene dove metteva i piedi e avrebbe certamente corso il rischio di scivolare e cadere più di una volta.
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