«Secondo me, stiamo diventando troppo teorici», obiettò Angela. «Abbiamo ricevuto troppe informazioni e ci sforziamo di farle collimare tutte nella stessa teoria. Per la maggior parte, forse, non sono collegate.»
«Probabilmente hai ragione», ammise David, «ma mi è appena venuta un’idea. Se dovessimo determinare che il colpevole è Van Slyke, allora i suoi problemi psichiatrici potrebbero lavorare a nostro favore.»
«Che cosa intendi?»
«Nel periodo in cui prestava servizio su un sottomarino nucleare, Van Slyke ha avuto un episodio psicotico in un momento di stress. Non la trovo una cosa tanto sorprendente, sarebbe potuto capitare anche a me. Comunque, durante quella crisi psicotica, ha avuto sintomi paranoidi e si è rivoltato contro le figure che impersonavano l’autorità, in quel caso i suoi superiori. Una cosa simile gli era già accaduta in precedenza. Se noi lo affrontiamo, potremmo evocare la sua paranoia contro la persona che lo paga. Tutto quello che dovremmo dire sarebbe che questa ‘figura autoritaria’, tanto per citare il suo dossier, ha intenzione di scaricare su di lui la colpa di tutto, se venisse scoperto qualcosa e, dato che noi stiamo parlando con lui, è evidente che qualcosa è stato scoperto.»
Angela fulminò David con lo sguardo. «Talvolta mi stupisci», commentò, «soprattutto perché ti credi tanto razionale. Questa è l’idea più ridicola e arzigogolata che abbia mai sentito. La storia di Van Slyke documenta episodi maniacali accompagnati da aggressività. Stai suggerendo che potresti evocare la paranoia schizofrenica in un individuo simile? È assurdo. Esploderebbe in violenza e potrebbe essere diretta verso chiunque, in particolare verso di te.»
«Era solo un’idea», si giustificò David.
«Be’, io non ho nessuna intenzione di svilupparla. È troppo teorica.»
«Va bene», disse David, accomodante. «Il prossimo sospetto è Peter Ullhof. Ha conoscenze mediche, ovviamente, e il fatto che sia stato arrestato per reati connessi a questioni di aborto suggerisce che nutra sentimenti ben radicati sull’etica medica. Ma, a parte questo, non c’è altro su di lui.»
«E Joe Forbs?»
«L’unica cosa che può renderlo sospetto è la sua incapacità di gestire le proprie finanze.»
«E l’ultima persona, Claudette Maurice?»
«Lei è a posto», rispose David. «L’unica curiosità che ho su di lei è in quale parte del corpo ha il suo tatuaggio.»
«Sono esausta», si lamentò Angela. Gettò i fogli che aveva in mano sul tavolino. «Forse, dopo una notte di sonno profondo, ci verrà in mente qualcosa.»
Lunedì 1° novembre
Nikki si svegliò in piena notte con un altro incubo e andò a dormire nel lettone dei genitori, anche loro incapaci di un sonno tranquillo. Persino Rusty non dormì profondamente e, di tanto in tanto, abbaiava e ringhiava. Ogni volta, David si alzava e afferrava il fucile, ma erano sempre falsi allarmi.
L’unico elemento positivo, la mattina dopo, fu la salute di Nikki: i polmoni erano completamente puliti. In ogni caso, non le fu ancora permesso di andare a scuola.
Angela e David telefonarono di nuovo a Calhoun, ma trovarono la segreteria telefonica, con il solito messaggio. Erano indecisi se chiamare la polizia oppure no. Non conoscevano Calhoun molto bene e sapevano che aveva un comportamento un po’ eccentrico. Inoltre, erano riluttanti a chiamare la polizia, considerando le esperienze precedenti, soprattutto quelle della sera prima.
«L’unica cosa che so per certo», dichiarò Angela, «e che non voglio passare un’altra notte in questa casa. Forse dovremmo fare i bagagli e lasciare questa città ai suoi intrighi e ai suoi segreti.»
«Se lo facciamo, allora sarà meglio chiamare Sherwood», osservò David.
«Fallo. Parlo sul serio, quando dico che non voglio passare un’altra notte qui dentro David telefonò alla banca per chiedere un appuntamento con il presidente e lo ottenne per le tre del pomeriggio.
«Dovremmo parlare con un avvocato», suggerì Angela.
«Hai ragione. Chiamiamo Joe Cox.»
Joe era un loro caro amico, oltre a essere uno degli avvocati più abili di Boston. Quando Angela gli telefonò allo studio, le dissero che era in tribunale e ci sarebbe stato per tutta la giornata. Non le restò che lasciare un messaggio, dicendo che avrebbe richiamato.
«Dove potremmo passare la notte?» chiese poi al marito, mentre riagganciava.
«Gli amici più stretti che abbiamo qui in città sono gli Yansen», rispose lui. «Il che è tutto dire. Non ho più avuto rapporti con Kevin da quella ridicola partita a tennis e non ho intenzione di rivolgermi a lui.» Dopo un sospiro, propose: «Potrei chiamare i miei genitori».
«Era quello che volevo chiederti», lo incoraggiò Angela.
David telefonò ad Amherst, nel New Hampshire, e chiese a sua madre se poteva ospitarli per qualche giorno, spiegando che avevano qualche problema con la casa. Lei ne fu contentissima e rispose che non vedeva l’ora che arrivassero.
Angela provò ancora a chiamare Calhoun, ma invano, allora propose di passare da casa sua. Non era molto lontano e David si dichiarò d’accordo. I Wilson salirono tutti e tre sulla Volvo e andarono a Rutland.
«Ecco, è lì», disse Angela, quando giunsero in vista della casa. Bastò loro fermarsi davanti all’ingresso per rimanere delusi: era evidente che non c’era nessuno e sotto al portico erano accumulati i giornali di tre giorni.
Tornando a Bartlet, Angela e David discussero ancora se fosse il caso di avvertire la polizia oppure no. Angela disse che, quando aveva ingaggiato Calhoun, erano passati diversi giorni prima che si rifacesse vivo con lei. Alla fine decisero di aspettare un altro giorno. Se non fossero riusciti a contattarlo, si sarebbero rivolti alla polizia.
Tornati a casa, Angela si mise a fare i bagagli e Nikki la aiutò. Intanto David cercò sull’elenco telefonico gli indirizzi dei cinque dipendenti dell’ospedale con il tatuaggio, li scrisse su un foglietto e andò al piano di sopra, per dire alla moglie che aveva intenzione di passare davanti alle loro abitazioni, tanto per farsi un’idea di come vivevano.
«Non voglio che tu vada da nessuna parte», gli disse lei con un tono molto severo.
«Perché?» David era sorpreso.
«Primo, perché non voglio rimanere qua da sola. Secondo, sappiamo che questa faccenda è estremamente pericolosa, perciò non voglio che tu vada a curiosare intorno alla casa di un potenziale assassino.»
«D’accordo», si arrese David. «Il primo motivo è più che sufficiente. Non pensavo che ti sentissi nervosa a essere lasciata sola a quest’ora del giorno e, quanto al pericolo, probabilmente quella gente adesso sarà tutta al lavoro.»
«Non puoi esserne sicuro. Perché invece non ci dai una mano a fare i bagagli?»
Era quasi mezzogiorno, quando furono pronti. Controllarono che tutte le porte e le finestre fossero ben chiuse, poi salirono in macchina, seguiti da Rusty, che balzò accanto a Nikki.
Jeannie Wilson, la madre di David, li accolse con calore e li fece sentire subito a casa propria. Albert, il padre, sarebbe rimasto fuori a pesca tutto il giorno.
Dopo che ebbero portato dentro tutti i bagagli, Angela si gettò sul letto nella camera degli ospiti.
«Sono esausta!» esclamò. «Potrei addormentarmi immediatamente.»
«Allora fallo», la incoraggiò David. «Non c’è bisogno che torniamo a Bartlet tutti e due, per parlare con Sherwood.»
«Davvero non t’importa di andarci da solo?»
«Ma no, figurati!» David sollevò l’orlo della trapunta e invitò Angela a infilarsi sotto. Mentre usciva dalla stanza, sentì che gli raccomandava di guidare con prudenza, ma la sua voce era già impastata dal sonno.
Scese al piano di sotto, disse a sua madre che Angela stava facendo un pisolino e consigliò a Nikki di fare lo stesso, ma lei si era già messa a impastare biscotti insieme alla nonna. Salutò tutte e due, spiegando che aveva un appuntamento a Bartlet, e salì in macchina.
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