Dal salottino udirono il rumore di una porta che sbatteva, poi più nulla.
«Stai bene?» sussurrò Angela.
«Penso di sì.»
Angela aiutò la bimba a rialzarsi in piedi, poi le fece cenno di seguirla. Avanzarono lentamente verso l’ingresso, superarono l’arco che introduceva in soggiorno e videro il danno causato dallo sparo: una parte di pallini si era conficcata nel montante dell’arco e il resto aveva mandato in frantumi altri quattro vetri della finestra a bovindo, la stessa danneggiata dal mattone.
Girarono intorno alla base delle scale, cercando di evitare i frammenti di vetro e, quando si avvicinarono all’arco che portava nel salottino, sentirono una corrente di aria gelida. Angela tenne il fucile puntato davanti a sé. Avanzando lentamente, madre e figlia individuarono la causa della corrente: una delle portefinestre che davano sulla terrazza era spalancata e andava lentamente avanti e indietro alla brezza serale.
Si avvicinarono e scrutarono la linea di alberi che delimitava la loro proprietà. Rimasero per qualche istante assolutamente immobili, cercando di sentire eventuali rumori. Tutto ciò che udirono fu l’abbaiare lontano di un cane, seguito dalla risposta di Rusty, dalla rimessa. Non si scorgeva nessuno. Rientrarono. Angela chiuse la porta a chiave e, sempre stringendo il fucile con una mano, si chinò ad abbracciare Nikki.
«Sei un’eroina», le mormorò. «Aspetta che lo racconti a tuo padre.»
«Non sapevo che cosa fare», disse lei. «Non avevo intenzione di colpire la finestra.»
«La finestra non è importante», la tranquillizzò Angela. «Ti sei comportata splendidamente.» Angela andò al telefono e si sorprese di non udire alcun suono.
«Non funziona nemmeno quello in camera tua», le annunciò Nikki.
Angela rabbrividì. L’aggressore si era preoccupato di tagliare i fili del telefono. Se non fosse stato per Nikki, non sapeva che cosa sarebbe potuto accadere.
«Dobbiamo assicurarci che quell’uomo non sia più qui», mormorò. «Vieni, guardiamo dappertutto.»
Insieme attraversarono la sala da pranzo e arrivarono in cucina. Controllarono l’ingresso posteriore e i due stanzini usati come dispense, poi tornarono in cucina e da lì nel corridoio centrale e poi nell’ingresso.
Mentre Angela si stava chiedendo se fosse il caso di controllare anche al piano superiore, il campanello suonò. Lei e Nikki sobbalzarono. Guardando attraverso il vetro laterale della porta, videro un gruppo di ragazzini vestiti da streghe e da fantasmi.
David imboccò il vialetto, sorpreso nel vedere che tutte le luci di casa erano spente. Poi scorse un gruppo di ragazzini balzare giù dalla veranda, correre attraverso il prato e sparire oltre gli alberi che delimitavano la proprietà.
Fermò la macchina e vide che la porta d’ingresso era stata imbrattata con le uova, le finestre insaponate e la zucca fracassata. Ebbe una mezza idea di mettersi a inseguire quei teppistelli, ma pensò che le probabilità di trovarli al buio sarebbero state ridottissime. «Dannati ragazzi!» esclamò ad alta voce, poi si accorse che la finestra del soggiorno era stata rotta ancora di più.
«Accidenti, qui si esagera!» Scese dall’auto e si avvicinò alla porta d’ingresso, notando che la parte anteriore della casa era stata presa di mira con uova e pomodori.
Quando, entrando, scoprì i vetri e i cioccolatini sparsi per terra, cominciò a preoccuparsi davvero. Si sentì attanagliare dalla paura al pensiero che fosse accaduto qualcosa alla sua famiglia e gridò, chiamando Angela e Nikki.
Quasi subito tutte e due comparvero in cima alle scale. Angela teneva in mano il fucile!
Nikki si mise a piangere e corse giù, buttandosi fra le braccia del padre. «Aveva una pistola», riuscì a dire fra i singhiozzi.
«Chi aveva una pistola?» domandò David, sempre più inquieto. «Che cosa è successo?»
Angela scese fin quasi in fondo alle scale, dove si sedette. «Abbiamo avuto una visita», annunciò.
«Chi?»
«Non lo so. Indossava una maschera di Halloween e aveva una pistola.»
«Mio Dio!» esclamò David, sconvolto. «Non avrei mai dovuto lasciarvi sole. Mi dispiace.»
«Non è colpa tua, ma hai fatto più tardi del previsto.»
«Ci è voluto più di quanto pensassi a fare le copie di quei dossier. Ho cercato di chiamarvi mentre ero per strada, ma il telefono era sempre occupato. Quando ho chiamato l’operatore, mi ha detto che era guasto.»
«Penso che quell’uomo abbia tagliato i fili.»
«Hai chiamato la polizia?» domandò David.
«Come facevo a chiamarla, se il telefono non funzionava?» sbottò Angela.
«Scusa, non ci avevo pensato.»
«Tutto quello che abbiamo fatto da quando quell’uomo se n’è andato è stato rimanere rannicchiate di sopra. Avevamo il terrore che ritornasse.»
«Dov’è Rusty?»
«L’ho chiuso nella rimessa perché si agitava troppo quando arrivavano i bambini a chiedere i dolci.»
«Adesso prendo dalla macchina il mio telefono portatile e intanto libero Rusty», affermò David. Una volta fuori, vide il gruppo di ragazzi di prima sparpagliarsi nel vederlo uscire.
«Toglietevi dai piedi», gridò loro nella notte.
Quando rientrò in casa con Rusty e il telefono, Angela e Nikki lo stavano aspettando in cucina.
«C’è un branco di ragazzini là fuori», disse loro. «Hanno conciato la veranda per le feste.»
«Sarà perché non abbiamo aperto e sono rimasti a mani vuote. Ci toccherà la nostra parte di dispetti, ma non sarà niente, al confronto di quello che abbiamo passato prima.»
«Non proprio: hanno rotto altri vetri della finestra.»
«È stata Nikki a romperli», gli spiegò Angela, abbracciando la figlia. «È la nostra eroina.» Poi raccontò esattamente come si erano svolte le cose.
David riusciva a malapena a credere al pericolo che aveva corso la sua famiglia. Se pensava a ciò che sarebbe potuto accadere… Non riusciva a sopportarne nemmeno il pensiero. Quando un’altra scarica di uova si abbatté contro la facciata, la sua collera divenne incontenibile. Corse all’ingresso e aprì la porta, deciso ad acchiappare qualcuno dei ragazzini, ma Angela lo trattenne, mentre Nikki teneva a bada il cane.
«Non è importante!» esclamò Angela piangendo.
Vedendo la moglie prossima a un crollo nervoso, David richiuse la porta e la consolò come meglio poté. In fondo, sapeva che correre dietro a quei bambini non sarebbe servito a niente, se non a sfogarsi per cercare di lenire i sensi di colpa.
Strinse a sé anche Nikki e si sedette con tutte e due sul divano del salottino. Quando vide che Angela si era un po’ calmata, usò il telefonino per chiamare la polizia.
Visto che David non la smetteva d’imprecare per avere lasciato sole lei e Nikki, Angela cercò di convincerlo che anche lei aveva una parte di colpa.
«Avrei dovuto aspettarmelo», gli disse e gli rivelò i propri sospetti che il tentativo di stupro fosse stato invece un tentativo di omicidio. «Anche Calhoun è d’accordo.»
«Perché non me l’hai detto?» chiese David.
«Avrei dovuto farlo. Mi dispiace.»
«Se non altro, stiamo imparando che non dovrebbero esserci segreti fra di noi. E Calhoun? Lo hai sentito?»
«No, gli ho anche lasciato un messaggio, come avevi consigliato tu. Che cosa facciamo adesso?»
«Non lo so.» David si alzò. «Intanto diamo un’occhiata alla finestra.»
La polizia non aveva nessuna fretta. Ci mise quasi tre quarti d’ora ad arrivare e, con grande disappunto di Angela e David, c’era Robertson in persona, con tanto di uniforme. Angela fu tentata di domandargli se quello fosse il suo costume di Halloween. Lo accompagnava un assistente, Carl Hobson.
Arrivato alla porta d’ingresso, Robertson notò la sporcizia sulla veranda e la finestra rotta.
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