Robin Cook - Vite in pericolo

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Un’agghiacciante incursione nel lato più oscuro dell’assistenza sanitaria, nel fatidico incrocio tra il valore supremo dell’esistenza umana e i cinici interessi del mondo finanziario, capace di subordinare la vita e la morte alla pericolosa seduzione del denaro. Dopo lunghi anni trascorsi nei corridoi di un grande ospedale di Boston, Angela e David Wilson, un’affiatata coppia di medici, decidono di abbandonare la frenesia della metropoli per trasferirsi, con la figlioletta Nikki gracile e malata, in campagna, in una tranquilla cittadina del Vermont. La bellezza e la serenità del luogo, insieme all’affettuosa accoglienza dei suoi abitanti, appaiono un sogno divenuto realtà, destinato a infondere un’ondata di entusiasmo alle loro esistenze: verdi distese di prati, laghi cristallini incastonati in una cornice incantevole di montagne, al posto dell’inquinamento e della criminalità della città. E, nello stesso tempo, si profila per entrambi i coniugi la possibilità di lavorare in un centro gestito in modo dinamico e moderno, dotato di attrezzature all’avanguardia. Ma dopo il primo magnifico, romantico autunno, a Bartlet comincia a profilarsi un paesaggio spoglio e desolato, che rivela, dietro i tristi scheletri degli alberi, oscure e macabre macchinazioni...
A poco a poco, poi a un ritmo sempre più rapido, il paradiso terrestre dei Wilson si sgretola: numerosi pazienti con strani sintomi cominciano a morire misteriosamente, inquietanti trame si nascondono nelle stanze del loro ospedale; un incubo mortale li minaccia... Coinvolti in un sistema medico criminale, nel quale la polizia non intende indagare, Angela e David dovranno combattere con le loro sole forze per non essere travolti dall’orrore e salvaguardare così la felicità della loro famiglia.

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«Precisi come un orologio. Quando me ne posso andare a casa?»

«Probabilmente oggi. Vedo che le hanno cambiato il letto.»

«Eh, sì. Non sono riusciti ad aggiustare quell’altro. Grazie per averci pensato di persona. Prima i miei reclami non li aveva ascoltati nessuno.»

«Non è niente, ci vediamo domani.»

Salito in macchina, David mise in moto, ma non ingranò la marcia. Gli erano morti tre pazienti in una settimana e non poteva fare a meno di porsi delle domande sulla propria competenza. Forse, se avessero avuto un altro medico, quei tre sarebbero stati ancora vivi.

Si riscosse, dicendosi che non poteva rimanere tutta la notte nel parcheggio a rimuginare, poi ingranò la marcia e si diresse verso casa. Dal vialetto vide che c’era una luce accesa e se ne stupì. Mentre parcheggiava, apparve sulla soglia sua moglie.

«Stai bene?» gli chiese mentre richiudeva alle sue spalle la porta posteriore.

«Sto meglio. Come mai sei ancora alzata?» David appese il cappotto nello stanzino posteriore e le fece cenno di precederlo in cucina.

«Non riuscivo a dormire, sapendo che tu eri fuori», gli rispose lei. «Non dopo il biglietto che hanno inchiodato alla nostra porta e ho pensato che, se tu devi uscire nel cuore della notte, come adesso, voglio avere una rivoltella.»

David la prese per mano e la fece fermare. «Non ci sarà nessuna rivoltella in casa nostra», le disse. «Le conosci anche tu le statistiche sugli incidenti dovuti alle armi da fuoco in case dove ci sono bambini.»

«Quelle statistiche non si riferiscono alle famiglie di medici con un figlio unico e intelligente come Nikki», obiettò Angela. «E poi mi assumo io la responsabilità di farle conoscere bene l’arma e di metterla in guardia.»

David le lasciò andare il braccio e si diresse su per le scale. «Non ho né l’energia né la forza emotiva per mettermi a discutere con te.»

«Bene», commentò lei.

David fece una doccia e, quando s’infilò a letto, vide che sua moglie era sveglissima, proprio come lui.

«Ieri sera, dopo cena, mi hai detto che vorresti potermi aiutare, ti ricordi?» le domandò.

«Certo.»

«Un’ora fa ho chiesto alla famiglia Schiller se autorizzano l’autopsia. Me lo faranno sapere domani.»

«Purtroppo non dipende dalla famiglia. L’ospedale non fa autopsie sui pazienti del CMV.»

«Ma io ho un’altra idea: potresti fare l’autopsia tu stessa.»

Lei ci pensò. «Forse potrei. Domani è domenica e il laboratorio rimane chiuso, tranne per le emergenze.»

«È proprio quello che pensavo.»

«Potrei venire in ospedale con te e parlare con la famiglia.» L’idea sembrava ad Angela sempre più allettante.

«Se tu potessi scoprire la ragione per cui Mary Ann è morta, credo che mi sentirei molto meglio», le disse David.

17

Domenica 24 ottobre

Quella mattina David e Angela erano esausti, Nikki invece aveva riposato bene, senza incubi e non vedeva l’ora di iniziare la giornata.

La domenica avevano preso l’abitudine di alzarsi presto per andare in chiesa, dopo di che andavano a fare una sostanziosa colazione all’ Iron Horse Inn. L’idea di frequentare la chiesa era stata di Angela. Le sue motivazioni non erano religiose, ma sociali. Pensava che sarebbe stato un buon modo per entrare a far parte della comunità di Bartlet e aveva scelto la chiesa metodista, quella all’interno dei giardini, che era la più popolare.

«Ci dobbiamo proprio andare?» si lamentò David. Anche quella mattina si era svegliato prima dell’alba, nonostante fosse andato a letto così tardi ed era rimasto sveglio per ore, riuscendo ad appisolarsi proprio quando Nikki e Rusty gli erano piombati in camera.

«Nikki ci resterà male, se non andiamo», gli rispose lei.

David si vestì controvoglia. Mezz’ora dopo, tutta la famiglia salì sulla Volvo per dirigersi in città. Lasciarono la macchina nel parcheggio dell’ Iron Horse e proseguirono a piedi, perché ormai avevano imparato che la domenica mattina il traffico nella zona della chiesa era caotico, tanto da richiedere la presenza di un poliziotto.

Quel giorno era il capo della polizia in persona a svolgere quel servizio. Appena Angela lo vide, si lasciò alle spalle marito e figlia, dicendo loro: «Aspettatemi qui» e si diresse verso di lui prima che David potesse fermarla.

«Scusi, avrei qualcosa da mostrarle», lo abbordò mettendogli sotto il naso il biglietto anonimo. «Questo ce l’hanno inchiodato alla porta la notte scorsa, mentre eravamo a letto.» Mentre lui lo prendeva, Angela si mise le mani sui fianchi, in attesa di una risposta.

Il fischietto che Robertson usava per dirigere il traffico e che teneva legato al collo con una catenella gli scivolò dalle labbra. Guardò il biglietto e poi lo restituì ad Angela. «Direi che è un buon suggerimento. Le raccomando di seguirlo scrupolosamente.»

Angela ridacchiò. «Non le sto chiedendo la sua opinione sul consiglio contenuto nel biglietto, voglio che lei scopra chi l’ha messo sulla porta.»

«Be’», borbottò lui, grattandosi la nuca, «non c’è molto da scoprire, se non che è stato battuto con una Smith Corona del 1952 con una ‘o’ difettosa.»

Per un attimo, Angela fu sul punto di ricredersi sulle sue capacità investigative, ma poi capì che si stava prendendo gioco di lei.

«Sono sicura che farà del suo meglio», ribatté con evidente sarcarsmo. «Ma, considerando il suo atteggiamento nei confronti del caso Hodges, suppongo che non possiamo aspettarci miracoli.»

Qualche colpo di clacson costrinse Robertson a riportare l’attenzione sul traffico, ma questo non gli impedì di dare altri consigli ad Angela. «Lei e la sua famiglia siete arrivati da poco a Bartlet. Dovreste pensarci due volte prima di interferire in questioni che non vi riguardano, evitereste di trovarvi nei guai.»

«Finora i guai me li ha procurati lei e, da quello che ho capito, lei è uno di quelli che non si dispiacciono poi tanto per l’assassinio di Hodges, dato che lo ritiene a torto responsabile della morte di sua moglie.»

Robertson smise di nuovo di dirigere il traffico e si voltò verso Angela, rosso come un peperone. «Che cosa ha detto?»

Lei fece per ripetere la frase, ma David s’insinuò fra lei e il poliziotto, costringendola ad allontanarsi. Aveva seguito la conversazione a qualche passo di distanza e non gli piaceva la piega che stava prendendo.

«Che diavolo ti prende?» sussurrò. «Stai stuzzicando un uomo che ha evidenti problemi di personalità. Non ti sembra di esagerare, con la tua smania di drammaticità?»

«Mi stava mettendo in ridicolo.»

«Piantala, parli come una bambina.»

«Ci dovrebbe proteggere, dovrebbe far rispettare la legge e invece non gli importa niente di chi ha scritto questo biglietto, come non gli importa niente di chi ha ucciso Hodges.»

«Calmati! Stai facendo una scenata davanti a tutti.»

Angela si guardò intorno e vide alcune persone si erano fermate e la stavano fissando. Allora cercò di darsi un contegno, mise il biglietto anonimo nella borsetta, si lisciò la gonna e prese Nikki per mano, dicendo: «Su, non facciamo tardi per la funzione».

Caroline incontrò Nikki dopo la funzione religiosa, si unì ai Wilson quando si fermarono a mangiare all’ Iron Horse e poi rimase a casa loro con Nikki e Alice Doherty, mentre David e Angela si recarono in ospedale.

I parenti di Mary Ann erano nell’atrio e Angela andò loro incontro, entrando subito in argomento.

«Mio marito vi ha chiesto l’autorizzazione per eseguire l’autopsia e vi volevo dire che sarò io a farla. Dato che né l’ospedale né il CMV pagano questo servizio, lo farò io nel mio tempo Ubero. Sarà completamente gratuito, potrebbe fornire informazioni utilissime.»

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