Poi afferrò la cassa che stava in cima. Troppo pesante da trasportare, si schiantò al suolo, con un fragore di metallo tintinnante. Allora la trascinò verso la botola. Non sapeva che cosa contenessero le casse, sapeva soltanto che erano pesanti, dannatamente pesanti.
Lisa si diede da fare con la seconda. Lui la raggiunse e ne prese una terza.
Assieme, trascinarono il carico sino alla botola.
«Un’altra ancora», disse Painter.
Lisa fissò la catasta di casse sulla botola. «Nessuno riuscirà a passare di qui.»
«Un’altra ancora», insistette Painter, tra un respiro affannoso e una smorfia. «Fidati.»
Trascinarono l’ultima assieme. Ci volle la forza di entrambi per sollevarla sulle altre, già accatastate sulla botola.
«I farmaci lo metteranno fuori uso per ore», disse Lisa.
Per tutta risposta, ci fu un colpo d’arma da fuoco. Una salva di fucile perforò la botola, con tutto il suo carico di casse, e s’infilò in una delle travi del granaio.
«Penso che consulterò un altro medico», replicò Painter, trascinandola via.
«Gli hai iniettato tutto il Midazolam?»
«Oh, sì!»
«Ma, allora, come…»
«Non lo so, e al momento non m’interessa.»
Painter la condusse verso la porta aperta del granaio. Dopo aver controllato che non ci fossero altri sicari in giro, scapparono fuori. Alla loro sinistra, il mondo era una catastrofe di fiamme e fumo. Tizzoni ardenti turbinavano in un cielo greve.
Nuvole color granito oscuravano la cima sovrastante.
«Taski aveva ragione», borbottò Lisa, sollevando il cappuccio del suo parka.
«Chi?»
«Una guida sherpa. Ci ha avvisato che un altro fronte temporalesco era in arrivo oggi.»
Painter seguiva le fiamme che si attorcigliavano verso le nuvole. Grossi fiocchi di neve bianchi cominciarono a calare, mescolandosi a una pioggia nera di fuliggine incandescente. Fuoco e ghiaccio. Era una commemorazione adeguata delle dozzine di monaci che avevano condiviso la fine di quel monastero.
Ricordando gli uomini gentili che l’avevano scelto come dimora, Painter sentì montare dentro di sé una rabbia oscura. Chi poteva massacrare i monaci con tale crudeltà?
In quanto a chi fosse stato, non aveva risposta, ma sapeva il perché.
La malattia.
Qualcosa era andato storto e quindi qualcuno cercava di nasconderlo.
Uno scoppio prevenne qualsiasi altra riflessione. Fiamme e fumo proruppero dalla porta del granaio e uno dei coperchi delle casse volò fuori nel cortile.
Painter prese Lisa per un braccio.
«Si è fatto saltare in aria?» chiese la donna, guardando atterrita il granaio.
«No, ha fatto saltare la botola. Andiamo, il fuoco lo terrà a bada ancora per poco.»
Painter fece strada sul terreno ghiacciato, evitando le carcasse congelate delle capre e delle pecore, finché non uscirono dal cancello dell’ovile.
La nevicata si fece più fitta. Era una benedizione, ma solo fino a un certo punto. Painter non portava altro che un mantello di lana pesante e stivali imbottiti di pelo. Non era granché per proteggersi da una tormenta. Ma la neve fresca avrebbe aiutato a nascondere le loro tracce e ridurre leggermente la visibilità.
Fece strada verso un sentiero che costeggiava uno strapiombo e scendeva al villaggio sottostante, dove era stato qualche giorno prima.
«Guarda!» esclamò Lisa.
Sotto di loro, una colonna di fumo saliva in cielo, una versione ridotta di quella che avevano alle spalle.
«Il villaggio…» Painter serrò un pugno.
Non stavano radendo al suolo soltanto il monastero. Anche le capanne sparse laggiù erano state messe a ferro e fuoco. Gli attentatori non volevano lasciare testimoni.
Painter abbandonò il sentiero. Era troppo esposto. Sicuramente sarebbe stato sorvegliato e laggiù ci potevano essere altri uomini. Batté in ritirata verso le rovine in fiamme del monastero.
«Dove andiamo?» chiese Lisa.
Painter indicò un punto oltre le fiamme. «Nella terra di nessuno.»
«Ma non è là che…»
«Che sono state viste le luci l’ultima volta», confermò lui. «Però è anche un posto in cui possiamo far perdere le nostre tracce e trovare riparo, per rintanarci e aspettare la fine della tormenta. Aspetteremo che arrivi qualcun altro a indagare sull’incendio e sul fumo.»
Painter guardò la densa colonna di fumo nero. Doveva essere visibile a chilometri di distanza. Ma c’era qualcuno a vederla? Il suo sguardo si spostò più in alto, alle nuvole. Cercò di penetrare quella coltre, verso il cielo che stava oltre. Pregò che qualcuno riconoscesse il pericolo.
Fino ad allora, aveva soltanto una possibilità.
«Andiamo.»
Washington, D.C.,
ore 01.25
Monk attraversò la buia piazza del Campidoglio, con Kat al fianco. Marciavano a passo sostenuto, ma oltre all’andatura condividevano anche una certa irritazione.
«Preferirei che aspettassimo», disse Kat. «È troppo presto. Potrebbe succedere qualsiasi cosa.»
Monk sentiva il vago profumo di gelsomino che emanava da lei. Avevano fatto una rapida doccia assieme, dopo la telefonata di Logan Gregory, accarezzandosi a vicenda nel vapore, abbracciati mentre si sciacquavano, in un ultimo momento di intimità. Ma poi, mentre si asciugavano e si vestivano ognuno per conto proprio, con le zip da chiudere e i bottoni da allacciare, cominciarono a intromettersi le questioni pratiche. La realtà prese il sopravvento, raffreddando la loro passione quanto il gelo notturno.
Monk le lanciò un breve sguardo. Kat indossava pantaloni blu, una camicetta bianca e una giacca a vento con lo stemma della marina statunitense. Professionale come sempre, tirata a lucido come le sue scarpe da ginnastica di cuoio nero. Monk indossava Reebok nere, jeans scuri, un maglione a collo alto color avena e, per finire, un berretto da baseball dei Chicago Cubs.
«Finché non sono sicura», proseguì Kat, «preferirei che non parlassimo con nessuno della gravidanza.»
«Che vuoi dire con ‘finché non sono sicura’? Finché non sai per certo se vuoi il bambino? Finché non sei sicura di noi due?»
Avevano discusso per tutta la strada, dall’appartamento di Kat, che confinava con Logan Circle, un ex bed breakfast vittoriano convertito in un complesso residenziale, raggiungibile a piedi dal Campidoglio. Quella notte, il breve tragitto sembrò interminabile.
«Monk…»
Lui si fermò. Protese una mano verso di lei, poi l’abbassò di nuovo. Ma anche lei si fermò.
La guardò dritto negli occhi. «Dimmi, Kat.»
«Voglio essere sicura che la gravidanza… non so… che duri. Aspettare fino a gravidanza inoltrata prima di dirlo in giro.» Gli occhi le brillavano nel chiaro di luna. Era prossima alle lacrime.
«Piccola, è per questo che dobbiamo dirlo a tutti quanti.» Le si avvicinò e le posò una mano sul ventre. «Per proteggere quello che sta crescendo qui dentro.»
Lei si voltò dall’altra parte. La mano di lui finì sulla curva della schiena. «E poi forse avevi ragione. La mia carriera… Forse non è il momento giusto.»
Monk sospirò. «Se i bambini nascessero soltanto al momento giusto, il mondo sarebbe un luogo molto più vuoto.»
«Sei ingiusto. Non stiamo parlando della tua, di carriera.»
«Col cavolo! Credi davvero che un bambino non cambierebbe la mia vita e le mie scelte da questo momento in poi? Cambia tutto.»
«Esatto. È questo che mi spaventa di più.» Si lasciò andare contro il palmo della sua mano. Lui la cinse tra le braccia.
«Affronteremo tutto quanto assieme», sussurrò lui. «Te lo prometto.»
«Comunque preferirei non dire niente, almeno per un altro paio di giorni. Non sono nemmeno stata da un medico. Magari il test di gravidanza è sbagliato.»
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