James Rollins - L'ordine del sole nero

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IERI. Germania, 1945: in un bunker sotterraneo viene portato a termine un esperimento rivoluzionario…
OGGI. Nepal: in un remoto monastero un’ondata di follia si diffonde improvvisamente tra i monaci, che scrivono col sangue indecifrabili sequenze di rune celtiche e svastiche. Copenhagen: a un’asta di libri antichi ricompare la Bibbia appartenuta a Charles Darwin, un volume che cela la chiave di un mistero sconcertante. Sudafrica: l’ultimo segreto dei nazisti sta per riemergere dal profondo della giungla… Grayson Pierce e la Sigma Force sono di nuovo in azione.

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Gray si protese per afferrarla, ma le sue dita trovarono solo aria.

Scivolando sulle tegole, la ragazza prendeva sempre più velocità. Nel frenetico tentativo di arrestare quella corsa, ruppe altre tegole. Frammenti di coccio rimbalzavano fragorosamente sotto di lei, diventando una valanga.

Gray era disteso a pancia in giù. Non poteva fare nulla per aiutarla.

«La grondaia!» le gridò, abbandonando ogni cautela. «Attaccati alla grondaia!»

Apparentemente sorda alle sue parole, lei continuò a cercare una presa con le dita e a far saltare tegole coi piedi. Sbatté con un fianco e cominciò a rotolare, lasciandosi sfuggire un grido tremolante.

Le tegole rotte cominciarono a piovere dal bordo del tetto. Gray le sentì frantumarsi sul selciato del cortile, come una gragnola di petardi.

Poi Fiona le seguì. Ruzzolò giù dal tetto agitando convulsamente le braccia.

E svanì.

3. UKUFA

Riserva di Hluhluwe-Umfolozi,

Zululand, Sudafrica,

ore 10.20

A novemila chilometri di distanza da Copenhagen, dall’altra parte del mondo, una Jeep scoperta avanzava faticosamente su un terreno accidentato, in un’area selvaggia del Sudafrica, dove non c’erano strade.

Il caldo opprimente attanagliava già la savana e creava miraggi scintillanti. Nello specchietto retrovisore, le pianure cuocevano brillanti sotto il sole, interrotte da macchie di arbusti spinosi e cespugli isolati di salice rosso. Più avanti sorgeva una collinetta bassa, costellata di fitte acacie nodose e scheletrici alberi di monzo.

«È questo il posto, dottoressa?» chiese Khamisi Taylor, sterzando per superare il letto di un ruscello asciutto, mentre la Jeep sollevava una nuvola di polvere che sembrava una coda di gallo. Diede un’occhiata alla donna seduta accanto a lui.

La dottoressa Marcia Fairfield stava quasi in piedi al posto del passeggero, una mano stretta al bordo del parabrezza per tenersi in equilibrio. Indicò con l’altra mano. «Andiamo verso ovest, c’è un avvallamento profondo.»

Khamisi scalò le marce e scartò a destra. In quanto guardacaccia in servizio alla riserva di Hluhluwe-Umfolozi, doveva seguire il protocollo. Il bracconaggio era un reato grave, ma anche una realtà. Soprattutto nelle aree più remote del parco.

Anche la sua gente, anche i membri della tribù zulù, a volte seguivano le pratiche tradizionali. Gli toccava multare pure i vecchi amici di suo nonno. Gli anziani gli avevano dato un soprannome, un termine zulù che si traduceva più o meno come «Fat Boy». Lo dicevano senza deriderlo apertamente, ma Khamisi sapeva che sotto sotto c’era comunque una vena di disprezzo. Non lo stimavano granché, perché aveva accettato un lavoro da uomo bianco e si arricchiva alle spalle degli altri. In più era ancora una specie di estraneo da quelle parti. Il padre lo aveva portato in Australia a dodici anni, dopo la morte della madre. Aveva trascorso gran parte della sua vita nei pressi della città di Darwin, sulla costa settentrionale dell’Australia, e aveva anche fatto due anni di università nel Queensland. Era appena ritornato, a ventotto anni, dopo essersi assicurato un posto di lavoro come guardacaccia, sia grazie alla sua istruzione sia grazie ai suoi legami con le tribù locali.

Arricchirsi alle spalle degli altri.

«Non puoi andare più forte?» incalzò la sua passeggera.

La dottoressa Marcia Fairfield era un’anziana biologa di Cambridge, molto rispettata, membro del progetto originale Operation Rhino, spesso definita la Jane Goodall dei rinoceronti. A Khamisi piaceva lavorare con lei. Forse era solo perché non era pretenziosa, a cominciare dalla giacca da safari, di un kaki sbiadito, fino ai capelli grigio-argento, raccolti in una semplice coda di cavallo.

O forse era la sua passione, come in quel momento.

«Se la femmina è morta partorendo, il piccolo potrebbe essere ancora vivo. Ma per quanto ancora?» Batté un pugno sul bordo del parabrezza. «Non possiamo perdere entrambi.»

Khamisi comprendeva perfettamente la sua irritazione. Dal 1970 la popolazione di rinoceronti neri era diminuita del novantasei percento in Africa. La riserva di Hluhluwe-Umfolozi cercava di porvi rimedio, come aveva fatto per i rinoceronti bianchi. Era lo sforzo di conservazione principale del parco.

Ogni rinoceronte nero era importante.

«L’abbiamo trovata con l’elicottero solo perché ha un rilevatore impiantato nel corpo», proseguì la dottoressa Fairfield. «Ma se ha già partorito non ci sarà modo di trovare il piccolo.»

«Non pensa che resterà vicino alla madre?» chiese Khamisi. Era stato testimone di un episodio simile. Due anni prima, due cuccioli di leone erano stati ritrovati rannicchiati contro la pancia fredda della madre, abbattuta da un bracconiere sportivo.

«Sai qual è il destino degli orfani. I predatori saranno attratti dalla carcassa. Se il piccolo è ancora nei paraggi, insanguinato com’è dopo il parto…»

Khamisi annuì. Pigiò l’acceleratore, facendo sobbalzare la Jeep, su per il pendio roccioso. Sbandava di coda sulla ghiaia, ma lui andò avanti.

Superata la collina, il terreno si apriva in profonde gole solcate da ruscelli sottili. La vegetazione s’infoltiva: sicomori, trichilia emetica e xanthocercis. Era una delle poche aree umide del parco, anche una delle più remote, ben distante dalle solite piste dei cacciatori e dalle strade turistiche. Esclusivamente chi aveva un permesso poteva attraversare quella zona, sottostando a severe limitazioni: soltanto nelle ore diurne e senza poter pernottare. Il territorio si estendeva sino al confine occidentale del parco.

Khamisi scrutò l’orizzonte, mentre faceva scendere piano la Jeep dal pendio. A un chilometro e mezzo di distanza, il terreno era attraversato da un tratto di recinzione nera, alta tre metri, che divideva il parco da un’adiacente riserva privata. Spesso tali riserve condividevano i confini con un parco, offrendo ai turisti più ricchi un’esperienza più esclusiva. Ma quella non era una riserva privata normale.

Il parco di Hluhluwe-Umfolozi era stato fondato nel 1895 ed era la più antica riserva di tutta l’Africa. Quella confinante era la più antica riserva privata. Non solo, era ancora più antica del parco e apparteneva a una celebre dinastia del Sudafrica, il clan dei Waalenberg, una delle famiglie boere originarie, le cui prime generazioni risalivano al XVII secolo. La loro riserva era grande come un quarto del parco. Si diceva che pullulasse di animali selvatici. Non soltanto «i cinque grandi» — elefante, rinoceronte, leopardo, leone e bufalo cafro —, ma anche predatori e prede di ogni specie: coccodrillo del Nilo, ippopotamo, ghepardo, iena, gnu, sciacallo, giraffa, zebra, antilope d’acqua, cudù, impala, antilope reedbuck, facocero, babbuino. Si diceva che la riserva Waalenberg avesse inconsapevolmente dato protezione a un branco del raro okapi, ben prima che quel parente della giraffa fosse scoperto, nel 1901.

Ma c’erano sempre voci e storie legate alla riserva Waalenberg. Il parco era accessibile soltanto in elicottero o con un piccolo aeroplano. Le strade che un tempo vi conducevano erano state ormai riconquistate dalla natura. Gli unici visitatori, peraltro occasionali, erano importanti dignitari di ogni parte del mondo. Si diceva che Teddy Roosevelt vi fosse andato a caccia e persino che avesse modellato il sistema dei parchi nazionali degli Stati Uniti sulla riserva Waalenberg.

Khamisi avrebbe dato un occhio per trascorrervi una giornata. Ma quell’onore era riservato al capo guardacaccia di Hluhluwe. Un giro nella proprietà dei Waalenberg era uno dei vantaggi che si acquisivano rivestendo quell’incarico; e comunque richiedeva la firma di una dichiarazione di segretezza. Khamisi sperava di raggiungere quella vetta, un giorno.

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