Giorgio Faletti - Io sono Dio

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Non c’è morbosità apparente dietro le azioni del serial killer che tiene in scacco la città di New York. Non sceglie le vittime seguendo complicati percorsi mentali. Non le guarda negli occhi a una a una mentre muoiono, anche perché non avrebbe abbastanza occhi per farlo. Una giovane detective che nasconde i propri drammi personali dietro a una solida immagine e un fotoreporter con un passato discutibile da farsi perdonare sono l’unica speranza di poter fermare uno psicopatico che nemmeno rivendica le proprie azioni. Un uomo che sta compiendo una vendetta terribile per un dolore che affonda le radici in una delle più grandi tragedie americane. Un uomo che dice di essere dio.

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«Lo conosceva?»

«Abbiamo lavorato insieme da giovani. Io mi guadagnavo qualche dollaro lavorando nel tempo libero come muratore nei cantieri. Lui era di un paio d’anni più vecchio di me ed era alle dipendenze di un’impresa con la quale sono stato un’intera estate.»

«Ricorda come si chiamava?»

«Oh, era quella di Ben Shepard. Aveva il deposito verso il North Folk Village. Matt era come un figlio per Ben e abitava da lui, in una stanza nel capannone.»

Blein indicò con l’indice una delle due fotografie.

«Con Walzer, quel bizzarro gatto a tre zampe.»

Senza troppe speranze, Russell gli rivolse la domanda successiva.

«Questo Ben Shepard è ancora vivo?»

La risposta dello sceriffo gli arrivò inattesa e appena velata da una lontana nota d’invidia.

«Più che mai. Quel vecchio animale ha quasi ottantacinque anni ma è dritto come un fuso e scoppia di salute. E sono certo che ancora scopa come un riccio.»

Russell attese che il coro di angeli che sentiva in testa arrivasse alla fine della sua resa di gloria.

«Dove posso trovarlo?»

«Ha una casa a Slate Mills, poco lontano dal suo vecchio magazzino. Le scrivo l’indirizzo.»

Blein prese carta e penna e scarabocchiò qualche parola su un foglio. Lo appoggiò sopra le foto. Russell prese quel gesto come un buon augurio.

Quelle immagini erano state l’inizio di tutto. Sperava che quello segnato sul foglio fosse l’indirizzo della fine.

Russell sentiva l’impazienza frullargli nello stomaco come un volo di farfalle.

«Posso andarmene?»

Blein fece con le mani un gesto che significava libertà.

«Certo. Il suo legale e la cauzione che ha pagato dicono di sì.»

«La ringrazio di cuore, sceriffo. Nonostante le circostanze è stato un piacere.»

Woodstone si alzò dalla sedia. Lui e l’uomo dietro la scrivania si strinsero la mano. Di sicuro la loro era una frequentazione abituale, visti i rispettivi lavori in una piccola città come Chillicothe. Intanto Russell era già arrivato alla porta e la stava aprendo.

Lo bloccò la voce dello sceriffo.

«Signor Wade?»

Si girò e si trovò con la mano sulla maniglia davanti agli occhi chiari dello sceriffo.

«Sì?»

«Visto che mi ha sottoposto a un interrogatorio, adesso posso fargliene una io di domanda?»

«Dica pure.»

«Perché si interessa a Matt Corey?»

Russell mentì senza pudore cercando con tutte le sue forze di non farlo trapelare.

«Fonti sicure mi dicono che questo ragazzo è stato protagonista di un atto di eroismo che non gli è stato riconosciuto. Sto facendo un servizio per rendere noto il suo sacrificio e quello di altri soldati ignorati come lui.»

Non si chiese se il suo tono patriottico avesse tratto in inganno il maturo rappresentante della legge. Nella sua testa era già seduto davanti a un vecchio costruttore di nome Ben Shepard. Ammesso che quel vecchio animale, come l’aveva definito Blein, accettasse di parlargli. Russell ricordava bene con quanta difficoltà fosse riuscito a farsi ricevere da quell’altro vecchio animale che era suo padre.

Seguì l’avvocato Woodstone all’aperto, attraversando la parte dell’ufficio aperta al pubblico, dove una ragazza in divisa stava dietro al bancone e un altro agente era seduto a una scrivania a compilare documenti. Appena fuori, si ritrovò in America. Chillicothe ne era la piena essenza, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. Auto e persone si muovevano fra case, insegne, cartelli stradali, divieti, semafori. Tutto quello che un Paese aveva costruito, vincendo e perdendo guerre, nella luce della gloria o nella penombra dell’imbarazzo. In ogni caso pagandone il prezzo sulla sua pelle.

Russell vide che parcheggiata dall’altra parte della strada c’era la Mercedes che aveva preso a noleggio. L’avvocato seguì il suo sguardo e indicò la macchina con un gesto.

«Il signor Balling ha mandato una persona a prendere l’auto con il secondo mazzo di chiavi. Ho dato disposizioni perché gliela facessero trovare qui.»

«Ottimo lavoro. La ringrazio signor Woodstone. Riferirò alla persona che l’ha contattata.»

«È stato suo padre in persona.»

Russell non riuscì a trattenere la sorpresa.

«Mio padre?»

«Sì. All’inizio credevo in uno scherzo, ma quando ho sentito che lei era stato arrestato…»

Il legale si bloccò prima di terminare la gaffe. Stava dicendo che aveva ritenuto più convincente il fatto che Russell Wade fosse in cella per eccesso di velocità e guida in stato di ebbrezza piuttosto che la voce di suo padre al telefono che dichiarava il proprio nome.

Russell nascose il desiderio di sorridere dietro una prudente grattata di naso.

«Le è sembrato alterato, mio padre?»

L’avvocato fece un gesto con le spalle per cancellare il proprio disagio.

«È questo che mi ha tratto in inganno. Quando ho sentito la sua voce al telefono, ho avuto l’impressione che stesse trattenendosi a fatica dal ridere.»

Russell si concesse quel sorriso.

Scoprire dopo tutto quel tempo che Jenson Wade aveva il senso dell’umorismo era quanto meno bizzarro. Si chiese quante cose non sapeva di suo padre. Subito dopo si rispose con un accenno di amarezza che erano perlomeno quante quelle che suo padre non sapeva di lui.

CAPITOLO 33

Russell fermò la macchina davanti alla casa e spense il motore.

Rimase seduto qualche istante in quel paesaggio di campagna, sotto un cielo che non aveva voglia di sorridere. Aveva ricusato con gentilezza e con fermezza l’offerta dell’avvocato Woodstone che si era proposto per accompagnarlo, millantando una conoscenza ultradecennale con Ben Shepard. Vero o no che fosse, mentre si offriva, gli occhi brillavano di curiosità. Russell aveva capito il motivo. Quella era una piccola città ed essere in possesso di informazioni fresche poteva far diventare chiunque il centro dell’attenzione al barbecue della domenica. Già aver difeso il figlio del proprietario della Wade Enterprise era un motivo sufficiente per farlo parlare un’ora. Non voleva infliggere ai suoi commensali la pena di ascoltare le sue chiacchiere per almeno altre due.

La casa che stava osservando era in pietra e legno, aveva larghe vetrate e dava l’impressione della solidità. Di certo il suo proprietario se l’era costruita secondo le sue necessità e secondo i suoi criteri estetici, che erano ammirevoli. Era a due piani, piazzata sulla sommità di un cucuzzolo. Sul fronte aveva un portico sopraelevato al quale si accedeva salendo alcuni gradini. Davanti c’erano un prato e un giardino ben curati e nella parte posteriore, dal punto in cui era, Russell riusciva a intravedere un orto. Un centinaio di iarde alla sua destra c’era una strada asfaltata che raggiungeva il retro della casa, dove di sicuro era posizionato il garage per le auto.

Scese dalla macchina e si avvicinò allo steccato che circondava la proprietà. Di fianco all’ingresso pedonale una cassetta delle lettere dipinta di verde riportava il nome Shepard a lettere bianche. Il cancelletto non era chiuso e non c’erano cartelli che avvertivano della presenza di cani all’interno. Russell lo aprì e si inoltrò per il sentiero tracciato con lastre di pietra incastonate fra l’erba. Era arrivato a pochi passi dalla casa, quando alla sua sinistra una persona sbucò da dietro l’angolo. Era un uomo di statura superiore alla media, dal fisico ancora pieno di vigore, con un viso rugoso e abbronzato e occhi azzurri sorprendentemente giovani. La tenuta da lavoro e il cesto di verdura che teneva in una mano indicavano che veniva dall’orto. Prima non lo aveva visto perché era coperto dalla casa.

Quando si accorse della sua presenza si arrestò. La sua voce era tranquilla e ferma.

«Desidera?»

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