Jeff Lindsay - La mano sinistra di dio

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La mano sinistra di dio: краткое содержание, описание и аннотация

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Il collaboratore della polizia di Miami Dexter Morgan, esperto nell’esame delle macchie di sangue sulla scena del delitto, è un bell’uomo dotato di ironia e senso dell’umorismo. A prima vista potrebbe sembrare il fidanzato ideale per ogni brava ragazza. Eppure non lo è. Sotto questo aspetto esteriore cova, infatti, un istinto incontenibile a uccidere, per poi smembrare e dissanguare i cadaveri. Al contempo investigatore e serial chiller, Dexter ha la peculiare caratteristica di indirizzare la sua furia omicida esclusivamente su persone che se “lo meritano”.
Anche pubblicato come “Dexter il vendicatore”.

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L’eco di quella domanda rimbalzò tra le pareti del container fino quasi a disintegrarmi il cervello.

27

Che cosa ricordi di prima? aveva chiesto Harry.

Niente, papà.

Tranne…

C’erano immagini in fondo al mio cervello. Fantasie? Sogni? Ricordi? Visioni chiarissime, qualunque cosa fossero. Ed erano… di questo luogo? No, impossibile. Il container non poteva trovarsi lì da molto ed ero certo di non esserci mai stato prima. Ma lo spazio angusto, l’aria fresca che fluiva dal compressore, la luce tenue… tutto concorreva all’impressione di essere tornato a casa. Non poteva trattarsi dello stesso container, ma le immagini erano così vivide, così simili, così perfette, a parte…

Battei le palpebre. Un fotogramma mi aleggiava davanti agli occhi. Li chiusi.

E l’interno di un altro container mi apparve con estrema chiarezza. Non c’erano scatoloni, ma c’era… qualcosa. Vicino alla… mamma? Distinguevo il suo volto: si stava nascondendo dietro alle… cose, se ne vedeva lo sguardo immobile, vitreo, inerte. Dapprima mi venne da ridere: la mamma si era nascosta così bene. Non vedevo il resto, solo la faccia. Doveva avere scavato un buco nel pavimento. Si era nascosta in un buco e ora stava sbirciando fuori, ma perché non mi diceva niente, ora che l’avevo trovata? Perché non batteva ciglio? Nemmeno quando la chiamai ad alta voce rispose, o si mosse. Mi guardava e basta. E senza la mamma, io ero da solo.

Ma no, non proprio da solo. Mi voltai e il ricordo tornò: non ero da solo, c’era qualcuno con me. Mi sentii confuso, perché ero io, ma in realtà era qualcun altro che mi assomigliava. Tutti e due mi assomigliavamo.

Ma che cosa ci facevamo in quella scatola? E perché la mamma non si muoveva? Ci avrebbe aiutati. Eravamo seduti in una profonda pozzanghera di… di… La mamma doveva muoversi, doveva tirarci fuori da questo… questo…

«Sangue?» mormorai.

«Te ne ricordi», disse lui, alle mie spalle. «Sono contento.»

Riaprii gli occhi. La mia testa pulsava di dolore. Potevo vedere l’altro spazio sovrapposto a questo. E in quest’altro spazio il piccolo Dexter era seduto proprio lì. Potevo metterci i piedi sopra. E l’altro me stesso era seduto al mio fianco, ma non ero io, naturalmente. Era un altro qualcuno, un qualcuno che conoscevo quanto me, un qualcuno chiamato…

«Biney?» dissi, esitante. Il suono era lo stesso, ma il nome non sembrava giusto.

Lui annuì, felice. «Così mi chiamavi. All’epoca avevi problemi a dire ‘Brian’. Mi chiamavi ‘Biney’.» Batté una mano sul dorso della mia. «Molto bene. È bello avere un soprannome.» Fece una pausa. Sorrideva, senza staccare gli occhi dalla mia faccia. «Fratellino.»

Mi sedetti sul pavimento. Lui si sedette accanto.

«Che cosa…» fu tutto quello che riuscii a dire.

«Fratello. Gemelli irlandesi, come si suol dire: sei nato solo un anno dopo di me. La mamma era un po’ sbadata.» Il suo volto si distorse in un sorriso divertito. «In molti sensi.»

Cercai di deglutire. Non funzionò.

Lui, Brian, mio fratello, proseguì: «In parte devo tirare a indovinare. Ma ho avuto parecchio tempo libero e, quando mi hanno incoraggiato a imparare qualcosa di utile, l’ho fatto. Sono diventato bravo a scoprire le cose via computer. Ho trovato i vecchi rapporti della polizia. Mammina cara frequentava cattive compagnie. Nel business delle importazioni, proprio come me. Certo, i loro prodotti erano più scottanti». Aprì uno scatolone e ne prese una manciata di cappellini con sopra una pantera ritratta nell’atto di balzare. «La mia merce è fatta a Taiwan, la loro veniva dalla Colombia. Posso ipotizzare che la mamma e qualche suo amico abbiano cercato di sviluppare un progetto indipendente con alcuni prodotti che non erano esattamente di loro proprietà. I soci in affari non gradirono il suo spirito imprenditoriale e decisero di scoraggiarla.»

Rimise accuratamente a posto i cappellini. Sentii i suoi occhi su di me, ma non riuscii a girarmi. Poi lui guardò altrove.

«Ci hanno trovati qui», disse. «Proprio qui.» Appoggiò la mano sul pavimento, nel punto in cui tanto tempo prima l’altro piccolo non-me si era seduto nell’altra scatola. «Due giorni e mezzo più tardi, incollati al sangue secco sul pavimento, uno strato di qualche centimetro.» La sua voce era ruvida, orribile. Pronunciava la parola terribile, sangue , come avrei fatto io, con disprezzo e disgusto profondi. «Stando ai rapporti di polizia, dovevano esserci alcuni uomini qui dentro. Probabilmente tre o quattro. Uno o due potevano essere nostro padre. Naturalmente la motosega rese molto difficile l’identificazione. Ma i poliziotti sono piuttosto sicuri che di donna ce ne fosse una sola. La nostra cara vecchia mamma. Tu avevi tre anni, io quattro.»

«Ma…» dissi io. E non mi venne fuori altro.

«Proprio così», mi disse Brian. «E non è stato facile trovarti. In Florida fanno un tale casino con i registri delle adozioni. Ma ti ho trovato, fratellino, non è vero?» Batté nuovamente la sua mano sulla mia, un gesto strano, insolito per me. Forse perché non avevo mai visto prima mio fratello. Chissà, battere la mano era una pratica che avrei dovuto coltivare con mio fratello. O con Deborah. Mi accorsi con una certa preoccupazione che mi ero completamente scordato di lei.

Alzai lo sguardo: Deborah era a un paio di metri da me. Non si era mossa, con tutto quel nastro adesivo.

«Sta bene», garantì mio fratello. «Non volevo cominciare senza di te.»

Potrebbe sembrare un po’ strana, per essere la mia prima domanda coerente, ma gli chiesi: «Come facevi a sapere che mi sarebbe piaciuto?» Una frase che poteva far pensare che effettivamente mi sarebbe piaciuto. Preferii non guardare Deborah. Certo che no. Eppure… ecco il mio fratello maggiore, che voleva giocare con me. Una rara opportunità. Più forte dei legami di famiglia, molto più forte, era il fatto che fossimo uguali. «Non potevi saperlo per certo», dissi, più dubbioso di quanto avrei ritenuto possibile.

«Non lo sapevo. Ma pensavo che ci fossero buone probabilità. A tutti e due è capitata la stessa cosa.» Il suo sorriso si allargò, mentre sollevava il dito medio nell’aria. «L’Evento Traumatico… conosci questo termine? Ti sei mai documentato sui mostri come noi?»

«Sì», risposi io. «E anche Harry, il mio padre adottivo. Ma non mi ha mai detto che cosa fosse accaduto.»

Brian indicò con un ampio gesto della mano l’interno della scatola. « Questo è accaduto, fratellino. La motosega, i pezzi di cadavere che volavano intorno, il sangue…» Lo disse di nuovo con la stessa enfasi. «Due giorni e mezzo seduti in una pozza di sangue. C’è da stupirsi che ne siamo usciti vivi, non credi? C’è quasi da mettersi a credere in Dio.» Gli lampeggiarono gli occhi e, per una ragione o per l’altra, Deborah si agitò ed emise un suono soffocato.

La ignorai.

«Pensavano che tu fossi abbastanza piccolo da guarire», riprese Brian. «Ma entrambi avevamo subito un classico Evento Traumatico. Tutta la letteratura in merito è concorde. Ha reso me quello che sono e ho pensato che avesse fatto lo stesso con te.»

«Infatti», ammisi. «Proprio lo stesso.»

«Non è magnifico? Legami di famiglia.»

Lo guardai. Mio fratello. Quella parola aliena. Se avessi cercato di pronunciarla ad alta voce, di sicuro avrei balbettato. Era impossibile da credere, ma ancora più assurdo da negare. Ci piacevano le stesse cose. Aveva persino il mio senso dell’umorismo ai limiti del cattivo gusto.

«Solo che io…» Scossi la testa.

«Sì. Ci vuole un minutino per abituarsi all’idea che siamo in due, non credi?»

«Forse un po’ di più. Non so se io…»

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