Mentre Esteban barcollava fuori dal portone, verso la luce del giorno, Deborah tornò dentro di corsa, con la pistola spianata. «Che succede?» domandò.
Io piegai la testa da un lato, cogliendo l’ultima eco di una risata secca, tra i grugniti di orrore che ancora mi risuonavano nelle orecchie. Ora, finalmente, capivo. «Credo che Esteban abbia trovato qualcosa.»
La politica all’interno della polizia, come cercavo faticosamente di far capire a Deborah, è una creatura viscida e tentacolare. E quando si mettono insieme due Dipartimenti cui non potrebbe fregare di meno l’uno dell’altro, Miami-Dade e Broward, le operazioni congiunte hanno la tendenza a procedere con molta lentezza, seguendo il codice alla lettera, pestandosi i piedi a vicenda e scambiandosi scuse, velate minacce e insulti. Uno spettacolo divertente, come potete immaginare, che tuttavia rallentò le procedure appena più del dovuto. Di conseguenza, fu solo dopo molte ore dal terrificante assolo di yodel di Esteban che si appianarono tutte le controversie giurisdizionali e la nostra squadra cominciò effettivamente a esaminare l’allegra sorpresina che ci aspettava dietro la porta del ripostiglio.
Deborah trascorse buona parte di quel tempo in un angolo, sforzandosi di dissimulare la propria impazienza. Non ci riusciva benissimo.
Intanto era arrivato il capitano Matthews, con LaGuerta al seguito. Avevano stretto le mani alle loro controparti di Broward, il capitano Moon e il detective McClellan, dando inizio a una discussione solo in apparenza cortese, che si può ridurre in questi termini: Matthews era ragionevolmente certo che il ritrovamento di sei braccia e sei gambe a Broward facesse parte dell’indagine del suo Dipartimento sulle tre teste scoperte a Miami-Dade. Affermava, in termini fin troppo amichevoli e semplicistici, che gli sembrava alquanto improbabile che si potessero trovare tre teste senza corpo da una parte e tre corpi senza testa, completamente diversi, dall’altra.
Moon e McClellan, con logica altrettanto inoppugnabile, obiettavano che a Miami di teste se ne trovavano di continuo, mentre a Broward capitava meno di frequente, pertanto loro prendevano il caso con maggiore serietà. D’altra parte non c’era modo di sapere se corpi e teste corrispondessero, finché non si fossero svolti i controlli preliminari, che ovviamente spettavano a loro, dato che si trovavano nella giurisdizione di Broward. Naturalmente non avrebbero esitato a condividere con i colleghi di Miami-Dade tutti i risultati dei loro esami.
Ma, comprensibilmente, tutto ciò era inaccettabile per Matthews, il quale spiegò, paziente, che i colleghi di Broward non sapevano che cosa cercare e avrebbero potuto lasciarsi sfuggire qualcosa o distruggere un indizio fondamentale. Questo, beninteso, non per incompetenza o stupidità: Matthews era sicuro che i colleghi di Broward fossero perfettamente competenti, tutto sommato.
Moon non aveva accolto le parole di Matthews con adeguato spirito di collaborazione e aveva osservato, vagamente animoso, che questo implicava che il suo Dipartimento fosse composto da un branco di imbecilli di seconda categoria. A questo punto il capitano Matthews si era riscaldato, tanto da rispondere con estrema cortesia: «Oh, no, non certo di seconda categoria». Sono sicuro che sarebbe finita a cazzotti, se il gentiluomo della FDLE non si fosse presentato ad arbitrare lo scontro.
La FDLE è una specie di FBI locale, con giurisdizione valida in ogni momento e in ogni punto dello Stato. A differenza dei Federali, i suoi agenti sono rispettati dalla maggior parte dei poliziotti locali. L’agente in questione era un uomo di altezza e corporatura medie, con la testa rasata e la barba corta. A me non pareva un individuo straordinario, ma quando si mise tra i due capitani di polizia, entrambi più massicci di lui, riuscì all’istante a farli tacere e a indurli a fare un passo indietro. In pochi minuti appianò le divergenze e organizzò le indagini, riportando all’ordine la scena dell’omicidio plurimo.
L’uomo della FDLE stabilì che l’indagine spettava a Miami-Dade, a meno che i campioni di tessuto non dimostrassero una mancanza di relazione tra corpi e teste. In termini pratici e immediati, ciò significava che il capitano Matthews sarebbe stato il primo a farsi fotografare dalla folla di reporter già assiepati fuori dall’Arena.
Arrivò Angel Nessuna Parentela che si mise al lavoro. Io non sapevo bene quali conclusioni tirare, e non mi riferisco al conflitto giurisdizionale. No, a preoccuparmi era l’evento in sé. Non era solo la questione degli omicidi e della distribuzione dei pezzi di carne, già di per sé inquietante. Ma, prima che arrivassero le truppe (non mi potete biasimare, vero?), ero riuscito a sbirciare nel ripostiglio degli orrori. Volevo esaminare i resti del carnaio e tentare di capire perché il mio caro e sconosciuto collega avesse scelto di lasciarli proprio lì. Solo un’occhiata rapida, vi assicuro.
Perciò, dopo che Esteban era uscito di scena grugnendo come un maiale cui fosse andato di traverso un pompelmo, ero andato a curiosare nel ripostiglio, per vedere che cosa avesse scatenato la sua incontrollabile reazione. Stavolta i resti non erano stati meticolosamente incartati nel cellophan. Al contrario, erano stati disposti in quattro gruppi sul pavimento. E avevo scoperto qualcosa di meraviglioso.
Una gamba era stata distesa lungo la parete di sinistra del ripostiglio: pallida, esangue, bianco-azzurrognola, con una catenina d’oro alla caviglia cui era agganciato un pendaglietto a forma di cuore. Davvero delizioso, senza la minima traccia di sangue. Un lavoro di rara eleganza. Due braccia scure, parimenti ben tagliate, erano state piegate in corrispondenza del gomito e sistemate accanto alla gamba. I gomiti erano rivolti verso l’esterno. Alla loro destra, gli arti rimanenti erano stati piegati alle giunture e collocati quasi a cerchio.
Mi ci era voluto un momento. Avevo battuto le palpebre e d’un tratto l’immagine era andata a fuoco. Avevo dovuto fare uno sforzo per non mettermi a ridacchiare come la scolaretta cui Deborah mi aveva accusato di assomigliare. Perché l’assassino aveva disposto braccia e gambe in modo da formare tre lettere, che a loro volta componevano una singola parola:
BOO!
I tre busti erano stati sistemati sotto la parola, formando un quarto di cerchio, creando l’effetto di un grazioso sorriso da zucca di Halloween.
Che giocherellone.
Ma, per quanto ammirassi lo spirito dello scherzo, non potevo fare a meno di domandarmi perché l’assassino avesse scelto di disporre qui i resti dei cadaveri, in un ripostiglio anziché fuori sul ghiaccio, dove si sarebbe garantito l’apprezzamento di un pubblico più vasto. D’accordo, come ripostiglio era spazioso, ma c’era spazio appena sufficiente per i resti. Dunque, perché?
Mentre mi ponevo questo interrogativo, il portone dell’Arena si era spalancato rumorosamente, segnalando senza dubbio l’arrivo della prima squadra. L’apertura del portone aveva creato una corrente d’aria, che spazzando il ghiaccio mi era giunta gelida sulla schiena…
L’aria fredda mi percorse la spina dorsale, subito contrastata da una corrente calda nella direzione opposta. Scese con dita leggere fino al fondo oscuro della mia coscienza, e qualcosa cambiò nell’abisso della notte senza luna. Dai meandri del mio cervello di lucertola sentii il Passeggero Oscuro che esprimeva approvazione per qualcosa che non riuscivo a cogliere, ma che doveva riguardare la necessità primaria di aria fresca, le pareti che si richiudevano e un senso crescente di…
Perfezione. Nessun dubbio. Qualcosa qui era assolutamente perfetto, tanto da far sentire il mio oscuro autostoppista compiaciuto, emozionato e soddisfatto. E su tutto aleggiava l’impressione che tutto questo mi fosse molto familiare. Non ci capivo nulla, ma era così. E prima che potessi approfondire l’esplorazione, un ometto basso in uniforme blu mi aveva invitato a farmi da parte, tenendo le mani bene in vista. La pistola che mi puntava addosso era molto convincente. Dal momento che in faccia aveva un unico, lungo sopracciglio ed era privo di fronte, avevo deciso che sarebbe stato bene assecondarlo. Aveva l’aspetto tipico del bruto che potrebbe sparare a un innocente, oppure a me. Mi ero allontanato obbediente dal ripostiglio.
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