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Andrea Camilleri: La prima indagine di Montalbano

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Andrea Camilleri La prima indagine di Montalbano

La prima indagine di Montalbano: краткое содержание, описание и аннотация

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Del commissario Salvo Montalbano credevamo ormai di sapere tutto: di conoscerne vita, morte e miracoli, i luoghi, i gusti, le compagnie… Ma il suo creatore, Camilleri, riserva ai suoi lettori ancora tante sorprese. Nei tre racconti di questo volume presenta un giovanissimo poliziotto, all’inizio della carriera, che intreccia una relazione non con la ben nota Livia, ma con una certa Mery; e il teatro delle sue indagini non è la solita Vigàta, ma uno sperduto paesino di montagna della Sicilia più segreta dal buffo nome di Mascalippa… Tra misteriose uccisioni di animali, ragazze troppo silenziose e troppo intriganti e il finto rapimento di una bambina, quello che risulta sempre familiare è l’incorruttibile carattere di Montalbano, con qualche intemperanza giovanile in più, ma già riconoscibile come uno dei più umani e amati protagonisti della narrativa italiana contemporanea.

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A sentire quel nome, Zito fece una smorfia.

«Che c’è?»

«Mah, proprio aieri un mio amico mi ha contato che è andato a trovarlo, ma Alcide non gli ha voluto aprire, gli ha parlato attraverso la porta.»

«E perché?»

«Gli ha detto che è in fin di vita epperciò non ha tempo da perdere. Quel poco sciato che gli resta dice che gli è necessario per permettergli di respirare per i giorni che mancano alla fine.»

«È malato?»

A Montalbano i moribondi gli facevano scanto.

«Va’ a sapìri. Certo che gli anni suoi ce l’ha. Deve essere più che novantino.»

«Tu provaci lo stesso, fammi questo favore.»

Verso la mezza del jorno appresso, non avendo avuto notizie da Zito, addecise di telefonargli.

«Nicolò, Montalbano sono. Te la scordasti quella prighera che ti feci aieri a sira?»

Nicolò Zito parse muzzicato da una vespa.

«Me la scordai?! Una matina intera sto pirdendo! Non lo sai che Alcide non ha telefono e che bisogna mandare qualcuno a parlargli?»

«Embè?»

«Come, embè? Solo un quarto d’ora fa ho trovato a Gallotta un volontario. Aspetto risposta.»

La risposta arrivò doppo una mezzorata. Alcide Maraventano era disposto a ricevere Montalbano. Ma la visita doviva essere breve. E inoltri il commissario doviva andarci da solo. In caso contrario la porta di casa non sarebbe stata aperta.

L’abitazione di Alcide Maraventano era come se la ricordava, le persiane scardinate, l’intonaco caduto a pezzi, le finestri coi vetri rotti sostituiti da cartoni e assi di legno, il cancello di ferro mezzo sdirrupato.

Solo quello che una volta era l’ammasso informe del giardino del parrino (o forse no) era ora addivintato una specie di foresta equatoriale. Montalbano rimpianse di non avere portato con sé un machete. Si districò tra i rami e i rovi, si fece uno strappo nella giacchetta e santiando arrivò davanti alla porta che era chiusa. Tuppiò col pugno. Nisciuna risposta. Allura Montalbano rituppiò con due càvuci potenti.

«Chi è?» spiò una vocé che pariva viniri dall’oltritomba.

«Montalbano sono.»

Si sentì un curioso rumore come di ferro contro ferro.

«Spinga, entri e richiuda.»

Il chiavistello era azionato da un filo metallico che, tirato da qualche parte all’interno della casa, lo isava.

Trasì nello stesso cammarone dell’altra volta, accuposo di libri messi dovunque, a pile fino al soffitto, per terra, sui mobili, sulle seggie. Il parrino (o forse no) era assittato al suo solito posto darrè un tavolo traballante, in bocca tiniva un termometro gigantesco.

«Mi sto misurando la febbre» disse Alcide Maraventano.

«E che termometro è?» non potè tenersi dallo spiare il commissario strammato.

«È un termometro da mosto. Poi faccio le proporzioni» disse il parrino (o forse no) levandolo per un momento dalla bocca e rimettendolo subito a posto.

sei

«Non si sente bene?» spiò ancora il commissario.

«Dice per il termometro? No, quello è un controllino che faccio di tanto in tanto.»

Arrispose sempre con il termometro in bocca e quindi gli venne fora una parlata da ’mbriaco.

«Mi fa piacere. Siccome avevo saputo che…»

«Che ero in fin di vita? Ho detto così a un cretino che ha capito male. Però ho novantaquattro anni passati, amico mio. E quindi non è poi tanto sbagliato dire che sono in fin di vita. Solo che ormai per fin di vita intendiamo tutti una sorta di stadio agonico. Roba da chiamare il prete per l’ultima, estrema confessione.

Che c’era da ribattere? Niente, ragionamento perfetto. Maraventano si levò finalmente il termometro, lo taliò, lo posò sul tavolo, scuotì la testa, pigliò uno dei tri biberon pieni che erano davanti a lui e principiò a ciucciare.

«Non credo che lei sia venuto a trovarmi per informarsi del mio stato di salute. Le posso essere utile in qualcosa?»

E Montalbano gli contò tutto di filato, dal pisci all’elefante. Gli parlò macari del suo scanto per la prossima mossa dell’omo che si credeva Dio o che pinsava d’essiri in stritti rapporti con lui.

Alcide Maraventano lo stette a sèntiri senza interrompere mai. Solamente alla fine spiò:

«Ha con sé i bigliettini?»

Il commissario naturalmente se li era portati appresso e glieli pruì. Maraventano fece tanticchia di largo sul tavolo, li dispose in fila, li liggì, li riliggì, e doppo taliò a Montalbano e si mise a ridacchiare.

“Che ci trova di tanto divertente?” si spiò strammato il commissario.

E dato che l’altro non si decideva a parlare, lo provocò.

«Difficile capirci qualcosa, eh?»

«Difficile?» fece Maraventano levandosi dalla bocca il biberon oramà vacante. «Ma è elementare, amico mio, come direbbe Sherlock Holmes al dottor Watson! Le è mai capitato di leggere uno dei Sifre ha-’iyyun

«M’è mancata l’occasione» fece imperturbabile Montalbano. «Che sono?»

«Sono i Libri della Contemplazione , probabilmente scritti attorno alla metà del Duecento.»

Il commissario allargò le braccia in un gesto sconsolato. Non solo non li aviva liggiuti, ma non ne aviva mai sintuto parlare.

«Ma certamente avrà letto qualche pagina di Mosè Cordovero» disse, concessivo, Maraventano.

E cu era? Vai a sapìri pirchì, quel nome e quel cognome gli sonarono veneziani.

«Un doge?» azzardò all’urbigna.

«Non dica sciocchezze» replicò, severo, Maraventano.

Montalbano principiò a sentirsi impacciato e sudatizzo. Era tornato di colpo a essere il mediocre studente ch’era sempre stato, dalle elementari all’università. Non raprì più bocca, calò la testa e si mise a disegnare circoli sul pruvolazzo del tavolo dol dito indice.

“Stavolta sono fottuto. Questo qui mi boccia” gli venne di pinsare.

«Via, via» fece conciliante Alcide Maraventano, «non mi dirà che il nome di Isacco Luria le è del tutto ignoto!»

Del tutto, professore, del tutto. E sulla punta della lingua gli assumò una risposta classica:

“Nel mio libro non c’era.”

«Sì» invece arriniscì a dire con la voce di un galletto al suo primo chicchirichì, «ma in verità ora come ora non…»

Alcide Maraventano lo taliò, sospirò, tistiò, principiò a susìrisi dalla seggia. Si susì per un tempo che al commissario parse interminabile, tanto l’omo era longo. Alla fine, doppo essersi snodato come un sirpente, quella specie di asta che era un corpo e che terminava con una crozza cimiante si mise in camìno.

«Vado a pigliare un libro di sopra e torno» disse.

Il commissario lo sentì acchianare sulla scala perché a ogni graduni emetteva un “ah” doloroso. Quasi s’affruntò d’aver dovuto sottoporre il poviro vecchio a quella faticata, ma Alcide Maraventano era l’unico a potergli spiegare qualichi cosa di un problema che pariva non aviri soluzione. Gli venne gana di addrumarsi una sigaretta, ma si scantò a farlo: con tutta quella carta in giro, sicca, gialluta, centenaria, a provocare un incendio bastava un nenti. Passarono una vintina di minuti. Per quanto appizzasse le orecchie, non sintiva nessuna rumorata viniri dal piano superiore. Forse il vecchio era andato a cercare il libro in una cammara che non era proprio di supra a quella dove lui si trovava.

Tutto ’nzèmmula ci fu un boato spavintoso, un’esplosione terrificante, la casa intera traballiò, qualche pezzo d’intonaco cadì dal soffitto. Una botta di tirrimoto? Una bombola del gas ch’era scoppiata? Montalbano, satato dalla seggia che a momenti sfondava il soffitto con una testata, vitti calare sulla porta che dava nella scala una specie di sipario bianco. Doviva essiri la polvere, il pruvolazzo dei calcinacci caduti al piano di supra. Forse la scala era pericolante. Ma il commissario si sentì in dovere di principiare ad acchianarla, cautamente, per andare in soccorso del parrino (o forse no). Il pruvolazzo denso gli trasì nei polmoni, cominciò a farlo tossire. L’occhi principiarono a lagrimigliargli. Fu allura che notò un certo movimento sul pianerottolo in cima alla scala.

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