Yrsa Sigurðardóttir - Il cerchio del male

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Università d’Islanda. In un mattino di fine ottobre, il silenzio del dipartimento di Storia viene lacerato da un grido. Aprendo la porta di uno stanzino, il direttore si vede crollare addosso un cadavere senza occhi e con una runa magica incisa sul petto. Il corpo è quello di Harald Guntlieb, enigmatico dottorando tedesco con la passione per il cupo periodo della caccia alle streghe. Ma chi era veramente Harald? Per la polizia, che chiude frettolosamente il caso con l’arresto di un piccolo spacciatore, era solo uno stravagante ragazzo ricco in vena di emozioni forti, dalle perversioni sessuali alle modificazioni corporee estreme. Per Matthew Reich, inviato in Islanda dalla famiglia Guntlieb per riaprire le indagini, era uno dei massimi esperti europei di magia nera, grazie a un’inestimabile quanto agghiacciante collezione ereditata dal nonno. Per Thora Gudmundsdottir, l’avvocatessa incaricata di assistere l’affascinante Matthew, era solo un figlio non amato, incamminatosi fra le tenebre per inseguire un miraggio. Non resta dunque che ripercorrere i passi del giovane in un folle labirinto sulle tracce di un libro maledetto, fra antichi sortilegi e moderne rivalità accademiche, per svelare un mistero sempre più tetro, complesso e intrigante…

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Gunnar andò a grandi falcate dietro la sua scrivania. «Pensavo non avessimo più niente da dirci.» Si sedette e li guardò con occhi torvi. «Non sono certo di buon umore in questo momento. Maria non è stata affatto contenta di ricevere la lettera in quello stato.»

«Non intendiamo disturbarla a lungo», disse Matthew. «Ma sono emersi dei dettagli che vorremmo chiarire con lei.»

«Ancora?» domandò Gunnar scortesemente. «Io invece credo di non aver altro da aggiungere su questa storia.»

«Sono solo poche domande», intervenne Thora.

Gunnar reclinò il capo all’indietro e si mise a fissare il soffitto. Prima di guardarli di nuovo in volto, emise un profondo sospiro. «D’accordo. Che cosa volete sapere questa volta?»

Thora guardò prima Matthew, poi il professore. «La croce antica di cui si parla nella lettera indirizzata ad Arni Magnusson non potrebbe essere quella scolpita dentro la grotta dei monaci irlandesi vicino a Hella? Lei dovrebbe essere la persona più esperta di questo periodo storico, non è vero? La croce doveva essere stata scolpita prima dell’inizio della colonizzazione vera e propria, no?»

Gunnar diventò rosso in volto. «Come faccio a saperlo io?» gridò senza pensarci.

Thora lo guardò con espressione meravigliata. «Io credo invece che lei sappia tutto quanto. Quella foto non mostra forse lei e il contadino che possiede il terreno in cui si trovano le grotte?» gli chiese indicando la fotografia incorniciata appesa alla parete. «Le grotte degli eremiti?»

«Sì, ha ragione. Ma non capisco il nesso…» disse Gunnar. «Mi sembra che mi facciate delle strane domande e non comprendo questa vostra improvvisa passione per la storia. Se volete iscrivervi alla nostra facoltà, i moduli si trovano in segreteria.»

Thora non si perse d’animo. «Io invece credo che lei si sia già reso conto perfettamente del nesso. Lei si trovava alla riunione dell’Erasmus, che si era protratta fino a mezzanotte, quando Harald venne assassinato.» Visto che Gunnar non rispondeva, l’avvocatessa aggiunse: «Non può essere che lei abbia incontrato Harald quella notte?»

«Che razza di stupidaggini sta dicendo? Ho già detto agli investigatori tutto quello che sapevo su quell’omicidio. Ho solamente avuto la sfortuna di incappare nel cadavere, ma per il resto non c’entro nulla. Anzi, ora vi prego di andarvene.» Il professore indicò loro la porta con mano tremante.

«Sono sicura che la polizia riesaminerà tutte le testimonianze ricevute, ora che è stato chiarito il trattamento subito dal corpo», riprese Thora lanciando a Gunnar un sorriso ironico.

«Che intende dire?» chiese Gunnar fuori di sé.

«Hanno arrestato la persona che ha tolto gli occhi al cadavere e gli ha inciso la runa magica sul petto. Il fatto che lei si è spaventato quando il corpo le è piombato addosso non le garantirà più un trattamento con i guanti da parte degli investigatori. Ora l’intero caso ha preso una piega differente, dopo la confessione di questa persona.»

Gunnar cominciò a boccheggiare. «So che avete poco tempo. Anch’io sono molto occupato e non ho intenzione di trattenervi più a lungo. La nostra conversazione si conclude qui.»

«Ha strangolato lei Harald con la sua cravatta», proseguì implacabile Thora. «Il fermaglio che indossa lo confermerà.» Alzandosi, gli disse con fermezza: «Il movente deve ancora venire alla luce, ma ora come ora non conta molto. L’ha ammazzato lei, non Hugi, né Halldor e nemmeno Briet. È stato lei.» Thora lo guardò fisso in volto, pervasa al contempo da disgusto e compassione, quando Matthew si alzò lentamente e con un braccio la spinse verso la porta. Sembrava temere che Gunnar saltasse su dalla sedia per strangolarla con la sua cravatta.

«Sei completamente impazzita?» chiese Gunnar a Thora, fissandola fuori di sé dal furore e dandole del tu. Poi si alzò di scatto, facendo cadere all’indietro la sedia. «Come ti viene in mente una cosa del genere? Ti consiglio di cercare un buono psichiatra il prima possibile.»

«Non è una follia, l’hai ammazzato tu!» insisté Thora, opponendo resistenza anche a Matthew. «Abbiamo tra le mani parecchi indizi che portano alla tua colpevolezza. Credimi. Quando la polizia avrà ricevuto le prove e comincerà a indagarti, non ti sarà più facile difenderti.»

«È da escludere, non l’ho ucciso io.» Gunnar rivolse lo sguardo verso Matthew, sperando di ricevere il suo sostegno.

Matthew però non mostrò alcun segno di compassione. «Sono certo che gli agenti riceveranno l’aiuto dei tuoi colleghi nell’indagine e una perquisizione al tuo appartamento non farà altro che fornire ulteriori prove indiziarie, se il fermacravatta non basta, vero?»

Il cellulare di Thora squillò. Mentre gestiva quella breve chiamata, non tolse mai gli occhi dal professore, che la seguiva nervoso. «Era la polizia, Gunnar», annunciò a fine telefonata.

«E allora?» esclamò Gunnar con il pomo di Adamo che gli andava su e giù.

«Mi hanno pregato di andare al commissariato. Hanno trovato degli interessanti movimenti di denaro sul tuo conto in banca e vogliono spiegazioni da parte nostra. Mi sembra ormai chiaro che gli agenti ti abbiano finalmente preso di mira.»

Gunnar li osservò entrambi, confuso e disorientato. Poi sollevò la sua cravatta e si mise a fissare il fermacravatta. Più di una volta aprì la bocca come per parlare, ma altrettante volte la richiuse. Alla fine scosse il capo arrendendosi all’evidenza. «State cercando i soldi scomparsi? Ne ho spesi pochi.» Li guardò, ma non ottenne alcuna reazione. «Ho anche il libro, che però non ho alcuna intenzione di consegnarvi. È mio, l’ho trovato io.» Si strinse la fronte con le mani: era l’immagine della disperazione. «Ma non ho nient’altro che si possa considerare inestimabile o speciale. Harald invece sembrava avere tutto, o perlomeno denaro a bizzeffe. Perché non si era fissato su qualcos’altro? Perché proprio su quel libro?»

«Gunnar, penso che dovremmo richiamare la polizia», disse Thora in tono amichevole. «A noi non devi dire più niente, risparmiati le forze.» Quando si accorse che Matthew aveva già tirato fuori il suo telefono, gli suggerì a bassa voce: «Il 112». L’uomo si allontanò leggermente per chiamare.

«Mi aspettavo sempre che la polizia mi accusasse del delitto, anche quella prima volta in cui venni interrogato per rispondere del ritrovamento del cadavere. Ero convinto che stessero solamente giocando al gatto col topo, fingendo di non sapere che l’avevo ucciso io. Poi invece capii che non avevano neppure il minimo sospetto nei miei confronti.» Il professore alzò lo sguardo e sorrise amaramente. «Non avrei mai potuto simulare il terrore che mi assalì quando il corpo mi crollò addosso. Quando l’avevo visto per l’ultima volta era ancora disteso nell’aula degli studenti e per un attimo ho creduto che fosse resuscitato per tornare a vendicarsi. Ma dovete credermi, gli occhi non glieli ho cavati io. Io l’ho soltanto strangolato.»

«Soltanto, eh?» ripeté Thora. «Ma perché? Perché voleva comprarti il manoscritto del Malleus maleficarum ? Lo avevi trovato tu?»

Gunnar annuì. «Nelle grotte. Presi un congedo e mi immersi nelle ricerche sui monaci irlandesi. Ottenni dal contadino il permesso di effettuare degli scavi là dentro nella speranza di ritrovare resti umani che dimostrassero o confutassero la teoria che le grotte erano state scavate proprio dagli eremiti. Prima di allora quelle caverne non erano mai state esaminate scientificamente, e io fui il primo a piantarci la zappa. Fino alla seconda metà del secolo scorso ci tenevano il bestiame, per cui erano rimaste pressoché inesplorate. Ma invece di rinvenire reperti umani, trovai uno scrigno ben nascosto sotto l’altare. Dentro c’era quel codice famoso, assieme ad altri oggetti: una Bibbia in danese, un salterio e due magnifici libri di scienze naturali in norvegese.» Gunnar guardò Thora con intensità. «Non potei resistere. Mi affrettai a portare lo scrigno nell’auto prima che il contadino mi vedesse, e non dissi mai niente a nessuno della mia scoperta. A poco a poco mi resi conto che avevo scoperto dei documenti preziosissimi, provenienti dall’episcopato di Skalholt. Due libri erano addirittura contrassegnati dalle iniziali di Brynjolfur Sveinsson, LL. Ma fu soltanto dopo la comparsa di Harald che potei capire come mai quella strana edizione del Malleus fosse tra quelle carte.»

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