«Sì.» Henri resta in piedi, nervosa, e si guarda intorno. Le ombre si stanno allungando e dietro i rami si vedono le luci accese nelle case e nel centro sportivo. Dai camini si alzano sbuffi di fumo.
«Be’, hai subito un’aggressione» risponde Lucy, guardandola negli occhi e notando qualcosa che fino a quel momento le era sfuggito. «Ma, a parte il nome che vogliamo dare alla cosa, a me interessa capire come ti senti, che emozioni provi.»
«Meglio che lasciamo perdere» dice Henri, sedendosi sul tronco di malavoglia e mantenendo le distanze.
«Non te la sei cercata, Henri. Ti ha trovato lui» dice Lucy, guardando il bosco con le mani sulle ginocchia.
«Mi ha seguito. Succede spesso, agli attori. E io sono un’attrice.» Lo dice compiaciuta, quasi fosse contenta.
«Lo pensavo anch’io, fino a poco tempo fa» replica Lucy, prendendo una manciata di neve con il guanto. «Hai rilasciato un’intervista in cui hai dichiarato di lavorare per me. Senza dirmelo.»
«Che intervista?»
«Un’intervista all’“Hollywood Reporter” che cita il tuo nome.»
«Il mio nome viene citato spesso. È già successo che i giornali scrivessero cose che non ho mai detto» replica Henri, irritata.
«Non si tratta di questo, Henri. Quella di cui parlo è un’intervista. Credo che tu l’abbia rilasciata veramente. Il giornalista cita anche l’Ultimo Distretto. La sua esistenza non è segreta, d’accordo — sebbene neanche molto pubblicizzata — ma il fatto che io abbia trasferito la sede in Florida invece lo era. Volevo che non si sapesse per via del campo di addestramento. Invece la notizia è finita su un giornale e adesso si spargerà a macchia d’olio.»
«Non sei molto esperta in fatto di voci e pettegolezzi, vedo» rimarca Henri. Lucy non la guarda. «Se avessi lavorato nel mondo dello spettacolo, sapresti come funzionano queste cose.»
«So che effetti ha avuto stavolta. Edgar Allan Pogue ha scoperto che mia zia lavora per l’Ultimo Distretto, che l’Ultimo Distretto ha sede a Hollywood, e si è trasferito in Florida.» Si china a raccogliere un’altra manciata di neve. «E mi è venuto a cercare.»
«Non ce l’aveva con te» ribatte Henri fredda. A Lucy sembra più fredda della neve che tiene in mano.
«Sì, invece, ce l’aveva con me. Non è facile capire chi è alla guida di una Ferrari, se non si guarda da vicino. Rudy ha ragione, le Ferrari sono troppo facili da seguire. Pogue mi cercava, probabilmente ha chiesto in giro, ha scoperto il campo di addestramento e ha seguito la Ferrari fino a casa mia. Quella nera, probabilmente. Non so.» Si lascia cadere la neve dal guanto nero e ne raccoglie un’altra manciata, rifiutandosi di guardare Henri. «Che ha visto la Ferrari nera è indubbio, comunque, dal momento che me l’ha graffiata. L’ha vista quando l’hai presa tu. Senza permesso, vorrei precisare. Forse in quell’occasione ha scoperto anche dove abitavo. Ma non aveva niente contro di te. Cercava me.»
«Sei così egocentrica!» sbuffa Henri.
«Sai, Henri, abbiamo fatto molte ricerche sul tuo conto, prima di assumerti» le dice, lasciando cadere la neve dal guanto. «Penso che abbiamo letto tutti gli articoli in cui si parlava di te. E non erano molti, ti segnalo. Quindi vorrei che la smettessi di farti passare per una star, almeno con me. Non è che se uno ti segue diventi automaticamente famosa. È una sciocchezza.»
«Io torno indietro.» Henri si alza dal tronco e perde l’equilibrio, rischiando di cadere. «Sono stanca.»
«Voleva ucciderti per punirmi di una cosa che gli ho fatto molti anni fa» le spiega Lucy. «Se proprio vogliamo trovare una logica nelle azioni di uno psicopatico come quello. Il fatto è che io non me lo ricordo per niente. E probabilmente lui non si ricorda di te. A volte gli altri ci strumentalizzano.»
«Vorrei non averti mai incontrato. Mi hai rovinato la vita.»
A Lucy vengono le lacrime agli occhi. Rimane seduta sul tronco, paralizzata. Prende una manciata di neve e la lancia lontano.
«Preferisco gli uomini, comunque» sibila Henri, incamminandosi lungo la strada che hanno percorso per arrivare sin lì. «Non so perché mi sono lasciata convincere. Forse ero solo curiosa. E tu sai essere molto affascinante, all’inizio. Nel mio ambiente siamo tutti piuttosto avventurosi, ci piace sperimentare. Comunque, non ha importanza. Non più.»
«Come mai avevi quei lividi?» le chiede Lucy. Henri cammina nella neve piantando le racchette da sci, con il respiro pesante. «So che te lo ricordi. Te lo ricordi benissimo.»
«I lividi che hai fotografato, poliziotta?» ribatte Henri ansimando.
«So che te lo ricordi.» Lucy le guarda la schiena con gli occhi pieni di lacrime, ma mantiene la voce ferma.
«Si è seduto sopra di me.» Henri pianta i bastoncini nella neve. «Un pazzo con i capelli lunghi. All’inizio l’ho preso per una donna: ho creduto che fosse la signora che pulisce la piscina. L’avevo visto nel giardino qualche giorno prima, quando ero a letto malata, e l’avevo preso per una cicciona con i capelli lunghi. Siccome era vicino alla piscina, pensavo fosse quella che te la viene a pulire.»
«Puliva la piscina?»
«No, però era lì sul bordo. Ho creduto che fosse una sostituta. Ma il bello è questo.» Si volta verso Lucy. Ha una faccia strana, diversa. «Quell’ubriacona della tua vicina gli ha scattato delle foto. Come fa sempre, quando vede qualcuno nel tuo giardino.»
«Grazie di avermelo detto» mormora Lucy. «Sono certa che a Benton non l’hai nemmeno accennato. Cercava di aiutarti, sai? Potevi anche avvertirci che esistevano delle foto.»
«Non ricordo altro. Si è seduto sopra di me. Non ve lo volevo dire.» Ha il fiatone. Si ferma, si volta e le rivolge uno sguardo pieno di odio. «Mi vergognavo, sai com’è.» Fa un respiro profondo. «Che un uomo brutto e grasso mi avesse trovata a letto e non avesse cercato di farmi niente. Mi si fosse seduto sopra e basta.» Si gira di nuovo dall’altra parte e riprende il cammino.
«Grazie dell’informazione, Henri. Sei proprio una grande investigatrice.»
«Non più. Me ne vado. Torno a Los Angeles.»
Lucy resta sul tronco e si guarda le mani coperte dai guanti neri. «No, non te ne vai: ti licenzio.»
Ma Henri non la sente.
«Sei licenziata» ripete Lucy dal tronco.
Henri continua per la sua strada, un passo dopo l’altro, piantando le racchette nella neve.
Edgar Allan Pogue entra nel Gun Pawn Shop sulla US1 e guarda senza fretta la merce esposta, giocherellando con le cartucce che ha nella tasca destra dei pantaloni. Prende una fondina, legge cosa c’è scritto sulla confezione e la rimette a posto. Non ha bisogno di fondine. Non oggi. Che giorno è oggi? Non lo sa. I giorni passano senza che lui nemmeno se ne accorga, vaghi sprazzi qua e là, luce che va e che viene nel salotto, ore e ore sulla sedia a sdraio a fissare l’occhio che lo fissa dal muro.
Ha una tosse secca, fastidiosa, che lo lascia prostrato e senza respiro, il naso che cola e le ossa rotte. Sa che cosa vuol dire. Tutta colpa del dottor Philpott, che è rimasto senza vaccino antinfluenzale, che non gliene ha conservato uno. Non tutti hanno bisogno del vaccino quanto lui. Certa gente lo fa per sfizio, mentre per lui è una necessità. Però il dottor Philpott non ci ha pensato. Gli ha detto che gli dispiaceva, ma che aveva finito le scorte: non ce n’era più.
“Mi spiace, è esaurito. Se vuole ripassare fra una settimana, ma dubito che riuscirò a procurarmelo” gli ha detto.
“Lo troverò in Florida?” gli ha chiesto Pogue.
“Non credo” ha risposto il dottore, che era occupato e non aveva tempo per lui. “Sembra che sia esaurito in tutti gli Stati Uniti. È più facile vincere al lotto che trovare una dose di vaccino, temo. Quest’anno le scorte si sono rivelate insufficienti. Non ne è stato prodotto abbastanza, per prepararne dell’altro ci vogliono tre o quattro mesi e ormai non ne vale più la pena. Comunque sa, uno si vaccina per un tipo di influenza e poi se ne prende un altro: la certezza di non ammalarsi non c’è mai. Cerchi di stare lontano dalle fonti di contagio e segua uno stile di vita più sano. Eviti gli aerei e le palestre: le palestre sono uno dei luoghi in cui è più facile beccarsi l’influenza.”
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