Patricia Cornwell - La traccia

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La traccia: краткое содержание, описание и аннотация

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Kay Scarpetta, costretta alla libera professione in Florida, viene richiamata con grande urgenza a Richmond, in Virginia, la città che cinque anni prima le aveva voltato le spalle. Chi dirige ora il Dipartimento di Medicina legale è un presuntuoso incompetente e Kay Scarpetta ha la brutta sorpresa di trovare i suoi laboratori in uno stato di completo abbandono. E’ questo il motivo per cui i colleghi di una volta non riescono a venire a capo della morte di una quattordicenne…

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«Certo. Il tessuto interstiziale risulta danneggiato alla biopsia: non è una finta.»

«Lo stiamo cercando» spiega Kay Scarpetta. «Ha qualche elemento che ci possa facilitare nella ricerca?»

«Non voglio dire una cosa ovvia, ma avete provato a parlare con i suoi ex colleghi?»

«La polizia li sta cercando, ma non credo che sia una pista utile. Io me lo ricordo come un tipo solitario» replica Kay Scarpetta. «So che la sua ricetta per il prednisone va rinnovata fra qualche giorno. In genere è preciso nel richiederla?»

«Va a momenti» risponde Philpott. «In certi periodi è puntigliosissimo, poi sta a lungo senza prenderlo perché lo fa ingrassare.»

«È sovrappeso?»

«L’ultima volta che l’ho visto, sì. E parecchio.»

«Sa dirmi statura e peso?»

«È alto un metro e settantadue e, l’ultima volta che l’ho visto, a ottobre, doveva essere più di cento chili. L’ho avvertito che, così sovrappeso, faceva più fatica a respirare e affaticava il cuore. Di tanto in tanto gli sospendo i corticosteroidi per via dell’obesità, e anche perché tende a diventare paranoico, quando li prende.»

«Teme la psicosi da steroidi, dottor Philpott?»

«Non solo nel caso di Pogue. Chi la conosce, non può non temerla. Il problema è che non ho mai capito se Edgar Allan è disturbato di suo o se sono i farmaci a renderlo così. Come ha ucciso quella ragazzina? Posso chiederglielo?»

«Ha mai sentito parlare di Burke e Hare? Erano due scozzesi dell’inizio del XIX secolo che uccidevano per vendere i cadaveri agli studenti di medicina. A quei tempi i corpi da sezionare scarseggiavano e l’unico modo per esercitarsi era profanare le tombe o procurarsi morti con altri mezzi illeciti.»

«Sapevo che esistevano i cosiddetti “resurrezionisti”» replica il dottore. «Ma credevo fosse storia passata.»

«Infatti adesso nessuno più uccide per vendere il cadavere. Ebbene, Burke e Hare uccidevano in maniera che l’omicidio non fosse palese. E queste tecniche temo siano ancora in uso.»

«Soffocamento? Arsenico?»

«Nel caso specifico, asfissia meccanica. Si dice che Burke scegliesse persone di debole costituzione, vecchi, bambini o infermi, e ci si sedesse sopra, tappando loro naso e bocca.»

«Così è morta la Paulsson?» si stupisce Philpott, facendo una faccia sgomenta. «Edgar Allan l’ha soffocata in questo modo?»

«Come lei ben sa, a volte si arriva a una diagnosi a partire dall’assenza di una diagnosi precisa. Si procede per eliminazione, insomma» replica Kay Scarpetta. «Sul corpo di Gilly Paulsson non c’era nulla di sospetto, a parte alcuni lividi recenti, coerenti con l’ipotesi che qualcuno le si sia seduto sul petto tenendole le mani sopra la testa. C’è stata epistassi.» Non vuole dirgli troppo. «Naturalmente, si tratta di informazioni estremamente riservate.»

«Non so proprio dove possa essere Edgar Allan» dice Philpott cupo. «Se dovesse chiamarmi, per qualsiasi ragione, la avverto immediatamente.»

«Le lascio anche il numero di Pete Marino.» Lo scrive su un foglietto.

«Non lo conosco bene e, se devo dire la verità, non l’ho mai trovato granché simpatico. È un uomo strano, mi ha sempre inquietato. Pensi che veniva immancabilmente accompagnato dalla madre. Finché la signora Pogue non morì. Voglio dire, lui era adulto…»

«Di cosa morì la signora Pogue?»

«Vede, con il senno di poi mi viene paura» dice Philpott con espressione preoccupata. «Era obesa e non si curava minimamente della propria salute. Un inverno prese l’influenza e morì, a casa sua. Allora non mi insospettii affatto ma, adesso che so che…»

«Posso guardare la cartella clinica di Edgar Allan? E quella di sua madre, se ce l’ha a portata di mano?» domanda Kay Scarpetta.

«Quella della madre dovrei cercarla, visto che è morta parecchi anni fa. Quella di Edgar Allan posso dargliela subito: vado a prendergliela. Mi aspetta qui?» Si alza. Sembra più stanco e lento di prima.

Kay Scarpetta guarda dalla finestra una ghiandaia azzurra che becca i semi dentro una mangiatoia appesa al ramo spoglio di una quercia e vola via. Edgar Allan Pogue può farla franca, pensa. Le impronte digitali non sono una prova schiacciante e la causa della morte di Gilly Paulsson è controversa. Non si sa quante persone ha ucciso. È preoccupata di cosa facesse quando lavorava per lei. Di quali traffici si occupava nella divisione di Anatomia? Lo rivede, in divisa, pallido e magro, con la faccia bianca come un cencio. Ricorda il suo sguardo furtivo quando lei scendeva dal montacarichi e chiedeva di Dave, il quale peraltro non ha mai trovato simpatico Edgar Allan e certamente non ha idea di dove si trovi in questo momento.

Kay Scarpetta scendeva nella divisione di Anatomia meno che poteva. Era un luogo deprimente e i finanziamenti per tenerla in piedi erano scarsi, troppo esigui per permettere di trattare i corpi che vi arrivavano con adeguato rispetto. Il crematorio, poi, cadeva a pezzi. Le ceneri, una volta estratte dal forno, venivano polverizzate a mano perché gli appositi macchinari erano troppo costosi. I frammenti di ossa troppo grossi per entrare nelle urne fornite dallo Stato venivano spaccati con le mazze da baseball. Kay Scarpetta preferiva non pensarci, scendeva nella divisione di Anatomia soltanto quando era assolutamente indispensabile ed evitava del tutto il crematorio e le mazze da baseball. Sapeva che il personale le usava, ma faceva finta di non esserne al corrente.

Seduta nella cucina del dottor Philpott, pensa che avrebbe dovuto comprare una macchina per polverizzare i resti di cremazione con i suoi soldi, piuttosto che sopportare quel deplorevole andazzo. Adesso non permetterebbe più al personale di usare mazze da baseball.

«Ecco qui» dice Philpott tornando in cucina e porgendole la cartella di Edgar Allan Pogue. «Adesso, se non le dispiace, dovrei tornare dai miei pazienti. Fra una visita e l’altra tornerò a vedere se ha bisogno di qualcosa.»

Il fatto è che la divisione di Anatomia non le piaceva. È un’anatomopatologa laureata in giurisprudenza, non un impresario di pompe funebri, un imbalsamatore. I morti che passavano di lì non avevano niente da dirle, perché erano morti per cause naturali. Il loro era stato un trapasso sereno, senza problemi, e lei si occupava di chi invece aveva subito una morte tutt’altro che serena. La sua missione era scoprire che cosa era successo a chi moriva di morte violenta, in circostanze sospette. E così cercava di non avere niente a che fare con i cadaveri che stavano immersi nelle vasche, con la divisione di Anatomia e con chi ci lavorava. Non frequentava volentieri Dave o Edgar Allan e i morti che sollevavano con l’argano appesi per le orecchie. Preferiva non vederli.

Avrebbe dovuto fare più attenzione, pensa adesso, con un fastidiosissimo bruciore allo stomaco. Forse glielo ha provocato il caffè, forse i sensi di colpa. Guarda la cartella di Pogue e rimpiange di avergli lasciato usare quelle mazze da baseball per polverizzare i residui di cremazione. Controlla il recapito fornito da Pogue al dottor Philpott: fino al 1996 era un indirizzo di Ginger Park, nella zona nord di Richmond, poi una casella postale. Vedendo che non è indicato un domicilio più recente, Kay Scarpetta si chiede se Edgar Allan Pogue non sia andato a stare nella casa della signora Arnette, quella dietro alla casa dei Paulsson, proprio nel 1996. Forse ha ucciso anche lei, per impossessarsi della sua casa.

Sulla quercia adesso si è posata una cincia, che Kay osserva con la cartella aperta fra le mani e il sole che le scalda piacevolmente la faccia. Conosce i pregiudizi della gente e sa che molte persone ignoranti ritengono che chi si occupa dei morti ha il gusto del macabro. Ma Kay Scarpetta è fatta così, e preferisce occuparsi dei morti che dei vivi. La gente dice che gli anatomopatologi sono tipi antisociali, eccentrici e freddi, spesso privi di compassione. Che fanno autopsie perché non sanno curare le malattie e sono dei falliti sia come medici che come esseri umani.

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