Emilio Salgari - I misteri della jungla nera

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– È qui che ella sparse il profumo, – diss’egli.– L’odore che mi sale alle nari me lo dice. Domani saprò dove mi trovo e con chi avrò da fare.

Fece sei o sette passi brancolando fra le tenebre e si aggomitolò su se stesso, colle pistole in mano, aspettando che un raggio di luce illuminasse quel misterioso tempio.

Passarono alcune ore senza che rumore alcuno turbasse il funebre silenzio che regnava in quel luogo; lassù, verso l’apertura, il cielo cominciava a rischiararsi e gli astri ad impallidire sotto i primi albori. Tremal-Naik, immobile, cogli occhi bene aperti e gli orecchi tesi, aspettava sempre con quella pazienza che è particolare alle razze asiatiche.

Verso le quattro il sole apparve improvvisamente sull’orizzonte, illuminando la grande palla di bronzo che ergevasi sulla cima della pagoda e dall’ampia apertura scese un fascio di luce. Tremal-Naik scattò in piedi, sorpreso, sbalordito dallo spettacolo che offrivasi dinanzi a’ suoi occhi.

Egli si trovava in una specie di immensa cupola, le cui pareti erano bizzarramente dipinte. Le prime dieci incarnazioni di Visnù, il dio conservativo degli indiani che ha la sua residenza nel Vaicondu o mare di latte del serpente Adissescien, erano dipinte all’ingiro, circondate dai principali deverkeli o semi-dei venerati dagl’indiani, protettori degli otto angoli del mondo, abitatori del sorgon , cioè paradiso di quelli che non hanno tanti meriti per andare nel cailasson o paradiso di Siva. A metà della cupola v’erano scolpiti i cateri , giganteschi geni malvagi, che divisi in cinque tribù vanno errando pel mondo dal quale non possono uscire, né meritare la beatitudine promessa agli uomini, se non dopo d’aver raccolto gran numero di preghiere.

Nel mezzo della pagoda si elevava una grande statua di bronzo, rappresentante una donna con quattro braccia, di cui una brandiva una lunga daga e un’altra una testa.

Una grande collana di teschi le scendeva fino al collo dei piedi ed una cintura di mani e di braccia mozzate le stringeva i fianchi.

La faccia di quell’orribile donna era tatuata, le sue orecchie erano adorne di anelli; la lingua dipinta di rosso cupo, del color del sangue, le usciva d’un buon palmo dalle labbra atteggiate ad un feroce sorriso; i polsi erano stretti da larghi braccialetti ed i piedi posavano su di un gigante coperto di ferite.

Quella divinità, lo si capiva a prima vista, trasportata dalla ebbrezza del sangue, danzava sul corpo della vittima.

Un altro oggetto strano, era una vaschetta di marmo bianco, incastonata nelle lucenti pietre del pavimento. Era colma di limpidissima acqua e dentro vedevasi nuotare un pesce di un bel giallo d’oro, piccolo e che somigliava assai ad un mango del Gange. Tremal-Naik non aveva mai visto nulla di simile.

Egli si era fermato dinanzi alla mostruosa divinità e la contemplava con un misto di stupore e di paura.

Chi era mai quella sinistra figura contornata di cranii ed ornata di mani e braccia mozze? Cosa significava quel pesciolino dorato nuotante in quella bianca vaschetta? Quale relazione avevano quei due strani simboli, coi feroci uomini che inseguivano e strangolavano i loro simili?

– Che io sogni? – mormorò Tremal-Naik, stropicciandosi più volte le palpebre. – Io non comprendo nulla!

Non aveva ancor finito, che un leggiero cigolìo giungeva ai suoi orecchi. Si volse colla carabina in mano, ma quasi subito indietreggiò fino alla mostruosa divinità, rattenendo a gran pena un grido di stupore e di gioia.

Dinanzi a lui, sul limitare di una porta dorata, stavasene ritta una fanciulla di meravigliosa bellezza, col più angoscioso terrore dipinto sul volto.

Poteva avere quattordici anni. La sua taglia era graziosa e di forme superbamente eleganti.

Aveva i lineamenti d’una purezza antica, animati dalla scintillante espressione della donna anglo-indiana.

La pelle era rosea, d’una morbidezza impareggiabile, gli occhi grandi neri e scintillanti come diamanti; un naso diritto che nulla aveva d’indiano, labbra sottili, coralline, schiuse ad un melanconico sorriso che lasciava scorgere due file di denti d’abbagliante bianchezza una opulenta capigliatura d’un castano cupo, fuliginoso, separata sulla fronte da un mazzetto di grosse perle, era raccolta in nodi ed intrecciata con fiori di sciambaga dal soave profumo.

Tremal-Naik come si disse, era vivamente indietreggiato fino alla mostruosa statua di bronzo.

– Ada!… Ada!… L’apparizione della jungla ! – esclamò egli con voce soffocata.

Non seppe dire di più e rimase lì, muto, ansante, trasognato a mirare quella superba creatura che continuava a fissarlo con profondo terrore. Ad un tratto quella fanciulla fece un passo innanzi lasciando cadere a terra l’ampio sari di seta, orlato d’una larga striscia azzurra, fregiata di complicati disegni, che ricoprivala come un ampio mantello.

Un fascio di luce abbagliante l’avvolse, togliendola alla vista del cacciatore di serpenti che fu forzato a chiudere gli occhi.

Quella fanciulla era coperta letteralmente d’oro e di pietre preziose d’inestimabile prezzo. Una corazza d’oro, tempestata dei più bei diamanti del Golconda e del Guzerate, decorata del misterioso serpente colla testa di donna, le racchiudeva tutto il seno e spariva in un largo scialle di cachemire trapunto d’argento, che cingevale i fianchi; molteplici collane di perle e di diamanti le pendevano dal collo, grossi come nocciuole; larghi braccialetti pur tempestati di pietre preziose le ornavano le nude braccia, ed i calzoncini larghi, di seta bianca, erano stretti sul collo dei piedi nudi e piccini, da cerchietti di corallo della più bella tinta rossa. Un raggio di sole, penetrato da uno stretto pertugio, battendo sopra quella profusione di ori e di gioie aveva per così dire immersa la giovanetta in un mare di luce d’un fulgore acciecante.

– La visione!… La visione!… – ripeté per la seconda volta Tremal-Naik, tendendo le braccia verso di lei! – Oh! quanto è bella!…

La giovanetta si guardò attorno con smarrimento e portò un dito sulle labbra, come per invitarlo a tacere, poi camminò dritta verso di lui.

– Sciagurato! – diss’ella con ispavento. – Cosa sei venuto a far qui?… Qual follia ti trascinò in quest’orribile luogo?…

Il cacciatore di serpenti , senza volerlo, era caduto in ginocchio tendendo le mani verso di lei che indietreggiò con maggiore spavento.

– Non toccarmi! – diss’ella, con un filo di voce.

Tremal-Naik aveva emesso un sospiro:

– Sei bella! esclamò egli con passione.

– Taci, Tremal-Naik!

– Sei bella!… – ripeté il selvaggio figlio della jungla . Ella gli pose un dito sulle labbra.

– Se non vuoi perdermi, non fare rumore, – disse la giovanetta con dolce rimprovero. – Tu non sai ancora, i tremendi pericoli che ci minacciano.

– Io sono Tremal-Naik! Chi è quest’uomo che ti minaccia? Dimmelo ed io, il cacciatore di serpenti , ti giuro che domani questo nemico sarà scomparso dalla terra!…

– Non parlare così, Tremal-Naik!

– Perché?… Senti, fanciulla: non aveva mai veduto un volto di donna nella mia jungla popolata dalle sole tigri. Quand’io per la prima volta ti vidi, agli ultimi raggi del sole morente, là, dietro quel cespuglio di mussenda, mi sono sentito scuotere tutto. Mi parve che tu fossi una divinità scesa dal cielo e t’adorai.

– Taci! taci! – ripeté con voce rotta la fanciulla, nascondendosi il volto fra le mani.

– Non posso tacere, vago fiore della jungla ! – esclamò Tremal-Naik con maggior passione. – Quando tu scomparisti, mi parve che qualche cosa si staccasse dal mio cuore. Ero come ubriaco, dinanzi agli occhi mi danzava la tua visione, nelle vene scorrevami più rapido il sangue e lingue di fuoco mi salivano in volto e più su fino al cervello. Si avrebbe detto che tu mi avevi stregato!

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