Emilio Salgari - Il figlio del Corsaro Rosso

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– È passata la tempesta? – gli chiese il signor di Ventimiglia con voce dolce.

– Gli uragani durano poco a San Domingo – rispose il bucaniere con un triste sorriso. – Bah, tutto è passato, tutto è stato dimenticato! Ho ucciso due maiali selvatici, laggiú sul margine delle paludi… è il mio mestiere. Il conte gli porse la destra:

– Stringetela! – disse.

– No, signor conte, io non sono piú degno di porgere la mano ad un onesto gentiluomo. Qui non siamo in Normandia.

– Stringetela, vi dico.

– Sí, non ora però. Quando noi ci lasceremo per sempre e vi dirò chi sono stato io un giorno… forse allora… Signor conte, fra quattro ore il sole tramonterà e la villa della marchesa di Montelimar è lontana. Volete che ci mettiamo in cammino? Non giungeremo a San Josè prima dell’alba, ed in questo paese è meglio marciare di notte. Le cinquantine di quando in quando perlustrano queste foreste e se non sono pericolose le loro alabarde, sono terribili i cagnacci che le accompagnano.

– Sono pronto a seguirvi e ad obbedirvi – rispose il corsaro.

– Siete ben sicuro che la marchesa non vi tradirà? Io conosco quella bella signora, avendola qualche volta incontrata nei dintorni della sua fattoria.

– È una perfetta gentildonna che mi ha già salvato una volta.

– Allora basta – rispose il bucaniere. – Chiamate i vostri compagni, signor conte, e dite che si prendano degli archibugi. Ne ho sempre tre o quattro di riserva e tutti di buon calibro, con palle di un’oncia.

Mendoza ed il guascone, udendo il comando del conte, erano accorsi, seguiti dall’arruolato, il quale, come se avesse indovinato il pensiero del suo padrone, portava dei fucili e delle munizioni.

– In marcia, amici – disse il signore di Ventimiglia. – Buttafuoco ci servirà da guida.

Il bucaniere s’accostò all’arruolato, il quale lo interrogava con lo sguardo.

– Tu rimarrai qui – gli disse con ruvida bonarietà – e aspetterai il mio ritorno. Che io stia lontano una settimana od un mese, non ti dar pensiero di me. Se gli spagnuoli ti minacciano, rifugiati nella colonia del capo Tiburon e là ci ritroveremo. Guardati dalle cinquantine, e abbi cura dei miei cani. Addio!

Chiamò con un fischio stridente il suo bracco favorito e si mise in cammino a fianco del conte e seguito dal guascone e da Mendoza, calandosi il cappellaccio sulla fronte per meglio ripararsi dagli ardentissimi raggi del sole.

Attraversò la macchia che serviva a nascondere la sua capanna e dopo essersi orientato con l’astro diurno, si cacciò risolutamente tra le immense boscaglie che si prolungavano verso occidente.

Il bracco lo procedeva, fiutando di quando in quando il terreno, e volgendo la testa come per chiedere se era sulla buona via.

– Avete la vostra nave, signor conte? – chiese il bucaniere, dopo aver percorso qualche miglio.

– Deve attendermi al capo Tiburon – rispose il corsaro.

– La villa della marchesa di Montelimar non si trova che a breve distanza dalla rada. La potrete scorgere dalle finestre della fattoria.

– Non verranno a cercarci colà, le cinquantine?

– Chi lo sa? Battono l’isola in lungo ed in largo, e non si sa mai dove si fermano. La marchesa però è troppo potente a San Domingo per non proteggervi.

– Ne ho avuto la prova.

– Allora potrete attendere tranquillamente la vostra nave, senza correre il pericolo di farvi prendere – rispose il bucaniere, sorridendo. – So quanto vale quella signora.

– La conoscete?

– L’ho veduta una sola volta, mentre attraversava a cavallo una foresta e le ho reso, anzi, in quell’occasione, un piccolo servigio. Se non mi fossi trovato sulla sua strada e non le avessi ammazzato il cavallo con un buon colpo di archibugio, non so se la signora di Montemilar sarebbe ancora viva, e se…

Il bucaniere si era interrotto, mentre il suo bracco scuoteva gli orecchi e puntava.

– Che cosa c’è? – chiese il corsaro.

– Nulla per ora – rispose Buttafuoco la cui fronte si era leggermente aggrottata.

– Mi sembrate inquieto.

– Posso essermi ingannato

– Anche il vostro cane?

Il Bucaniere stette un momento silenzioso, osservando attentamente il suo bracco il quale si era fermato e non cessava di alzare e di abbassare le orecchie.

– Mi è sembrato d’aver udito un lontano latrato.

– Che qualche cinquantina ci dia la caccia?

– Può darsi, signor conte. Lasciamo i terreni scoperti e gettiamoci nella foresta. Là saremo piú sicuri.

CAPITOLO VII. LA CACCIA UMANA

Sulla loro destra della comitiva si estendeva la grande foresta.

Buttafuoco, che doveva conoscere quei luoghi molto piú del guascone, il quale, malgrado la bussola che teneva in mezzo al cervello, non era riuscito a scoprire la fattoria dove avrebbero dovuto trovare dei cavalli, si era messo alla testa del minuscolo drappello, aprendo qua e là dei passaggi con i due coltellacci che non aveva deposti alla capanna.

Il bracco poi lo aiutava meravigliosamente, guidandolo con perfetta sicurezza attraverso i meandri tenebrosi della foresta.

Di tratto in tratto il padrone e la sua bestia si fermavano per ascoltare, poi riprendevano la marcia, manifestando ambedue una certa inquietudine che non sfuggiva al conte.

Il sole era tramontato da qualche ora e camminavano sempre attraverso quell’interminabile foresta, quando il bucaniere si fermò dinanzi ad un gigantesco tamarindo dicendo:

– È inutile nascondervelo, signor conte; noi siamo inseguiti.

– Da chi? – chiese il corsaro.

– Da una o da piú cinquantine di certo.

– Come lo sapete?

– Vivendo sempre in mezzo alle foreste, i nostri orecchi acquistano un’acutezza incredibile ed afferrano subito i piú lontani rumori. Vi ripeto che noi siamo seguiti e forse i nostri nemici non sono molto lontani.

– Eppure io non ho udito nulla. Neppur tu, è vero, Mendoza?

– Io non odo che le rane ed i rospi cantare, – rispose il filibustiere.

– Ed io le foglie e la frutta cadere, – aggiunse il guascone.

– Io invece continuo a udire dei lontani latrati, – disse il bucaniere. – Qualcuno vi ha veduto attraversare le foreste?

– Abbiamo messo in fuga una cinquantina e le abbiamo ucciso il cane che la precedeva – rispose il conte.

– Ora comprendo! – disse Buttafuoco. – Quella cinquantina deve averne incontrata qualche altra fornita di cani, ed ora molti uomini ci seguono e non cesseranno di marciare finché non ci avranno raggiunti… Brutto affare!

– Cerchiamo di raggiungere al piú presto la tenuta della marchesa di Montelimar – disse il conte.

– È ancora troppo lontana – rispose il bucaniere. – Anche correndo rapidissimi, non potremmo giungervi prima del sorgere del sole.

– Che siano vicini gli spagnuoli?

– Essi, forse no; ma i cani sí; e quelle bestiacce sono piú pericolose degli uomini. Io li conosco troppo bene! Non per nulla li chiamano cani strangolatori. Guardatevene, signor conte.

– Che cosa decidete? Aspettare qui il loro assalto o continuare la marcia?

Invece di rispondere, Buttafuoco osservò attentamente la foresta foltissima, dove un infinito numero di liane s’intrecciavano in mille modi attorno agli alberi, formando dei bellissimi festoni.

– Cerchiamo di far perdere le nostre tracce ai doz – disse poi. – Forse ci riusciremo con una marcia aerea. Si tratta solo di far presto, e di guadagnare piú strada che potremo.

Si gettò in spalla l’archibugio, s’aggrappò ad un ammasso di liane, che pendevano intorno al tamarindo, e si issò a forza di braccia, dicendo:

– Cercate d’imitarmi.

– Diamo la scalata alle griselle del bosco! – disse Mendoza. Preferisco una manovra marinaresca a questa interminabile marcia… Signor Barrejo, fingete di trovarvi a bordo di un treponti.

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