Emilio Salgari - Jolanda, la figlia del Corsaro Nero

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Jolanda, la figlia del Corsaro Nero: краткое содержание, описание и аннотация

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Si appoggiò alla parete, lasciandosi sfuggire la spada, stravolse gli occhi, mormorò qualche parola, poi stramazzò al suolo vomitando sangue.

«L’hai voluto» disse l’amburghese.

Poi si slanciò verso Carmaux, dicendo:

«Vengo in tuo aiuto, compare».

Il capitano teneva ancora testa al filibustiere, ma si trovava quasi addosso al muro e appariva assai affaticato.

Aveva passata la spada dalla destra alla sinistra, per cercare di imbrogliare vieppiù Carmaux, il quale, non essendo mancino, non doveva trovare quel cambiamento di suo gusto.

«Pensate anche a me» disse Wan Stiller, piombandogli addosso.

«No, compare, non sarebbe leale» disse Carmaux. «Lascia a me sbrigare la faccenda».

Il capitano, udendo quelle parole aveva fatto un ultimo salto indietro ed aveva abbassata la spada.

«Vi credevo un ladrone del mare» disse, «capace di assassinarmi anche a tradimento, e ritrovo invece in voi un gentiluomo. Al vostro posto, un altro non avrebbe rifiutato il concorso d’un compagno».

«Il Corsaro Nero mi ha insegnato a essere leale» rispose Carmaux. «Vi arrendete?»

Il capitano prese la spada con ambe le mani, l’appoggiò su un ginocchio e la spezzò in due, dicendo:

«Sono vostro prigioniero».

«Non sappiamo che cosa farne dei prigionieri» rispose Carmaux. «Morgan a quest’ora ne ha perfino troppi. Noi siamo venuti qui a cercare la figlia del Corsaro Nero»

«Mi è stata affidata dal governatore e senza un suo ordine io non posso cederla».

«È fuggito dopo le prime cannonate e non sappiamo dove sia. Quindi non potrebbe, in questo momento, darvi il permesso».

«È presa adunque la città?»

«È in nostra mano da tre ore».

«Allora, signori, ogni resistenza da parte mia sarebbe inutile, da che tutti sono fuggiti, compreso il governatore».

«Dov’è la signorina di Ventimiglia?»

Il capitano ebbe un’ultima esitazione, poi disse:

«Io ve la cederò, se voi mi promettete di ottenere dal vostro capitano il permesso di lasciare la città indisturbato».

«Il signor Morgan ve lo accorderà» disse Carmaux. «Impegniamo la nostra parola».

«Prendete la torcia e seguitemi».

Wan Stiller obbedì. Lo spagnolo si trasse dalla cintura di pelle, che portava ai fianchi, una chiave e si diresse verso una porta che si vedeva all’estremità della sala sotterranea.

«Adagio, signore» disse Carmaux che era sempre diffidente. «Eravate soli qui?»

«Non vi è nessun altro» rispose il capitano. «Al fracasso sarebbero già accorsi e allora le sorti del duello sarebbero forse cambiate».

«Infatti avete ragione» disse Carmaux.

Il capitano introdusse la chiave nella toppa e aprì la porta, avanzandosi in un’altra sala illuminata da un lampadario di stile veneziano, colle pareti rivestite di pannelli, il pavimento riparato da un tappeto assai fitto e arredata con una certa eleganza.

All’estremità si vedeva un’alcova, le cui tende rosse, con ricami d’oro sbiadito dal tempo e dall’umidità, erano abbassate.

«Signora» disse il capitano. «Vi prego d’alzarvi. Delle persone che hanno conosciuto vostro padre sono venute qui e vi aspettano».

Un grido si udì dietro alle tende, un grido di stupore e anche di gioia; poi una fanciulla con una mossa fulminea erasi slanciata fuori dall’alcova, fissando i suoi occhi sui due filibustieri che si erano levati i berretti.

Era una bellissima fanciulla, di quindici o sedici anni, alta e flessibile come un giunco, dalla pelle pallidissima, quasi alabastrina, con la tinta che ricordava suo padre il Corsaro Nero; aveva due occhi grandi, d’un nero intenso, e lunghe ciglia che lasciavano cadere sul suo viso la loro ombra.

I suoi capelli, neri come l’ala di un corvo, li teneva sciolti sulle spalle, legati solamente presso la nuca da una piccola fila di perle.

Indossava una semplice cappa bianco, con guarnizioni di trine e un sottile ricamo d’oro sulle larghe maniche.

Vedendo i due corsari, si lasciò sfuggire un secondo grido e rimase colla bocca aperta, mostrando due file di denti piccoli come granelli di riso e più splendenti dell’opale.

«Signorina di Ventimiglia» disse Carmaux, inchinandosi goffamente e con un certo imbarazzo, «noi siamo due fedeli marinai di vostro padre, qui mandati dal suo antico luogotenente, il capitano Morgan…»

«Morgan!…» esclamò la fanciulla. «Morgan!… Il comandante in seconda della Folgore?»

«Sì, signorina. Avete udito a parlare di lui?»

«Mio padre è morto troppo presto perché me ne parlasse» disse la fanciulla con profonda tristezza, «ma, nelle sue memorie, ho trovato molte volte il nome di quel fedele e valoroso corsaro, che lo seguì sui mari e che lo aiutò a compiere le sue vendette. Dov’è ora?»

«Qui, in Maracaybo, signorina».

«Morgan qui? Allora i filibustieri della Tortue hanno preso la città!»

«Da stamane».

«E potrò vederlo?»

«Quando vorrete».

«E voi, capitano, me lo permetterete?» chiese volgendosi verso lo spagnolo.

«Voi siete libera, signora, dal momento che il governatore è fuggito».

«Ah!» fece la giovane, con accento un po’ ironico. «Il conte di Medina è scappato dinanzi ai filibustieri della Tortue? Lo credevo più valoroso».

«Meglio la fuga che la prigionia».

«Già, per coloro che non sanno morire combattendo. Sicché io sono libera?»

«E sotto la nostra protezione, signorina» disse Carmaux.

«Voi siete…»

«Eravamo due devoti servitori di vostro padre, il Corsaro Nero».

«I vostri nomi».

«Carmaux e Wan Stiller».

La giovane si passò una mano sulla fronte, come per risvegliare delle lontane memorie, poi disse:

«Carmaux… Wan Stiller… voi dovete aver accompagnato mio padre nella Florida… dopo l’esplosione del vascello di mio nonno il duca… Nelle memorie scritte e lasciate a me da mio padre io ho trovato molte volte i vostri nomi…»

Fece alcuni passi innanzi e tese le sue belle mani dalle dita affusolate verso i due filibustieri, dicendo:

«Una stretta, eroi del mare, fedeli compagni di mio padre nella sua triste vita avventurosa».

I due corsari, confusi, impacciati, chiusero le due manine fra le loro dita ruvide e callose, borbottando qualche parola.

«Ed ora» disse la fanciulla «sono con voi, se il capitano non si oppone».

Si gettò sulle spalle una lunga mantiglia di seta nera con pizzi di Venezia, prese un grazioso cappello di feltro oscuro adorno d’una piuma nera e si mise fra i due corsari, dicendo al capitano con accento ironico:

«I miei saluti al signor conte di Medina e Torres, e ditegli che se mi vorrà, bisognerà che venga a prendermi alla Tortue, se ne avrà il coraggio».

Il capitano non rispose; ma appena Carmaux e Wan Stiller furono usciti colla fanciulla, disse:

«Stupidi!… Non mi avete ucciso!… Miei cari, avrete ben presto mie nuove. Ed ora cerchiamo di raggiungere il governatore, senza attendere il loro salvacondotto».

Capitolo nono. Jolanda di Ventimiglia

Quando i due filibustieri e la figlia del Corsaro Nero uscirono dal convento dei Carmelitani, trovarono sulla porta don Raffaele.

L’onesto piantatore se l’era svignata, per paura che i due corsari avessero la peggio in quel combattimento e che il capitano Valera gli facesse pagare ben caro il tradimento, ma non aveva osato lanciarsi attraverso le vie della città, che erano percorse dagli uomini di Morgan, i quali potevano fargli passare un brutto quarto d’ora.

Si era perciò tenuto nascosto dietro la porta del monastero, in attesa che il capitano od i corsari comparissero, pronto a mettersi sotto la protezione dell’uno o degli altri.

«Ah!… Siete qui, don Raffaele?» disse Carmaux, scorgendolo raggomitolato dietro la porta. «Non avete dato una bella prova del vostro coraggio, lasciando noi soli alle prese coi vostri compatrioti».

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